A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA TUTELA DEGLI INTERESSI FINANZIARI DELL’UNIONE EUROPEA E LA LOTTA ALLE FRODI NEL QUADRO DELLA FISCALITÀ INTERNAZIONALE E DELLE SUE CRITICITÀ. IL RUOLO DEL PROCURATORE GENERALE EUROPEO.(*) 

Autore: Prof. De Rose, Direttore responsabile e coordinatore scientifico (*)

 

1. Il tema nei suoi profili generali.

La tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea e la lotta alle frodi che ledono gli interessi medesimi si collocano sistematicamente nel quadro del diritto fiscale europeo, ma, soprattutto per quanto concerne gli interessi connessi alle entrate di bilancio dell’Unione medesima, in particolare quelle connesse all’IVA sulle importazioni, le accise ed i diritti doganali, vengono in evidenza rilevanti aspetti transfrontalieri, di indubbia riferibilità sistematica alla fiscalità internazionale e alle sue criticità.

Nell’ambito di queste ultime rientrano i fenomeni di evasione, elusione ed erosione degli obblighi tributari nei riguardi degli Stati membri dell’Unione, fenomeni da considerare nella loro dimensione transfrontaliera extra-comunitaria e quindi nel loro ripercuotersi in modo diretto od indiretto sulle entrate dell’Unione medesima.

Detti fenomeni sono stati messi adeguatamente in luce, sia come principi che come fattispecie concrete, nel corso del Convegno sul tema “Lineamenti di fiscalità internazionale”, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma e tenutosi in modalità telematica il 15 e il 22 gennaio c.a.

Nel Convegno se ne è parlato anche con riferimento alle “royalties” (costituite dai prezzi di utilizzo di un brevetto, di un marchio di un diritto d’autore e simili in aree territoriali anche diverse da quello di produzione) e a come esse si generano e si articolano nel commercio globale, sempre più caratterizzato dalle delocalizzazioni delle imprese, soprattutto di quelle multinazionali.

Anche in questa sede appare opportuna una sia pur breve ricognizione nel paragrafo che segue dei fenomeni predetti e dei loro principali aspetti identificativi, con riferimento tanto alla fiscalità nazionale, quanto a quella internazionale e più specificamente europeo. E con riferimento ai rispettivi mezzi di contrasto.

 

2. L’evasione fiscale.

2.1. L’evasione si ha quando un soggetto si sottrae, intenzionalmente o per errore, al pagamento di un tributo e/o agli adempimenti ad esso correlati, anche agli effetti della continuità e/o della quantificazione dell’obbligo tributario.

A livello nazionale l’evasione è un fenomeno di estremo rilievo, quando come accade per l’Italia, essa costituisce una costante, con rilevantissima incidenza sul gettito fiscale e quindi sugli equilibri economico-finanziari del settore pubblico allargato. Al riguardo, dal dossier sulla lotta alla frode fiscale, pubblicato a fine 2020 dalla Commissione europea, risulta che l’Italia ha il maggior tasso di evasione IVA in Europa, pari, nel 2018, ad una perdita per lo Stato di 35,4 miliardi.

In tema di evasione, è importante anche rilevare che sua componente dolosa, cioè l’intenzionalità dei comportamenti intesi alla sua realizzazione, suscita particolare allarme quando è riconducibile a trame trasgressive della criminalità organizzata, il che concerne soprattutto l’imposizione indiretta sugli scambi, sulla produzione e fabbricazione e sui consumi, il cui epicentro è rappresentato dall’IVA e dalle accise e, per connessione, dai diritti doganali.

A livello di fiscalità internazionale extraeuropea ed a parte quanto si dirà per la fiscalità all’interno dell’Unione europea, l’evasione che concerne i singoli Stati viene in evidenza soprattutto per i seguenti tre profili: a) perché, anche in assenza di norme pattizie, essa induce alla cooperazione tra Stati al fine di perseguire gli evasori e recuperare il non pagato, nei confronti di persone fisiche o giuridiche, in particolare nei confronti delle imprese multinazionali, che attraverso dinamiche societarie, residenziali e rappresentative, cercano di sottrarsi ai tributi della nazione d’origine o presso cui hanno la residenza principale nazionali; b) perché consente allo Stato cooperante di individuare i soggetti che, in virtù delle predette dinamiche residenziali, professionali o imprenditoriali sono incorsi nell’evasione e guardarsene anche per quel che concerne la propria imposizione interna; c) perché, con riferimento all’evasione gestita dalle organizzazioni criminali – che non conosce confini e che spesso si accompagna ad altre attività illecite quali il traffico di droga e di esseri umani e il terrorismo, consente allo Stato cooperante di disporre di maggiori elementi per l’identificazione e il contrasto delle organizzazioni stesse all’interno del proprio territorio.

