A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CEDU: IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM IMPEDISCE L’ARRESTO PROVVISORIO DI UN SOGGETTO DESTINATARIO DI UN “AVVISO ROSSO” EMANATO DALL’INTERPOL NELLO SPAZIO SCHENGEN E NELL’UNIONE EUROPEA (CEDU 12 MAGGIO 2021, C-505/19)

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Nel 2012, su richiesta delle autorità competenti degli Stati Uniti d’America, l’Interpol (Organizzazione internazionale della polizia criminale) emetteva un “avviso rosso” nei confronti di un cittadino tedesco, al fine di localizzarlo, detenerlo, arrestarlo o limitare i suoi spostamenti per una sua eventuale estradizione.

Tale “avviso rosso” (red notice) era stato pubblicato sulla base di un mandato di arresto emesso in relazione alle accuse di corruzione.

Lo Statuto dell’Interpol all’art. 2, lettera a), enuncia quale sia lo scopo che tale organizzazione persegue, quello di assicurare e promuovere la più ampia assistenza reciproca tra le autorità di polizia criminale, nel rispetto dei limiti previsti dalle disposizioni di legge vigenti nei Paesi interessati ed alla luce della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Nel perseguire tale scopo essa utilizza strumenti quali gli “avvisi”. L’art. 73 del Regolamento dell’Interpol sui dati, stabilisce che il sistema degli avvisi è costituito da un insieme di avvisi pubblicati per scopi specifici e contrassegnati da un codice colorato e di avvisi speciali pubblicati nel quadro di una cooperazione specifica non rientranti nella precedente categoria.

Gli avvisi diffusi dall’Interpol per comunicare informazioni su crimini, criminali e minacce da parte della polizia di uno Stato membro (o un’entità internazionale autorizzata) ai loro omologhi in tutto il mondo, sono utilizzati per la ricerca di persone accusate di reati gravi, persone scomparse, corpi non identificati, possibili minacce, evasioni e modus operandi dei criminali. Esistono otto tipi di avvisi, sette dei quali codificati in base alla loro funzione: rosso, blu, verde, giallo, nero, arancione e viola. Un ottavo avviso speciale è rilasciato su richiesta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

L’avviso più noto è quello rosso che è lo strumento più vicino ad un mandato di cattura internazionale. Gli avvisi rossi sono pubblicati su richiesta di un ufficio centrale nazionale o di un ente internazionale con facoltà di svolgere indagini e perseguire reati, allo scopo di richiedere la localizzazione di una persona ricercata, la sua detenzione, il suo arresto o la limitazione dei suoi spostamenti ai fini dell’estradizione, della consegna o di un’azione simile conforme al diritto. Essi sono emessi solo quando siano stati forniti sufficienti dati giuridici, compreso il riferimento di un mandato d’arresto valido o di una decisione giudiziaria equivalente.

Nel 2012 l’Interpol pubblica un avviso rosso nei confronti di un cittadino tedesco, W.S. Tuttavia, ancora prima di tale pubblicazione nei confronti dello stesso era stata avviata un’indagine avente ad oggetto, secondo il giudice del rinvio, gli stessi fatti all’origine dell’avviso rosso. Tale procedimento era stato archiviato nel 2010, dopo il pagamento di una somma di denaro, all’esito di un procedimento specifico di transazione previsto dal diritto penale tedesco. Secondo il giudice del rinvio, pertanto, l’azione penale per i fatti di cui al procedimento principale si era estinta in Germania.

Successivamente, l’Ufficio federale anticrimine Germania, informava l’Interpol che, a suo parere, a causa di tale precedente procedimento, al caso di specie trovava applicazione il principio del ne bis in idem. Tale principio, sancito sia dall’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, sia dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta che una persona che sia già stata giudicata con sentenza definitiva sia nuovamente sottoposta a procedimento penale per lo stesso reato.

