A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

NELL’ATTUALE ERA DI TRANSIZIONI QUALE RUOLO E QUALI POTESTA’ PER L’UNIONE EUROPEA?

Autore: Prof. Claudio De Rose, Direttore responsabile e coordinatore scientifico

 

1.-Perché parlare dell’era attuale come un’era di transizioni?

La ragione sta nella constatazione che sin qui non era mai accaduto che si sentisse la necessità di pervenire a nuovi assetti in più ambiti  contemporaneamente e su scala mondiale.

Nei giorni nostri, invece, sono al centro dell’attenzione ben tre generi di transizioni: quella ecologica, quella energetica e quella digitale. E ciascuna di esse concerne un ambito di valori e interessi di estremo rilievo per la convivenza umana.

La concomitanza delle tre transizioni non è casuale e non casuali sono anche le connessioni tra le stesse, trattandosi del maturarsi di spinte evolutive impresse al nostro sistema di vita dal progresso tecnologico e scientifico e da quello economico-produttivo con i suoi processi di globalizzazione e delocalizzazione, a cominciare dal secondo dopoguerra dello scorso secolo.

Solo apparentemente in contraddizione con quanto sopra, ma in realtà indirettamente confermative, sono le altrettanto evidenti tendenze involutive che si accompagnano ai richiamati processi evolutivi, quali i grandi dislivelli di civiltà e di benessere che sussistono tra aree continentali o sub-continentali o al loro interno e a cui si accompagnano lo sfruttamento di risorse umane e naturali, nonchè i guasti ambientali e climatici.

                                                                                                                                                       

2.-Perché l’Unione europea si dà carico delle transizioni?                    

L’Unione si dà carico delle transizioni per due motivi. Il primo sta nel rilievo concreto che le transizioni stesse rivestono per i suoi disegni politici a tutela degli interessi dei popoli europei. Il secondo sta nella vocazione dell’Unione stessa ad essere presente e propositiva negli ambiti di interessi con valenza mondiale, quali sono quelli su cui incidono le tre transizioni qui in considerazione.

Di qui l’esigenza, manifestata dall’Unione europea, che le transizioni siano condotte in modo da pervenire ai nuovi assetti a cui sono finalizzate senza ulteriori penalizzazioni per le aree e i settori di sottosviluppo e per i fattori climatici, ma anzi con effetti migliorativi per gli stessi.

Un’esigenza, quella soprarichiamata, che è divenuta ancora più evidente per effetto della pandemia da Covid-19 e degli sconvolgimenti che ne sono derivati, come egregiamente messo in luce nell’ultimo scritto del compianto David Sassoli, dal titolo “Una certa idea di Europa”, pubblicato su “La Repubblica” del 13 gennaio u.s. con la precisazione che si tratta del testo della prefazione al libro “Verso casa. Il lungo viaggio dell’Europa per ritrovare se stessa” di Donato Benedicenti, edito da Luiss University Press e in uscita il 10 febbraio p.v.

Sul piano sistematico è comunque importante verificare, per ognuna delle transizioni, la rispondenza del ruolo assunto nei suoi riguardi dall’Unione al mandato politico generale o per materia che essa ha ricevuto dal Trattato  e la rispondenza degli strumenti giuridici, di cui essa si è avvalsa e intende ancora avvalersi, alle potestà istituzionali a tal fine conferitele. Ciò soprattutto al fine di accertare la vincolatività per gli Stati membri delle scelte fatte dall’Unione e delle conseguenze che possono derivarne agli Stati stessi e ai loro cittadini.

In termini di vincolatività v’è un’ulteriore chiave di lettura delle posizioni assunte dall’Unione, delle sue iniziative e dei suoi provvedimenti in tema di transizioni. Il riferimento è all’insieme dei meccanismi del programma “Next  Generation”, da essa posti in essere d’intesa con gli Stati membri, ai fini della ripresa dell’economia dai guasti inferti dal Covid-19. Il punto focale del programma è costituito dai finanziamenti, in parte a titolo di contributo ed in parte a titolo di prestito concessi agli Stati membri, anche nelle materie oggetto delle transizioni, agli effetti dei loro Piani nazionali di ripresa e resilienza, con coinvolgimento delle parti sociali e produttive dei singoli Paesi. 

