A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA POLITICA REGIONALE COMUNITARIA NEI TRATTATI EUROPEI E NEL PROCESSO DI RIFORMA DEI FONDI STRUTTURALI

Autore: Dott.ssa Letizia Rita Sciumbata

 

Sommario: 1. La politica regionale comunitaria nei Trattati Europei; 2. Il processo di riforma dei fondi a finalità strutturale; 3. Conclusione.

 

1. LA POLITICA REGIONALE COMUNITARIA NEI TRATTATI EUROPEI

Nel Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, la politica di coesione economica e sociale è disciplinata dal Titolo XVII della Parte terza agli artt. 158-162 (ex artt. 130 A-130 E).In particolare, il Trattato ha disposto che la Comunità europea, per promuovere una crescita armoniosa del suo insieme, sviluppa e prosegue la propria azione mediante il rafforzamento della coesione economica e sociale, evidenziando, inoltre, che la stessa Comunità “mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali” (art.158). Con l’articolo successivo 159 ha stabilito che l’azione venga realizzata dagli Stati membri con il sostegno della Comunità Europea mediante i fondi strutturali (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione “orientamento”, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca Europea per gli Investimenti ed altri strumenti finanziari. Oltre a ciò, ha previsto che la Commissione presenti, ogni tre anni, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale ed al Comitato delle Regioni una relazione sui progressi compiuti rispetto alla politica di coesione economica e sociale.

Gli strumenti che dovevano essere utilizzati al fine di rafforzare la coesione economica e sociale sono stati indicati dagli artt. 160, 161 e 162 del Trattato, evidenziando principalmente il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) (art.160).

Oltre a ciò, il Trattato ha previsto l’istituzione, da parte del Consiglio, di un Fondo denominato “Fondo di coesione” destinato agli Stati che presentino un Pil pro capite inferiore al 90% della media comunitaria (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna) ed ha indicato le procedure mediante le quali il Consiglio adotta le norme concernenti il funzionamento della politica di coesione economica e sociale (art.161).

Infine, l’art.162 ha fornito disposizioni sul funzionamento del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS), disponendo le decisioni di applicazione del fondo adottate dal Consiglio, che delibera con procedura di codecisione, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni. Detto Comitato è stato istituito proprio con il Trattato di Maastricht, che ha introdotto il concetto di Regione, in senso istituzionale, a livello comunitario. Lo stesso art.162 ha decretato che il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia, sezione orientamento (FEOGA) ed il Fondo Sociale Europeo (FSE) siano disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 37 e 148.

Nel Trattato si afferma, inoltre, che gli obiettivi previsti devono essere perseguiti nel rispetto del “principio di sussidiarietà”, sancendo che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato”. Da evidenziare che il principio di sussidiarietà è stato esplicitato, per la prima volta, nell’Atto Unico Europeo del 1987 con riferimento alla politica ambientale (Titolo VII, art.130R, comma 4), ma con il Trattato di Maastricht (art.3 B) ha avuto una formalizzazione più estensiva.

Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, ha inserito un apposito “Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità” in base al quale le Istituzioni devono assicurare, nell’esercizio delle loro competenze, il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità conformemente ai quali l’azione della Comunità europea non deve andare oltre a quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi del Trattato. Il “principio di proporzionalità” prevede che se un’azione comunitaria risulti indispensabile per il perseguimento di uno degli obiettivi del Trattato, le Istituzioni devono individuare se la stessa richieda un intervento legislativo o se possano essere utilizzati altri strumenti per la sua realizzazione; si fa riferimento, in particolare, ad un sostegno finanziario oppure ad un incentivo all’azione mediante una risoluzione.

Riguardo al Comitato delle Regioni, il Trattato in argomento ha previsto che il regolamento interno disponesse di una certa autonomia, ossia non richiedesse l’approvazione del Consiglio.

Oltre a ciò, ha disposto che la consultazione del Comitato riguardasse il Parlamento europeo e non solo la Commissione e il Consiglio come in precedenza. Sempre in tema di consultazione, il Trattato ha aumentato le materie su cui si richiedeva la consultazione obbligatoria.

Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1 febbraio 2003, ha previsto per il Comitato delle Regioni che sia “composto di rappresentanti delle collettività regionali e locali, titolari di un mandato elettorale nell'ambito di una collettività regionale o locale oppure politicamente responsabili dinanzi a un'assemblea eletta”.

Inoltre, il Trattato ha introdotto delle innovazioni anche sul procedimento di nomina dei membri del Comitato. In particolare, la nomina da parte del Consiglio deve essere presa conformemente alla proposta avanzata dai singoli Stati Membri. Infatti, il Trattato dispone che “Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta l'elenco dei membri e dei supplenti redatto conformemente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro”.

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009, è composto dal Trattato dell'Unione europea (TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). L'articolo 3, paragrafo 3, del TUE, dispone che l'Unione Europea "promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri". Quindi, aggiunge alla coesione economica e sociale anche la coesione territoriale ribadendo il ruolo rilevante attribuito a quest’ultima, quale terzo obiettivo della politica regionale comunitaria. Da considerare, inoltre, il Titolo XVIII della parte quarta del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, dedicato alla "Coesione economica, sociale e territoriale", che comprende gli articoli 174-178 sulle politiche regionali e i fondi strutturali, che sostituiscono gli ex articoli 158-162 del Trattato di Maastricht.

In particolare, l'articolo 177 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) stabilisce che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni, definiscono i compiti, gli obiettivi prioritari e l'organizzazione dei fondi a finalità strutturale.

Il Trattato di Lisbona disciplina anche il principio di sussidiarietà, disponendo che "In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità” (art. 5, paragrafo 3, del TUE). Come si può riscontrare, il suindicato principio viene rivolto anche alle istituzioni regionali e locali. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, il Trattato dispone che “In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità” (art. 5, paragrafo 4, del TUE).

Per quanto riguarda sempre il principio di sussidiarietà[1], è opportuno citare due procedimenti: quello del “cartellino giallo” e quello del “cartellino arancione”, introdotto quest’ultimo dal Trattato di Lisbona.

Il procedimento del "cartellino giallo" stabilisce che se un terzo dei Parlamenti nazionali respinge una proposta legislativa, sancendo che si tratta di una violazione del principio di sussidiarietà, la Commissione europea è tenuta a riesaminarla; mentre è stato introdotto il procedimento del “cartellino arancione” secondo cui i Parlamenti nazionali possono effettuare un controllo sull'applicazione del principio di sussidiarietà. In particolare, è previsto che se una maggioranza semplice di Parlamenti nazionali ritiene che una proposta non rispetti il principio di sussidiarietà, la Commissione, se ritiene di dover mantenere la proposta, dovrà informare il Parlamento europeo e il Consiglio, i quali, se sono d’accordo, potranno respingere la proposta legislativa[2]. In particolare, se il legislatore (Parlamento e Consiglio) ritiene che la proposta legislativa non sia compatibile con il principio di sussidiarietà, può respingerla deliberando a maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o a maggioranza dei voti espressi nell’ambito del Parlamento europeo.

Sempre in materia di sussidiarietà, il Trattato di Lisbona attribuisce al Comitato delle Regioni il diritto di presentare ricorso presso la Corte di giustizia dell'Unione Europea per richiedere l'annullamento degli atti legislativi dell'Unione Europea, se ritiene che questi violino il principio di sussidiarietà.

Per quel che concerne il Comitato delle Regioni, il Trattato in argomento prevede l’aumento del mandato dei membri da quattro a cinque anni e quello del Presidente da due a due anni e mezzo. Inoltre, dispone la consultazione obbligatoria del Comitato in materia di coesione economica, sociale e territoriale e di fondi strutturali.

Sulla base delle disposizioni della decisione (UE) 2019/852 del Consiglio, del 21 maggio 2019, il Comitato delle Regioni si compone di 329 membri e di altrettanti supplenti, ripartiti tra gli Stati membri; all’Italia ne spetta, insieme alla Germania e alla Francia, il numero maggiore, ossia 24.

Per il periodo 2020-2025, nel luglio 2020 il Comitato delle Regioni ha adottato tre priorità politiche: priorità n. 1) Avvicinare l'Europa ai cittadini; priorità n. 2) Gestire le trasformazioni sociali fondamentali; priorità n. 3) La coesione, il nostro valore fondamentale[3].