Nel 2017, W.S. propone ricorso contro la Germania davanti al Tribunale amministrativo competente, affinchè le fosse ordinato di adottare tutte le misure necessarie per il ritiro del suddetto avviso rosso emesso nei propri confronti. Il cittadino tedesco deduce che, oltre alla violazione del principio del ne bis in idem, nei suoi riguardi vi sia stata anche una violazione del proprio diritto alla libera circolazione, garantito dall’art. 21 TFUE, in quanto egli non può recarsi in uno Stato parte dell’Accordo di Schengen o in uno Stato membro senza rischiare di essere arrestato. Egli ritiene, inoltre, che, a causa di tali violazioni, il trattamento dei suoi dati personali, contenuti nell’avviso rosso, sia contrario alla direttiva 2016/680 relativa alla protezione dei dati personali in materia penale.

Sulla base di tali deduzioni, il Tribunale amministrativo tedesco decide di sospendere il giudizio e di interrogare la Corte europea dei diritti dell’uomo sull’applicazione del principio del ne bis in idem e, più precisamente, sulla possibilità di procedere all’arresto provvisorio di una persona destinataria di un avviso rosso in una situazione come quella di cui trattasi. Inoltre, in caso di applicabilità di tale principio, tale giudice chiede quali siano le conseguenze rispetto al trattamento, da parte degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un simile avviso.

Il giudice del rinvio, a tal proposito, osserva che, il trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso emesso dall’Interpol è lecito solo se e nella misura in cui, da un lato, è necessario per l’esecuzione di un compito attribuito all’autorità competente, dall’altro, si basa sul diritto dell’Unione o dello Stato membro.

Nel caso di specie, il trattamento dei dati personali relativi a W.S. contenuti nell’avviso rosso che lo riguarda, potrebbe essere lecito solo se conforme all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, in combinato disposto con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’art. 21 TFUE. Di contro, nel caso in cui tale trattamento non sia conforme a tali disposizioni, i dati relativi dovrebbero essere cancellati in ragione di quanto previsto dall’art. 7, paragrafo 3, e dall’art. 16 della direttiva 2016/680.

Secondo il giudice del rinvio tale direttiva conterrebbe una lacuna normativa che dovrebbe essere colmata, in quanto essa, agli artt. 36 e 37, fa riferimento unicamente al trasferimento di dati personali all’Interpol e non al trasferimento di tali dati dall’Interpol agli Stati membri. Il fatto che l’Interpol proceda al trasferimento verso gli Stati membri di dati personali contenuti nei suoi avvisi rossi, nonostante l’applicabilità del principio del ne bis in idem ai fatti oggetto di tali avvisi e non assicuri che tali dati siano cancellati quando tale trattamento sia illecito, solleverebbe seri dubbi in merito all’affidabilità, in materia di protezione dei dati personali, di tale organizzazione.

Nell’ipotesi in cui il principio del ne bis in idem si applicasse al caso di specie, rendendo illecito il fatto di continuare a mostrare, nei sistemi nazionali di ricerca, un avviso di ricerca riguardante W.S., emesso da uno Stato terzo e trasmesso mediante un avviso rosso dell’Interpol, non sarebbe consentito agli Stati membri di procedere al trattamento di dati personali contenuti in tale avviso. Di conseguenza, l’avviso di ricerca emesso nei confronti del cittadino tedesco e registrato nei sistemi di ricerca degli Stati membri a seguito della sua pubblicazione dovrebbe essere cancellato, garantendo, pertanto, a W.S. l’esercizio del suo diritto di libera circolazione nell’Unione europea e nello spazio Schengen.

Nella sua sentenza, pronunciata in Grande Sezione, il 12 maggio 2021, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in via preliminare, ricorda che il principio del ne bis in idem può trovare applicazione in una situazione come quella in esame, vale a dire in un contesto in cui sia stata adottata una decisione che archivia in modo definitivo un procedimento penale subordinatamente al rispetto, da parte dell’interessato, di determinate condizioni, in particolare, il pagamento di una somma di denaro fissata dal pubblico ministero.