 

3. L’elusione fiscale.

L’elusione si ha quando un soggetto trae vantaggio dell’ambiguità o incertezza di uno o più profili di normativa fiscale o della loro interpretazione, anche a livello di esenzioni, deduzioni o detrazioni di oneri o spese, organizzando le attività e le situazioni di cui è titolare in modo da non essere assoggettabile al tributo o da esserlo in misura minore.

Nei fenomeni elusivi rientrano anche quelli in cui il soggetto trae vantaggio dalla presenza, sul piano internazionale, di sistemi fiscali più favorevoli di quello verso cui potrebbe sussistere il suo obbligo fiscale, come nel caso dei cosiddetti “paradisi fiscali”, cioè quegli Stati in cui la pressione fiscale è molto più bassa della generalità degli altri Stati. Questi Stati vengono iscritti dagli Stati contro interessati in apposite black list. L’Italia inserisce nella lista i Paesi la cui pressione fiscale sia pari o superiore al 50% della propria. Anche l’Unione europea ha una sua black list, i cui criteri sono attualmente in corso di riesame.

A livello nazionale, l’elusione è materia di attenzione da parte delle autorità ed uffici competenti, ed eventualmente dei giudici, al fine di eliminare le cause e le circostanze ordinamentali e fattuali, che la favoriscono. 

A livello di fiscalità internazionale, l’elusione che concerne esclusivamente lo Stato nazionale e cioè che non ha riflessi sulla finanza di altri Stati, è praticamente irrilevante. Quando invece tali riflessi ci sono, lo Stato che ne beneficia non ha un particolare interesse a occuparsene, salvo che non vi sia tenuto in base ad apposita convenzione, anche multilaterale, come quelle concernenti le royalties.

Considerazioni a parte vanno fatte nel caso che l’elusione sfoci nel rifugiarsi del contribuente nei sopracitati paradisi fiscali. A tale riguardo, infatti, sussiste un interesse comune degli Stati danneggiati.

Con riferimento all’ipotesi che lo Stato di residenza principale riesca a superare l’ambito di incertezza da cui trae origine il fenomeno elusivo ed esiga pertanto dal contribuente il pagamento dell’imposta, prescindendo dal fatto che egli, allo stesso titolo di imposta, la paghi ad un altro Stato può ingenerarsi un caso di doppia imposizione, da risolversi giudizialmente o, preferibilmente, a mezzo convenzione.

 

4. L’evasione fiscale.

L’erosione si ha, in primo luogo, quando, nella competente sede di formazione fiscale (che può essere anche una convenzione internazionale non multilaterale), si decide di esonerare, in tutto o in parte, dalla tassazione esistente o in corso di emanazione categorie di soggetti o determinate attività o situazioni, allo scopo di perseguire finalità di interesse generale di un contesto, nazionale, settoriale o locale. Quando il fenomeno attiene all’imposizione diretta, l’erosione della base imponibile attira i non appartenenti allo Stato a trasferire nello stesso la propria residenza principale. Nell’ipotesi che si tratti di imposizione indiretta, soprattutto se a livello di accise e diritti doganali, si crea un anomalo polo di attrazione per le esportazioni da altri Paesi.

Per quel che concerne il contrasto dell’erosione da parte degli altri Stati, quella che trae origine da una decisione dello Stato di appartenenza o di residenza principale, viene in esso difesa in qualunque contesto in rapporto alla finalità di interesse generale che lo ha indotto ad effettuarla. Ma qualora tale finalità non sussista o cessi, il mantenimento della misura può indurre gli altri Stati a considerare l’atteggiamento dello Stato con la stessa ostilità riservata ai paradisi fiscali.

Il fenomeno fin qui descritto attiene quindi ad ipotesi di basi imponibili, per così dire usuali. Nel concetto di erosione possono però rientrare anche le attività e le situazioni poste in essere dagli operatori economici con tecnicismi del tutto nuovi e fuori dagli schemi dei tributi vigenti e quindi non iscrivibili in alcuna base imponibile usuale. Per cui, anche se in un secondo momento interviene la loro tassazione, tali attività e situazioni producono per un certo tempo effetti irreversibilmente erosivi dei tributi a cui avrebbero potuto essere assoggettati.