 

2. IL PROCESSO DI RIFORMA DEI FONDI A FINALITA’ STRUTTURALE

La politica regionale comunitaria si sviluppa mediante un’azione di sostegno dell’Unione europea, che si attua con l’istituzione e la gestione dei fondi a finalità strutturale.

Tali fondi sono soggetti a cicli di programmazione pluriennale di sette anni. I più recenti riguardano i periodi 2014-2020 e 2021-2027. In particolare, nel 2018 è stato presentato il nuovo quadro pluriennale relativo al periodo 2021-2027 che tiene conto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea il 1° febbraio 2020.

Fin dalla sua costituzione, la Comunità europea (ora Unione Europea) è stata caratterizzata dalla presenza di divari regionali tra Stati membri e di squilibri riscontrabili all’interno del territorio di ciascuno degli Stati.

Il Trattato di Roma del 1957 ha istituito due Fondi: Il Fondo Sociale Europeo (FSE) e il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (FEAOG sezione orientamento). Con il Regolamento del Consiglio n.724/1975 è stato istituito il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS) con cui sono stati aggiunti elementi regionali; mentre, nel 1994, con il Trattato di Maastricht, è stato creato il Fondo di coesione.

Con il processo di allargamento della Comunità ad est, gli squilibri territoriali hanno assunto connotazioni diverse principalmente per l’inserimento di Stati caratterizzati da condizioni socioeconomiche e culturali differenti rispetto a quelle degli Stati fondatori della Comunità ed a quelli subentrati con gli allargamenti effettuati nel corso degli anni.

L’avvio, alla fine degli anni ottanta, di una politica di coesione economica e sociale è stato determinato proprio dalla volontà di ridurre le disparità all’interno della Comunità europea.

Il Regolamento CEE n.2088/85 del Consiglio del 23 luglio 1985 relativo ai Programmi Integrati Mediterranei costituisce il primo intervento programmatico organico e coordinato dei tre fondi strutturali: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS), Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA).

La predisposizione dei Programmi Integrati Mediterranei ha dato inizio ad un periodo finalizzato a privilegiare la scelta territoriale come ambito di intervento ed un approccio integrato.

La Riforma dei fondi strutturali nel 1988 introdotta con l’Atto Unico Europeo e proseguita con il Regolamento CEE n.2052/88 relativo alle missioni dei fondi a finalità strutturale, a sua volta riformato nel 1993 con l’adozione del Regolamento n.2081/93, rappresentano una svolta nella politica comunitaria.

La Riforma dei fondi strutturali, attuata a partire dal 1989, ha definito i principi ispiratori della politica comunitaria, tra cui la programmazione pluriennale delle misure attraverso la predisposizione dei Quadri Comunitari di Sostegno e dei Programmi Operativi; la cooperazione tra Comunità, Stato e Regioni attraverso la partnership; il raddoppio delle risorse finanziarie in dotazione dei Fondi strutturali; l’addizionalità finanziaria dell’intervento comunitario rispetto a quello nazionale; la concentrazione geografica e funzionale degli interventi strutturali.

Per quanto riguarda la programmazione pluriennale, il Regolamento (CEE) 2088/85 di istituzione dei PIM ha previsto che i programmi fossero elaborati dalle autorità regionali o da altre autorità designate dallo Stato membro. Con il D.P.C.M. 1 febbraio 1986, la predisposizione dei PIM è stata attribuita alle Regioni, mentre al Ministero per il coordinamento delle politiche comunitarie è stata assegnata la titolarità dei rapporti tra autorità territoriali e la CEE.

Il principio di cofinanziamento dispone la partecipazione finanziaria delle Istituzioni collocate ai diversi livelli di governo. Una spesa cofinanziata dai Fondi non può beneficiare dell'intervento di un altro strumento finanziario comunitario.

La concentrazione degli interventi ha lo scopo di consentire alle risorse di perseguire risultati di rilievo nelle aree di intervento.