L’iniziativa è di grande rilievo e va tenuta presente come banco di prova non solo di un ritorno dell’Europa unita ai principi e criteri di coesione, solidarietà e cooperazione, che hanno caratterizzato la sua nascita e il superamento di altri suoi difficili momenti, ma anche di un primo approccio alla riforma delle regole finanziarie e di bilancio su cui essa si basa. Per questi aspetti, si richiama la lettera a firma congiunta di Mario Draghi ed Emmanuel Macron resa nota, col titolo “La nostra idea di Europa”, dal quotidiano “La Stampa” del 24 dicembre 2021.

Per una ricognizione degli interventi oggetto di finanziamenti europei rientranti nelle tematiche delle transizioni, si rinvia all’articolo di Carmine Fotina “Progetti Pnrr, messi in moto 65 bandi per 17,6 miliardi” su “Il Sole24ORE” del 16 gennaio 2022.

 

3.-Excursus sintetico delle tre transizioni e delle relative posizioni dell’Unione europea.

3.1.-La transizione ecologica.                                                                                              

La transizione ecologica è da intendersi come l’insieme delle politiche territoriali, ambientali ed energetiche mirate al progressivo abbandono dell’attuale sistema di vita – basato su criteri di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi ispirati al profitto e alla disponibilità senza limiti di comodità ed utilità realizzate attraverso l’impiego di fonti energetiche e  di tecnologie noncuranti delle conseguenze negative in danno dell’ambiente e del clima -  per sostituirlo con un nuovo sistema di vita caratterizzato dal virtuoso utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e non inquinanti e da tecnologie e metodologie di produzione e consumo rispettose dell’ambiente e del clima. Sulla transizione ecologica l’Unione europea ha assunto una posizione di guida degli Stati membri introducendo nel 2019 l’ ”European Green Deal”, cioè una “strategia verde” basata sullo sviluppo sostenibile e sull’economia circolare, che dovrebbe consentire di raggiungere entro il 2050 l’azzeramento delle emissioni inquinanti. Nella strategia “verde” rientrano iniziative, scelte decisionali ed adozione di norme tanto con riferimento al clima quanto con riferimento all’ambiente, due valori per i quali il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in vigore dal 1 dicembre 2009, conferisce alla stessa, agli articoli dal 191 al 193, tanto un ampio mandato politico quanto adeguate potestà istituzionali. Entrambi i mandati valgono sia per i rapporti esterni, con i Paesi terzi e le organizzazioni internazionali, sia nei riguardi degli Stati membri. Attraverso la strategia verde l’Unione è quindi in grado di attuare una vera e propria rivoluzione, in generale accettata dagli Stati membri anche perché, come si è visto, ad essa l’Unione fa riferimento nella distribuzione dei fondi destinati a fronteggiare le conseguenze della pandemia da Covid-19.  La rivoluzione verde si riflette anche sui profili giuridico-operativi della materia, nel senso che da una logica di divieti e sanzioni di ordine penale o civile (“chi inquina paga”) si è passati ad una logica di indicazioni e di controlli intesi ad avviare e gradualmente portare a compimento percorsi di eliminazione o trasformazione e dei sistemi inquinanti o distorsivi dell’ambiente, della biodiversità e del clima. Un risultato che si ritiene di poter ottenere puntando al raggiungimento di una generalizzata linea di tendenza allo sviluppo sostenibile in settori rilevanti, quali l’agricoltura, da rendere il più possibile agro-ecologica, la mobilità, da rendere “green” a zero emissioni, le fonti di energia, da assoggettare a verifica dell’attitudine ad inquinare, per poi progressivamente abbandonare quelle caratterizzate da tale attitudine sostituendole con fonti non inquinanti.         

