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AVV. ANTONELLA ROBERTI

CEDU: LA CORTE DI STRASBURGO SI PRONUNCIA SULLA CONFORMITÀ DELL’OBBLIGATORIETÀ DELLA VACCINAZIONE INFANTILE CON IL PRINCIPIO DI NON INGERENZA NELLA VITA PRIVATA EX ART. 8 CEDU (CEDU 8 APRILE 2021, RICORSO N. 47621/13).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Interessante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo su un tema di grande attualità stante la perdurante emergenza pandemica, l’obbligatorietà della vaccinazione.

La decisione della Corte dell’8 aprile scorso, relativa ad un caso “Ceco”, fissa i criteri ai quali i legislatori dei diversi Stati membri devono conformarsi al fine di rispettare il principio sancito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo di non ingerenza nella vita privata e familiare del singolo.

La CEDU era stata chiamata a pronunciarsi su un caso in cui si dibatteva della legittimità della decisione dell’autorità della Repubblica Ceca che aveva, in un caso, sanzionato con una multa il genitore di un minore e, in altri casi, vietato alle famiglie l’accesso a scuola per non aver sottoposto i propri figli minori alla vaccinazione obbligatoria.

Va premesso che nella Repubblica Ceca esiste un generale obbligo legale di vaccinare i bambini contro nove malattie. Il rispetto di tale obbligo non può essere imposto fisicamente ma il genitore che non vi adempie, senza un valido motivo, può essere multato. I bambini non vaccinati non sono ammessi negli asili nido (fatta eccezione per coloro che non possono essere vaccinati per motivi di salute).

Nella costante giurisprudenza della Corte europea, la vaccinazione obbligatoria, in quanto intervento medico volontario, costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata, tutelata dall’art. 8 della Convenzione. Tuttavia, non ogni ingerenza è proibita. Lo stesso art. 8, al secondo comma, consente di ritenere legittime alcune interferenze purchè rispettino rigorosamente determinati criteri: siano previste dalla legge e costituiscano una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Riguardo alla necessità che l’ingerenza sia prevista dalla legge, occorre che tale legge sia adeguatamente accessibile e formulata con sufficiente precisione al fine di consentire, a coloro ai quali si applica, di regolare la propria condotta e, se necessario, di prevedere le conseguenze che una determinata azione possa comportare. Nel caso sottoposto all’esame della CEDU ricorrevano entrambe le condizioni di accessibilità e di prevedibilità delle norme di diritto interno.

I ricorrenti contestavano, però, il rango della fonte normativa che non era quello della legge parlamentare. Su tale punto la Corte non ha accolto la contestazione ritenendo che il termine “legge” contenuto nell’art. 8 Cedu deve essere inteso in senso sostanziale e non formale. La vaccinazione obbligatoria, pertanto, può essere prevista non solo dalla legge primaria ma anche da atti giuridici di rango inferiore.

L’obiettivo legittimo della legislazione interna è quello di proteggere la salute così come il diritto dei terzi che non possono ricevere le vaccinazioni e si trovano, pertanto, in uno stato di vulnerabilità, contando sul raggiungimento della c.d. “immunità di gregge”. Questo obiettivo corrisponde alle finalità della tutela della salute e della tutela dei diritti altrui riconosciute dall’art. 8 della Convenzione.

I giudici di Strasburgo hanno osservato che nella Repubblica Ceca l’obbligo della vaccinazione è stato fortemente sostenuto dalle competenti autorità sanitarie per proteggersi da possibili gravi perturbazioni della società dovute a gravi malattie. E’ compito e responsabilità di ciascuna autorità nazionale valutare il giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e l’interferenza nella vita privata degli individui, adottando i mezzi più idonei al raggiungimento di tale equilibrio. La Convenzione europea riveste solo un ruolo sussidiario perché non è in grado, a differenza dei singoli Stati, di valutare le esigenze delle singole popolazioni e le loro condizioni di vita. Nel costante orientamento della Corte europea le questioni di politica sanitaria lasciano spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale che si trova nella posizione migliore per valutare l’equilibrio tra gli obiettivi da raggiungere, le risorse a disposizione e le esigenze sociali.