Fattispecie del genere si sono verificate agli inizi della globalizzazione e, più di recente, in relazione alle attività digitali e all’utilizzo del web per le vendite. Ed è noto che solo nel 2018 la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha affermata l’assoggettabilità a tassazione delle vendite on line, anche nel caso che il rivenditore non abbia una presenza fisica nello Stato in cui l’acquisto è effettuato.

 

5.-L’impatto dei fenomeni di evasione, elusione ed erosione sul sistema fiscale europeo, alla luce delle sue finalità.

Vediamo ora come i tre fenomeni, con le caratteristiche sopra descritte e con i cennati riferimenti alle normative nazionali e alla fiscalità internazionale, impattano con il sistema fiscale dell’Unione europea.

Questa ricognizione si limita ai profili più propriamente sistematici, con richiamo ai principi che caratterizzano il sistema predetto.

Ciò premesso, si deve altresì precisare, sempre con riferimento ai principi, che il sistema fiscale dell’Unione europea si ispira a due finalità ben distinte. La prima è quella di assolvere alla funzione propria della normativa dell’Unione medesima, talvolta ancora indicata come “comunitaria”, cioè la funzione di indirizzare e armonizzare la legislazione  fiscale degli Stati membri nelle materie di interesse comune. E quindi tanto nei loro reciproci rapporti fiscali quanto nei rapporti che gli stessi intrattengono con gli Stati terzi e quindi con la fiscalità internazionale.

In tale contesto, la normativa fiscale dell’Unione consente agli Stati membri di aderire a convenzioni fiscali internazionali e di adeguare i propri comportamenti agli indirizzi e alle direttive dell’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha 57 Stati aderenti in Europa, Asia centrale e Nord America, che, nel quadro delle sue analisi economiche a vantaggio dei Paesi membri che hanno in comune un’economia di mercato, è diventata particolarmente attiva nel settore tributario, con indirizzi e direttive e altresì partecipando alla lotta contro i crimini di carattere fiscale, favorendo gli scambi di informazioni tra gli Stati membri, anche a livello di giurisdizioni.

La seconda finalità è quella di salvaguardare gli interessi finanziari dell’Unione attraverso la lotta alle irregolarità e frodi che minacciano gli interessi medesimi. Di questa seconda finalità, in cui si innestano la figura e la funzione del Procuratore Europeo, di cui si dirà più oltre.

Per la richiamate caratteristiche attinenti alla sua prima finalità, il sistema fiscale dell’Unione costituisce una fiscalità  sovranazionale più che un ambito della fiscalità internazionale e con quest’ultima essa, per quel che concerne le materie e le questioni rientranti nella sua prima finalità, non si confronta direttamente.

Ciò in quanto, per le questioni stesse, gli interlocutori degli Stati terzi sono i singoli Stati membri, con un’univocità tendenziale di comportamenti e di posizioni nei rapporti con gli Stati terzi medesimi.

Si può parlare di univocità tendenziale e non assoluta poiché, in realtà, gli Stati membri, nonostante la comune matrice normativa comunitaria e pur avendo realizzata, nel quadro della libera circolazione delle merci, l’Unione doganale di cui all’art.30 del T.F.U.E. e pur attenendosi di norma e conseguenzialmente, alle indicazioni della Commissione ai sensi degli artt. 31 e 32 dello stesso TFUE nonché agli effetti della cooperazione doganale di cui all’art.33 ed ai divieti  contenuti negli articoli  dal 34 al 37, tuttavia non hanno ancora raggiunta la piena armonizzazione delle proprie normative prevista dall’art.113 del citato TFUE.

Ciò soprattutto in tema di imposizione indiretta, in cui, ad esempio per l’IVA, vi sono ancora differenze tariffarie tra gli Stati membri, con conseguenze negative per la libera concorrenza, che è uno dei capo saldi del mercato interno.

Quanto al ruolo degli strumenti di giustizia di cui si è munita la UE, è chiaro che essi possono pronunziarsi nei riguardi di comportamenti degli Stati membri non conformi alle Direttive e alle altre norme europee attinenti ai loro rapporti reciproci ed ai loro rapporti con la Commissione ma non anche nei confronti di Stati terzi.