Quanto alla vincolatività delle disposizioni in tal senso emanate dall’Unione, essa sussiste nei termini e nei limiti previsti dal Trattato per i diversi tipi di atti normativi adottati, salva la possibilità per gli Stati membri di prevedere, a loro volta, norme ancora più restrittive (art.193 citato).

Si tratta, quindi, di una vera e propria rivoluzione, in generale accettata dagli Stati membri anche perché, come si è visto, l’Unione tiene conto della transizione ecologica e dei suoi costi nella distribuzione dei fondi destinati a finanziare i Piano nazionali di ripresa e resilienza.

L’Italia ha recepito il messaggio e si è dotata di uno strumento ad hoc, ridenominando, con D.L. 1 marzo 2021 convertito in Legge 22 aprile 2021 n.55, il Ministero dell’Ambiente come Ministero della transizione ecologica ed attribuendo a quest’ultimo competenze in linea con la sua nuova mission.

Va comunque rilevato che il percorso della strategia verde non è agevole, a causa delle difficoltà che ad essa vengono frapposte dal mondo economico e produttivo nonchè dalle tecnologie basate sulle emissioni e di gestori di attività economiche aventi per oggetto l’utilizzo del suolo e delle acque. Per cui, forse, per ottenere risultati sodisfacenti dalla strategia verde andrebbero previsti incentivi agli operatori economici e strumenti di cooperazione e cofinanziamento tra il settore pubblico e quello privato.

 

3.2) La transizione energetica.

La transizione energetica è strettamente connessa alla transizione ecologica, in quanto che mira ad ottenere il passaggio da uno standard di vita basato sull’impiego di energie inquinanti ad uno standard di vita basato sull’impiego di energie “pulite”, cioè prodotte da fonti rinnovabili e a zero emissioni. E poiché tale passaggio implica l’eliminazione o quantomeno la forte riduzione della ricerca, della produzione e dell’impiego delle fonti energetiche inquinanti, è fuor di dubbio che i risultati della transizione energetica contribuiscono al buon esito della transizione ecologica: quest’ultima, infatti, mira, come si è visto, ad un futuro verde con azzeramento delle fonti d’inquinamento.                                                              

Di quanto sopra l’Unione europea è pienamente convinta e non sorprende, quindi, che essa lanci continui messaggi in tal senso tanto agli Stati membri quanto al Resto del mondo. L’Unione, inoltre, ritiene di poter raggiungere entro il 2030 obbiettivi anche più ambiziosi di quelli contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che sono: a) ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20%; b) portare la quota di energie rinnovabili almeno al 20% del consumo; c) conseguire un risparmio energetico pari o superiore al 20%; d) raggiungere una quota del 10% di energie rinnovabili nel settore dei trasporti.

In tali ambiti una particolare attenzione l’Unione riserva alle città, atteso che nelle stesse le emissioni energetiche inquinanti sono molto intense, per una serie di cause, tra le quali il fumo dei camini degli impianti di riscaldamento e il traffico automobilistico, entrambi con uso di combustibili fossili. Si tratta di una fenomenologia continuamente in crescita, in corrispondenza con l’intensificarsi dell’urbanizzazione, che oggi interessa oltre la metà della popolazione mondiale.

Una conferma di quanto sopra ci viene da uno studio effettuato da un gruppo di esperti delle Università di Pavia e di Brescia sull’impatto positivo che ha avuto nel 2020 il blocco del traffico a Londra, Milano e Parigi nell’ambito del lockdown da Covid-19, per effetto del quale si è verificato, nelle tre città, una drastica riduzione delle emissioni di biossido d’azoto (NO2), che è uno dei principali inquinanti emessi dai veicoli. Per cui fondatamente gli esperti, al termine della loro ricerca e nel titolo dello studio, si sono posti la domanda su quale lezione possa trarsene per il futuro delle città. (La ricerca , pubblicata in lingua inglese col titolo “Analysis of lockdown for Covid-19 impact on NO2 in London, Milan and Paris: What lesson can be learnt?”, è consultabile attraverso il link https://www.sciencedirect.com/scince/article/pii/S095758202031956X?via%3Dihub).

