A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

OMESSA AUDIZIONE DI TESTIMONI E GARANZIE PROCEDIMENTALI NELLA IMPLEMENTAZIONE DEL DIRITTO AD UN PROCESSO EQUO

 Autore: Avv. Marco Bruno Fornaciari

 

Coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o l’innocenza dell’imputato devono, in linea di principio, sentire i testimoni personalmente e valutarne la credibilità. L’esame della credibilità di un testimone è un compito complesso che, normalmente, non può essere compiuto attraverso una semplice lettura delle dichiarazioni di quest’ultimo, riportate nel verbale delle audizioni (1).

Tuttavia, sebbene sia necessario per la giurisdizione che condanna per la prima volta un imputato valutare direttamente le prove sulle quali fonda la sua decisione, questa non è una regola automatica che possa rendere un processo iniquo soltanto perché il giudice in questione non ha sentito tutti i testimoni, menzionati nella sua sentenza, di cui ha dovuto valutare la credibilità. In effetti è opportuno anche tenere conto del valore probatorio delle testimonianze in questione (2).

Gli Stati contraenti godono di una grande libertà nella scelta dei mezzi idonei a permettere al loro sistema giudiziario di rispettare gli imperativi dell’articolo 6 della Convenzione. Il compito della Corte consiste nell’esaminare se la via seguita abbia condotto, in una determinata controversia, a risultati compatibili con la Convenzione, tenuto conto anche delle circostanze specifiche del caso, della sua natura e della sua complessità (3) CEDU, 25 Marzo 2021, ricc. nn. 15931/15 e 16459/15 - Causa Di Martino e Molinari c. Italia.

Con la sentenza dedotta in commento la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo definisce i ricorsi proposti da due cittadini italiani, con i quali i prevenuti - giudicati nell’ordinamento interno secondo il procedimento del giudizio abbreviato di cui agli artt. 438 ss. c. p. p. - denunciavano la omessa audizione dei testimoni da parte della Corte di Appello, che avrebbe importato la riforma in pejus della sentenza del Giudice di prima istanza.

La mancata possibilità per gli imputati di presentare le proprie argomentazioni - conseguente alla mancata audizione di testimoni risultati rilevanti per la sentenza di condanna - avrebbe configurato una violazione del diritto ad un processo equo ex art. 6, § 1 della Convenzione, attesa la giurisprudenza convenzionale conforme, alla stregua della quale ogni rinuncia, da parte di una persona sottoposta alla giustizia, alle garanzie del processo equo deve avvenire in termini volontari, consapevoli ed informati.

La Corte rileva come le ragioni di equità che devono informare il procedimento giurisdizionale importino una valutazione diretta delle testimonianze presentate nel corso dell’esame giudiziale in fatto ed in diritto di una fattispecie di reato, nonché per l’analisi, nel complesso, della questione della colpevolezza ovvero della innocenza dell’imputato, anche nella ipotesi di interpretazione inedita del mezzo istruttorio da parte del Giudice di seconda istanza (cfr., ex multis, CEDU, Lorefice c. Italia, ric. n. 63446/13, § 36, 29 giugno 2017; Igual Coll. c. Spagna, ric. n. 37496/04, § 27, 10 Marzo 2009).

Il Collegio, invero, osserva come coloro in capo ai quali insiste la responsabilità di decidere sulla colpevolezza ovvero sulla innocenza dell’imputato devono, in linea di principio, sentire i testimoni e valutarne la credibilità, quale compito complesso che non si esaurisce nella semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni di quest’ultimo riportate nel verbale delle audizioni.

La valutazione diretta da parte della giurisdizione delle prove che fondano per la prima volta una condanna, peraltro, non integra una regola automatica che possa configurare iniquo un processo nell’ipotesi che il Giudice non abbia audito tutti i testimoni, menzionati nella propria sentenza, di cui ha dovuto valutare la credibilità, attesa la necessità di considerare il valore probatorio di tali testimonianze.

La ricognizione della giurisprudenza convenzionale intervenuta in tema, infatti, rende evidente come risulti importante verificare la sussistenza di un motivo serio che abbia giustificato la mancata comparizione del testimone, il rilievo dirimente o meno della deposizione del testimone assente ai fini della condanna dell’imputato, nonché la presenza di garanzie procedimentali idonee ad assicurare un processo equo, quante volte le dichiarazioni di un testimone non comparso e non interrogato nel corso del processo vengano acquisite a titolo di prova (cfr., ex multis, Dadayan c. Armenia, ric. n. 14078/12, §§ 39 - 43, 6 Settembre 2018).

Le modalità di applicazione dell’art. 6 della Convenzione EDU ai procedimenti di appello, peraltro, dipendono dalle caratteristiche del procedimento in questione: si deve tenere conto dell’intero procedimento condotto nell’ordinamento giuridico interno e del ruolo assolto dalla giurisdizione di appello.

In capo alle Autorità degli Stati contraenti, invero, insiste ampia libertà nella selezione dei mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario il rispetto del disposto dell’art. 6 della Convenzione ed il sindacato della Corte EDU consiste nel verificare se la via seguita abbia condotto, in una determinata controversia, a risultati compatibili con la Convenzione, attese anche le circostanze specifiche del caso, la sua natura e la sua complessità.

La Corte rammenta in primis et ante omnia che ha già avuto occasione di esaminare le particolari caratteristiche del giudizio abbreviato previsto dal Codice di procedura penale dell’ordinamento italiano.