 

6.-Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea e lotta alle frodi ai suoi danni.

Passando ora a trattare la seconda finalità del sistema fiscale europeo, costituita dalla tutela dei suoi interessi finanziari e dalla correlata lotta alle irregolarità e alle frodi che ledono gli interessi medesimi, è opportuno precisare che gli interessi finanziari dell’Unione europea attengono, sostanzialmente, alle entrate proprie e al recupero del non speso o del mal speso sui Fondi strutturali e su altri programmi di intervento.

Tralasciando gli aspetti relativi al versante delle spese, estranei alla tematica qui trattata, per quel che concerne le entrate proprie, vorrei ricordare che esse – come ben specificato nell’articolo “Il sistema di finanziamento dell’Unione europea, pubblicato nel gennaio 2015 da Sara Arnella e Lorenzo Ugolini dello Studio Legale Tributario ”Arnella Associati” - si suddividono in:

- risorse proprie c.d. tradizionali, costituiti dai dazi della tariffa doganale comune e da altri dazi assimilati fissati o da fissare dalle Istituzioni dell’Unione, nonché dai diritti doganali, dalle accise, dalle royalties e simili;

- risorsa propria basata sull’IVA, costituita dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA degli Stati membri, armonizzati e determinati per gli Stati medesimi secondo le regole dell’Unione;

- risorsa propria basata sul RNL-Reddito Nazionale Lordo, derivante dall’applicazione di un’aliquota uniforme alla somma dei rediti nazionali lordi di tutti gli Stati membri. A parte quest’ultima risorsa che ha caratteristiche di entrata da attività finanziaria, le altre due risorse integrano la figura dell’entrata fiscale, come tale a vario titolo “aggredibile” dai tre fenomeni di cui ci siamo occupati, e cioè dall’evasione, dall’elusione e dall’erosione.

Nel linguaggio del Trattato FUE, tali fenomeni vengono chiamati, senza mezzi termini, “frodi”, con riferimento a quei comportamenti che hanno una componente di intenzionalità che si intreccia con l’impiego di raggiri e di altri mezzi truffaldini, ovvero “attività illegali”, in cui rientrano anche le mere irregolarità.

Nei riguardi delle frodi gli Stati membri sono impegnati ad un’attenta attività di prevenzione, controllo e perseguimento, anche penale se ne sussistono i presupposti in base al proprio ordinamento, nonché al recupero nei confronti degli autori delle frodi medesime, soggetti pubblici o privati che siano.

- Su questo punto l’art.325 del TFUE è chiaro ed inequivocabile, ai suoi paragrafi 1 e 2, che recitano come segue:

- “1. L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre  attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione”.

- “2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i propri interessi finanziari”.

Fondamentale è anche la Direttiva 2017/1371c.d.PIF, perché dedicata, appunto, alla protezione degli interessi finanziari dell’Unione. Essa puntualizza quali sono i comportamenti in tema di controlli e accertamenti che devono tenere gli Stati membri nei riguardi delle frodi e dei fattori che le favoriscono.

 

7.-  Gli organismi propri a cui l’Unione si affida per combattere le frodi.

- L’Unione europea, però, non si è affidata esclusivamente ai suoi Stati membri per la tutela dei propri interessi finanziari e per la correlata lotta alle irregolarità e alle frodi, ma si avvale a tal fine anche di suoi organismi, due dei quali già da tempo funzionanti, cioè l’Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), per il quale è recentissima (23 dicembre 2020) l’emanazione di un nuovo ed ancora più stringente regolamento, ed Europol, Agenzia europea per la sicurezza, tra i cui compiti v’è anche la lotta alle frodi fiscali con particolare riferimento a quelle poste in essere dalla criminalità organizzata. Anche per Europol è in corso l’emanazione di un nuovo regolamento.

L’altro organismo, la cui attività sarà concentrata particolarmente sulla  tutela degli interessi finanziari e sulla correlata lotta alle frodi è il Procuratore europeo, col quale i predetti OLAF ed Europol dovranno intensamente collaborare. Di qui l’emanazione dei nuovi regolamenti che li concernono, di cui si è detto.