Ciò premesso, la CEDU dichiara, in primo luogo, che l’art. 54 della Convenzione, l’art. 50 della Carta dei diritti oltre all’art. 21, paragrafo 1 del TFUE, non sono di ostacolo all’arresto provvisorio di una persona destinataria di un avviso rosso emesso dall’Interpol, finché non sia accertato che nei confronti di tale soggetto sia stata pronunciata sentenza definitiva da parte di uno Stato parte dell’Accordo di Schengen o da uno Stato membro per gli stessi fatti su cui l’avviso rosso si basa e che, pertanto, trova applicazione il principio del ne bis in idem. A tal proposito, la Corte europea ritiene che, quando l’applicabilità del principio resta incerta, l’arresto provvisorio può costituire uno strumento indispensabile al fine di procedere alle verifiche necessarie, evitando nello stesso tempo la fuga dell’interessato. In tal caso, tale misura è giustificata dall’obiettivo legittimo di evitare l’impunità del soggetto stesso.

Quando, invece, l’applicazione del principio del ne bis in idem sia stata accertata con una decisione giudiziaria definitiva, sia la fiducia reciproca esistente tra gli Stati che hanno sottoscritto l’Accordo di Schengen, sia il diritto di libera circolazione sono di ostacolo allo strumento dell’arresto provvisorio o al suo mantenimento. La CEDU precisa che, spetta a tali Stati garantire la disponibilità di mezzi di ricorso che consentano agli interessati di ottenere una simile decisione e che, quando un arresto provvisorio sia incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa dell’applicazione del principio del ne bis in idem, uno Stato membro dell’Interpol, astenendosi dal procedere a tale tipo di arresto, non verrebbe meno agli obblighi ad esso incombenti in quanto membro di tale organizzazione.

In secondo luogo, per quanto attiene alla questione dei dati personali contenuti in un avviso rosso emesso dall’Interpol, la Corte europea indica che ogni operazione applicata a tali dati, come la loro registrazione nei sistemi di ricerca di uno Stato membro, costituisca un “trattamento” rientrante nella direttiva 2016/680. Essa ritiene, inoltre, che tale trattamento persegua una finalità legittima e che non possa essere considerato illecito per la sola ragione che il principio del ne bis in idem potrebbe applicarsi ai fatti su cui l’avviso rosso si basa.

Tale trattamento può risultare indispensabile per le autorità degli Stati membri proprio al fine di verificare se tale principio possa trovare applicazione. Secondo la Corte, la direttiva 2016/680 non pone ostacoli al trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso, fino a quando una decisione giudiziaria definitiva non abbia accertato che il principio possa trovare applicazione alla fattispecie. Tuttavia, un simile trattamento deve rispettare le condizioni previste dalla direttiva, cioè essere necessario per l’esecuzione di un compito di un’autorità nazionale competente, ai fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica. Inoltre, gli Stati membri devono prevedere che i dati personali siano trattati in modo lecito e corretto e devono essere raccolti per finalità determinate, esplicite, legittime e trattati in modo non incompatibile con le finalità perseguite dall’autorità competente.

Quando, invece, il principio del ne bis in idem si applica, la registrazione, nei sistemi di ricerca degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un avviso rosso non è più necessaria, dato che la persona di cui trattasi non può più essere sottoposta a procedimento penale per i fatti oggetto di tale avviso né, di conseguenza, essere arrestata per questi stessi fatti.

Di conseguenza, la persona interessata deve poter chiedere al titolare del trattamento la cancellazione, senza ingiustificato ritardo, dei suoi dati. Se, tuttavia, tale registrazione venga mantenuta, essa deve essere accompagnata dall’indicazione che la persona di cui trattasi non può essere sottoposta a procedimento penale in uno Stato membro o in uno Stato contraente per gli stessi fatti, in applicazione del principio del ne bis in idem.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.