Va anche detto che per le città la necessità di contenere il più possibile i guasti all’ambiente e al clima provocati direttamente o indirettamente dalle emissioni inquinanti rientra in una più generalizzata situazione di degrado territoriale, il che imporrebbe in molte di esse la pianificazione di una rigenerazione urbana a tutto tondo, anche per i risvolti socio-economici che vi si riconnettono. Si richiama, al riguardo, l’articolo di Andrea Boschetti, “La rigenerazione delle città è interesse di tutti”, in “Auto” in uscita il 1 febbraio 2022.

Tornando, su un piano più generale, alla posizione assunta dell’Unione europea in tema di transizione energetica, va detto che il mandato politico e quello istituzionale in materia di energia conferiti all’Unione stessa dal Trattato, all’art.194, non sono ampi ed univoci come quelli conferitile in relazione all’ambiente e al clima dai citati articoli 191-193.

Ed infatti, mentre le indicazioni contenute nella lett. c) del paragrafo 1 di detto art.194 sono in linea con una concezione evoluta dell’energia e con un suo impiego eco-sostenibile (“promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili”),invece quelle contenute nelle altre lettere del medesimo paragrafo appaiono intese ad assicurare il soddisfacimento di interessi propri dell’Unione, garantendo il funzionamento del mercato dell’energia (lett.a), la sicurezza del suo approvvigionamento energetico (lett.b) e la promozione dell’interconnessione delle reti energetiche (lett.d). E cioè un insieme di norme in cui sembra prevalere l’interesse dell’Unione a disporre di una capacità energetica adeguata alle sue esigenze.

In altri termini, il mandato politico e in certi limiti anche quello istituzionale appaiono caratterizzati da un dualismo, cioè da un lato c’è l’interesse a contenere i rischi dell’inquinamento energetico, oggi, come si è visto, fortemente sentito dall’Unione e, dall’altro, quello di non compromettere la sua capacità energetica.

Il che si riflette sulla cautela con cui l’Unione sta trattando la classificazione tassonomica degli investimenti sostenibili nel quadro del Green Deal europeo.

In tale quadro, al fine di attuare l’impatto climatico zero entro il 2050 occorrono investimenti ecosostenibili, pubblici e privati, e la classificazione tassonomica vuole essere una guida per gli investitori nell’individuazione degli investimenti green.

Il Regolamento sulla tassonomia pubblicato il 23 giugno 2020 ed è entrato in vigore il 12 luglio 2020 è ora in fase di revisione. Nel nuovo elenco tassonomico proposto dalla  Commissione europea sono ammessi anche specifici progetti sul gas fossile e sul nucleare che abbiano caratteristiche ecocompatibili.

Ciò  ha originato reazioni contrastanti a livello di Stati membri, taluni dei quali sono contrari alla creazione stessa della tassonomia, sulla quale, ovviamente, si appunta anche l’attenzione dei produttori di energia nonché quella delle organizzazioni ambientalistiche e degli esperti. Queste ultime, in particolare, avversano l’inclusione nell’elenco di investimenti sul gas fossile e sul nucleare. Sul punto si veda: Marco Sambati, “Tassonomia dell’UE: il nucleare e il gas non possono essere una scelta per la transizione energetica, ecologica e sociale”, 14 gennaio 2022, in https://cetri-tires.org/press/2022/tassonomia-dellue-il-nucleare-e-il.

 

3.4) La transizione digitale.                                                                                         

La nozione di transizione digitale a cui si fa qui riferimento è quella di un processo di adeguamento di tutti gli aspetti della società umana alla realtà digitale, sempre più presente in ragione dell’utilizzo generalizzato degli strumenti che la esprimono e cioè dei computer, degli smartphone e delle relative App.