 

8.- Il Procuratore europeo: profili principali

Con specifico riferimento al Procuratore Europeo ed al suo Ufficio denominato Procura europea, va innanzitutto ricordata la normativa di base, che è costituita dall’art.86 del TFUE e dal Regolamento di attuazione n.2017/1939.L’art..86 del TFUE non lascia dubbi sul fatto che si tratta di un organismo giudiziale, in particolare di un organo di accusa penale. Infatti il paragrafo 1 specifica che il P.E è istituito “per combattere i reti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione” e il paragrafo 5 recita testualmente: “La Procura europea è competente per individuare, perseguire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Essa esercita l’azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri.” Quest’ultima norma costituisce un preciso e circostanziato colpo di grazia inflitto al dogma dell’inviolabilità della sovranità penale degli Stati, che questi ultimi gelosamente difendevano da secoli. Da tale  punto fondamentale – e tenendo conto che la competenza del Procuratore europeo scatta quando il valore del fatto lesivo supera i 10.000 euro-si dipartono una serie di adattamenti dell’amministrazione giudiziaria, amministrativa e tributaria degli Stati aderenti alla nuova esigenza organizzativa. Ciò sia sotto il profilo processuale, dovendosi inserire questa nuova figura di P.M. con le sue prerogative nell’ordinamento giudiziario nazionale, sia sotto il profilo dell’amministrazione giudiziaria in genere ed amministrativa di settore, tra cui la polizia investigativa, come quella che concerne i tributi, in Italia in particolare la Guardia di finanza. Ma l’incidenza della nuova figura di magistratura inquirente non mancherà di farsi sentire anche nel settore dell’amministrazione tributaria in senso di autorità di accertamento  ed  anche di autorità di riferimento dei contribuenti e più in generale di tutti coloro che abbiano o acquisiscano posizioni fiscalmente rilevanti per gli interessi finanziari dell’Unione europea.

Tali interessi, nella maggior parte dei casi coincidono con quelli dello Stato nazionale chiamato dal P.E. a svolgere accertamenti ed indagini, ma potrà anche accadere che un Stato membro sia chiamato ad adempiere a tale onere o obbligo che dir di voglia, per fattispecie che non concernono direttamente i suoi interessi ma quelli di altri Stati membri con cui è tenuto a cooperare, in base alle citate norme sul P.E, quantomeno sul piano penal-finanziario, anche con riferimento alle fattispecie di reato connesse a quelle più propriamente finanziarie.

In particolare, il citato Regolamento istitutivo del P.E. precisa vari aspetti relativi alla coesistenza tra l’organo inquirente e requirente europeo e gli organi inquirenti e requirenti nazionali per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione tra cui primeggiano i reati tributari, soprattutto quelli riconducibili alle organizzazioni criminali.

Il Regolamento tiene conto anche del fatto che non tutti gli Stati membri dell’Unione hanno aderito al Procuratore europeo.

Al momento gli Stati aderenti sono 22 (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia e Spagna).

Per gli Stati non aderenti le norme che  riguardano il P.E. non sono  vincolanti, ma nel Regolamento viene espressamente chiarito che, ove opportuno, la Commissione deve proporre norme intese a garantire un’efficace cooperazione giudiziaria in materia penale e di consegna di cose e persone (con o senza l’utilizzo del mandato d’arresto europeo)tra EPPO e gli Stati membri suddetti.

Per quel che concerne gli Stati terzi, il Regolamento prevede che il P.E. può pervenire ad intese e cooperazioni con gli stessi attraverso vari mezzi, quali le convenzioni multi-bilaterali stipulate dagli Stati aderenti e, a certe condizioni, anche quelle stipulate dagli altri Stati membri dell’Unione. Altri mezzi sono: a) Eurojust, organismo di cooperazione giudiziaria da cui ha tratto origine il Procuratore europeo come espressamente previsto dal paragrafo 1 del citato art.86 TFUE; b) Europol e Olaf, di cui si è detto e che per mandato istituzionale si tengono in contatto anche con le consimili Autorità degli Stati terzi; c) Interpol, come dettagliatamente specificato  nel considerando n.95 del Regolamento.

Per tutti gli aspetti di competenza del P.E. le norme che lo concernono si preoccupano di salvaguardare la riservatezza dei dati personali, anche dei peggiori delinquenti. Il che conferma l’assoluto primato dell’Unione europea nel porre i valori della persona allo stesso livello di quelli economici e politici, per cui è nata.

  

* (Sintesi dell'intervento dell'Autore al Convegno sui "Lineamenti della fiscalità internazionale", tenutosi il 15 e il 22 gennaio 2021 con modalità telematica e organizzato dall'Ordine degli Avvocati di Roma).