Nella sentenza in commento la CEDU sottolinea che in tutte le decisioni riguardanti i bambini deve essere rispettato il loro superiore interesse che ha, certamente, primaria importanza. Negli Stati membri dell’Unione europea non esiste un unico modello sulla vaccinazione obbligatoria dei bambini, infatti, il bilanciamento tra autodeterminazione e obbligo può declinare in modo diverso; per esempio, l’ordinamento francese, definito a “tendenza impositiva”, limita fortemente l’autodeterminazione in materia. In esso la vaccinazione del bambino è condizione indispensabile per l’iscrizione scolastica, con la sola eccezione di controindicazioni mediche legate alla salute dei piccoli. Le sanzioni previste nei confronti dei genitori sono perfino di natura penale. Di contro, altri ordinamenti, come quello del Regno Unito, danno preminenza al principio di autodeterminazione e si fondano su logiche “promozionali”. In Gran Bretagna spetta esclusivamente ai genitori decidere se vaccinare o meno i figli e solo in caso di ricorso all’autorità giudiziale può giustificarsi l’intromissione dello Stato nella scelta.

Secondo la Corte dei diritti dell’uomo, il problema non è solo quello di contrastare coloro che sono contrari alle vaccinazioni, quanto la necessità di proteggere la salute di tutti i membri della società, in particolar modo dei soggetti vulnerabili rispetto a determinate malattie per la cui tutela si chiede al resto della popolazione di assumere un rischio minimo sotto forma di vaccinazione.

I giudici di Strasburgo, pertanto, condividono la scelta operata dallo Stato Ceco di imporre il dovere di vaccinazione in risposta ad una pressante esigenza sociale di tutela della salute individuale e pubblica soprattutto come difesa di fronte alla tendenza alla diminuzione del tasso di vaccinazione tra i bambini. Per la Corte europea un’ingerenza nella vita privata si considera necessaria in una società democratica per il raggiungimento di uno scopo legittimo quando essa risponde ad un urgente bisogno sociale, le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla siano pertinenti e sufficienti e le misure adottate siano proporzionate allo scopo legittimo perseguito.

Nel caso esaminato tali esigenze erano state rispettate. Il dovere di vaccinazione aveva ad oggetto nove malattie contro le quali la vaccinazione era considerata efficace e sicura da parte della comunità scientifica. In caso di rifiuto di sottoporsi ad essa era prevista una sanzione amministrativa di entità modesta che poteva essere irrogata una sola volta. Inoltre, lo sbarramento all’accesso della scuola dell’infanzia, seppur oggettivamente costituente un pregiudizio per il minore era, comunque, di carattere transitorio, tale da poter essere recuperato nei cicli scolastici successivi, risultando anch’esso proporzionato all’esito del bilanciamento dei diritti coinvolti. La non ammissione a scuola, pur essendo, indubbiamente, un’interferenza nella vita dei minori, non può essere considerata di carattere punitivo ma deve essere intesa come una misura protettiva della salute dei bambini piccoli non vaccinati.

Inoltre, pur non sottovalutando la rinuncia all’istruzione, i minori non sono stati privati di ogni possibilità di sviluppo della loro personalità, sociale ed intellettuale, avendo potuto frequentare la scuola primaria senza alcuna preclusione. Si era trattato, infatti, di una misura preventiva piuttosto che punitiva ed era stata, inoltre, limitata nel tempo in quanto destinata ad esplicare i suoi effetti fino al raggiungimento dell’età prevista per frequentare la c.d. scuola dell’obbligo, dato che i minori erano stati ammessi alla scuola primaria, ammissione che, dunque, non era stata influenzata dal loro stato di vaccinazione. Esistono adeguate garanzie procedurali (ricorsi amministrativi e giudiziari) nel diritto interno al fine di assicurare agli interessati la facoltà di contestare le conseguenze dell’inosservanza dell’obbligo di vaccinazione.

Le misure contestate dai ricorrenti, valutate nell’ambito del sistema nazionale, erano state applicate in un giusto rapporto di proporzionalità rispetto agli scopi legittimi perseguiti dalla Repubblica Ceca attraverso l’imposizione dell’obbligo di vaccinazione. La CEDU ha affermato che, in definitiva, la questione da determinare non era se una diversa politica prescrittiva meno invasiva si sarebbe potuta adottare, ma si trattava di accertare se, nell’assicurare il particolare equilibrio tra le diverse esigenze, le autorità ceche avevano di fatto superato il loro ampio margine di apprezzamento in questo settore. Essa osserva che, la vaccinazione è ritenuta di importanza vitale per proteggere le popolazioni contro malattie che possono avere gravi effetti sulla salute individuale e che, in caso di focolai gravi, possono causare danni all’intera comunità. Solo in rari casi la vaccinazione può rivelarsi dannosa per il singolo, provocando un danno grave alla sua salute; per questi casi, pertanto, è necessario che la legge nazionale preveda la possibilità di ottenere un risarcimento in caso di lesioni.

In conclusione, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che le misure contestate potevano essere considerate “necessarie in una società democratica” al fine di tutelare la salute dell’intera comunità.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.