Essa rileva che tale procedimento comporta dei vantaggi indiscutibili per l'imputato: in caso di condanna, quest'ultimo beneficia di una importante riduzione di pena e la pubblica accusa non può interporre appello avverso le sentenze di condanna che non modificano la qualificazione giuridica del reato.

In compenso, il giudizio abbreviato prevede un’attenuazione delle garanzie procedurali offerte dal diritto interno, soprattutto per quanto riguarda la pubblicità del dibattimento, la possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova non contenuti nel fascicolo della procura e quella di ottenere la convocazione dei testimoni (CEDU, Hany c. Italia, ric. n. 17543/05, 6 novembre 2007, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], ric. n. 10249/03, 17 settembre 2009).

Le suddette garanzie costituiscono principi fondamentali del diritto a un processo equo, sancito dall'art. 6, §§ 1 e 3, lett. d) della Convenzione. La Corte rammenta che né il dato testuale né lo spirito dell'art. 6 della Convenzione impediscono a un cittadino di rinunciare spontaneamente, in maniera esplicita o tacita, alle garanzie di un processo equo.

Tuttavia, per essere rilevante dal punto di vista della Convenzione, tale rinuncia deve essere accertata in maniera non equivoca e devono essere previste delle garanzie minime proporzionate alla sua la gravità. Inoltre, tale rinuncia non deve scontrarsi con nessun interesse pubblico importante (Murtazaliyeva c. Russia [GC], ric. n. 36658/05, §§ 117 e 118, 18 dicembre 2018).

La Corte osserva, inoltre, che l'introduzione del giudizio abbreviato da parte del legislatore italiano è volta a semplificare, e dunque ad accelerare, i procedimenti penali. Essa osserva, a tale proposito, che la Raccomandazione n. Rec(87)18 del Comitato dei Ministri riguardante la semplificazione della giustizia penale raccomanda agli Stati membri, nel rispetto dei principi costituzionali e delle tradizioni giuridiche proprie di ciascuno Stato, l'introduzione di procedure semplificate e di procedimenti sommari (questi ultimi sono anche indicati con le espressioni «transazioni penali» o «plea bargaining»), soprattutto allo scopo di far fronte ai problemi posti dalla durata del procedimento penale.

In materia di transazioni penali, pertanto, la Corte ha già avuto occasione di osservare che la possibilità per un imputato di ottenere un'attenuazione delle accuse o una riduzione della pena a condizione che egli ammetta la sua colpevolezza, o che rinunci prima del processo a contestare i fatti, o che collabori pienamente con le autorità inquirenti, è molto comune nei sistemi di giustizia penale degli Stati europei (Litwin c. Germania, ric. n. 29090/06, § 47, 3 novembre 2011).

La Corte rammenta di avere già osservato, nella causa Scoppola che, se è vero che gli Stati contraenti non sono vincolati dalla Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati, rimane comunque il fatto che, quando tali procedimenti esistono e vengono adottati, i principi del processo equo impongono di non privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad esso inerenti.

È contrario al principio della certezza del diritto e alla protezione della fiducia legittima dei cittadini che uno Stato possa, in maniera unilaterale, ridurre i vantaggi derivanti dalla rinuncia ad alcuni diritti inerenti alla nozione di processo equo.

Secondo la Corte, nulla di simile è avvenuto nella fattispecie oggetto di giudizio, nella quale i ricorrenti hanno beneficiato della riduzione di pena derivante dall'applicazione del giudizio abbreviato. Non sembra nemmeno che la causa abbia sollevato delle questioni di interesse pubblico che si opponevano a una tale di rinuncia.

La Corte osserva, tra l'altro, che la Corte di cassazione ha recentemente interpretato in maniera estensiva l'art. 603 c. p. p., prevedendo l'obbligo per le giurisdizioni di appello di ordinare, anche d'ufficio, l'audizione di testimoni decisivi per la condanna, sia nei procedimenti penali ordinari che nei casi in cui il procedimento di primo grado si è svolto secondo il giudizio abbreviato.

Il Collegio sottolinea, a tale riguardo, che la Convenzione non impedisce che gli Stati parte accordino ai diritti e alle libertà che essa garantisce una protezione giuridica più estesa di quella da essa attuata, sia attraverso il diritto interno, sia con altri trattati internazionali, sia attraverso il diritto dell'Unione europea.

Come ha già avuto occasione di rilevare, con il suo sistema di garanzia collettiva dei diritti che essa sancisce, la Convenzione rafforza, conformemente al principio di sussidiarietà, la protezione offerta a livello nazionale. Nulla impedisce agli Stati contraenti di adottare un'interpretazione più ampia che garantisca una maggiore protezione dei diritti e delle libertà in questione nei loro rispettivi ordinamenti giuridici interni, giusta l’art. 53 della Convenzione (cfr., ex multis, CEDU Partito comunista unificato di Turchia e altri c. Turchia, 30 gennaio 1998, § 28; Recueil 1998‑I, Chamaïev e altri c. Georgia e Russia, n. 36378/02, § 500; Gestur Jónsson e Ragnar Halldór Hall c. Islanda [GC], ricc. nn. 68273/14 e 68271/14, § 93, 22 dicembre 2020).

Il Collegio, pertanto, ritiene che i ricorrenti non possano lamentare la violazione del proprio diritto a un processo equo in ragione della mancata audizione da parte della Corte distrettuale dei testimoni, la cui deposizione ha fondato la statuizione di condanna ai danni degli imputati.