Il processo è in corso da tempo, ma negli ultimi tempi, anche per effetto dei cambiamenti organizzativi imposti dalla pandemia Covid-19, è apparsa evidente la necessità di avvalersi il più possibile della tecnologia digitale nell’attività quotidiana e, a più forte ragione, in contesti di maggior profilo. E cioè, ad esempio, nell’organizzazione delle aziende, degli Enti ed uffici pubblici e privati e delle loro attività gestionali, a carattere produttivo o non, e, in logica proiezione, anche nell’esercizio dei poteri fondamentali dello  Stato, cioè il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario.

A fronte di tale realtà, l’Unione europea non poteva che prenderne atto ed assumere una posizione fiancheggiatrice e, nello stesso tempo, moderatrice, come confermano vari documenti delle Istituzioni europee.

Da ultimo, in “Consilium”del 7 gennaio 2022 (https://www.consilium.europa.eu/it/topics/digital-europe) si legge, sotto la dicitura “Europa digitale”, che le tecnologie digitali sono essenziali nel mondo di oggi e consentono ai cittadini europei di connettersi gli uni con gli altri, di lavorare e ricevere cure mediche. Nel documento si evidenzia, inoltre, che la digitalizzazione apporta molteplici benefici alle persone, creando nuovi posti di lavoro, promuovendo nuove competenze, sviluppando nuovi mercati e rafforzando la competitività dell’Unione europea.                                                                                                                              

E si soggiunge quanto segue: a) la transizione digitale è un elemento chiave per l’autonomia strategica dell’Unione e svolge un ruolo importante anche nell’avvicinare l’Europa al raggiungimento dei suoi obiettivi climatici; b) gli Stati membri assicurano un approccio alla digitalizzazione incentrato sulla persona e improntato al rispetto e alla difesa dei valori e dei diritti fondamentali dell’Unione europea; c) l’Unione si sta attivando in diversi settori per agevolare la transizione digitale.

Come si vede, il breve e conciso  documento esprime sufficientemente la posizione assunta dall’Unione nei riguardi della transizione digitale e, nello stesso tempo, dà agli Stati membri le indicazioni sui criteri a cui  devono attenersi per pervenire ad una transizione in linea con la concezione che di essa ha l’Unione e con la strategia che quest’ultima ha elaborato.

Insomma, in mancanza di una specifica norma del Trattato, gli organi istituzionali dell’Unione si sono auto-attribuiti un mandato politico e un mandato istituzionale in materia. E su questa base hanno altresì stabilito di erogare agli Stati impegnati nella transizione digitale fondi da far confluire nei piani nazionali di resistenza e resilienza.

L’assunzione del descritto ruolo-guida da parte dell’Unione risulta molto importante non soltanto per la vastità e l’onerosità dei processi di transizione digitale ma anche perché nella loro attuazione possono nascondersi rischi di squilibri intersoggettivi.

Né va trascurato il pericolo di comportamenti delittuosi attraverso i meccanismi digitali, per cui sarebbe auspicabile un’azione congiunta dell’Unione e degli Stati membri, intesa a prevenirli e a reprimerli, in coordinamento con quanto già oggi avviene a livello internazionale e di ordinamenti nazionali, per effetto della Raccomandazione del Consiglio d’Europa No.R (89)-9 sulla repressione della criminalità informatica.

Sul tema, si veda l’articolo di Marta Stroppa, “I crimini cibernetici nell’ordinamento giuridico nazionale e internazionale – Aspetti generali ed evoluzione normativa” del 26 maggio 2020, in https://mondointernazionale.com/hub/I-crimini-cibernetici. Nell’articolo viene tra l’altro segnalato che l’Interpol ha riferito un rapido aumento di detti crimini in connessione con la pandemia da Covid-19.