La compartecipazione o partnership è attuata mediante lo strumento del partenariato inteso come una concertazione stretta tra la Commissione, lo Stato membro, le autorità a livello nazionale e i soggetti pubblici e privati locali. Il Regolamento n.2052/88 la definisce, infatti, “una concertazione stretta per la Commissione, lo Stato membro interessato e le autorità competenti designate da quest’ultimo a livello nazionale, regionale e locale o altro, essendo, tutte queste parti, compartecipanti che perseguono uno scopo comune”. La partnership si realizza sia nella fase di elaborazione dei programmi (Commissione, Stato, Regione), sia nella gestione degli interventi (Comitato di Sorveglianza ai due livelli: nazionale e regionale).

L’addizionalità, riguardante le spese oggetto di cofinanziamento da parte dei Fondi Strutturali, è finalizzata ad evitare che le risorse dell’Unione Europea finanzino le spese nazionali.

Nel 1993 si è concluso il processo di revisione della Riforma del 1988 con l’adozione da parte del Consiglio di 6 Regolamenti (da n.2080/93 a n.2085/93), di cui il Regolamento-quadro (n.2081/93) ha sostenuto il principio di concentrazione dell’azione comunitaria sui sei Obiettivi prioritari.

Si indicano i seguenti Obiettivi che riguardano la Riforma del 1988 per poi specificare le modifiche apportate dalla Riforma del 1993:

Obiettivo 1: è volto alla promozione dello sviluppo e dell’adeguamento strutturale delle Regioni in ritardo mediante investimenti nei settori della comunicazione, dell’industria artigianato e servizi, del turismo, delle risorse agricole, della pesca, delle infrastrutture di supporto, della valorizzazione delle risorse umane (FERS, FSE e FEOGA). Tale Obiettivo è destinato alle Regioni che presentano il PIL pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. In Italia, le Regioni interessate sono quelle del Mezzogiorno.

Obiettivo 2: è finalizzato alla riconversione delle regioni gravemente compite da declino industriale.

Obiettivo 3: lotta alla disoccupazione di lunga durata (FSE)

Obiettivo 4: inserimento professionale dei giovani (FSE)

Obiettivo 5a: adeguamento delle strutture agrarie (FEOGA)

Obiettivo 5b: promozione dello sviluppo delle zone rurali caratterizzate da un basso livello di sviluppo socioeconomico.

Obiettivo 6: aggiunto successivamente, riguarda l’adeguamento strutturale delle regioni settentrionali dell’Europa a bassissima densità della popolazione (8 abitanti per Kmq).

Lo stesso Regolamento-quadro ha disciplinato il Nuovo Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca (SFOP).

Come già precisato, la Riforma del 1993 relativa al periodo 1994-1999 ha modificato gli Obiettivi della Riforma del 1988. Infatti, i nuovi Regolamenti hanno ampliato l’ambito dell’Obiettivo 3 destinandolo non solo ai disoccupati di lunga durata, ma anche ai giovani in cerca di prima occupazione ed a coloro che rischiano di rimanere esclusi dal mercato del lavoro; mentre, il nuovo Obiettivo 4 è stato finalizzato ad “agevolare l’adeguamento dei lavoratori alle trasformazioni industriali e all’evoluzione dei sistemi di produzione” e l’Obiettivo 5b è stato finalizzato a creare un certo livello disviluppo e un adeguamento strutturale delle zone rurali.

La successiva fase evolutiva dei fondi a finalità strutturale è caratterizzata da numerosi passaggi: dall’Agenda 2000 ai Regolamenti del 1999.

Nel documento Agenda 2000, la politica di coesione economica e sociale è strettamente legata al processo di allargamento dell’Unione Europea ad est. In relazione a ciò, l’Agenza 2000 ha disposto una riduzione delle aree ammesse alla ripartizione dei fondi sulla base degli Obiettivi previsti al fine di inserire gradualmente gli Stati che nel 2004 avrebbero aderito all’Unione Europea. Questi Stati presentano, infatti, difficoltà socioeconomiche e strutturali tali da richiedere un loro inserimento nelle aree in ritardo di sviluppo.

Per quanto riguarda la Riforma dei fondi strutturali, la Commissione europea nell’Agenda 2000 ha previsto la riduzione degli Obiettivi a 3.

L’Obiettivo 1 è uguale a quello precedente, prevedendo finanziamenti a favore delle Regioni con un PIL inferiore al 75% rispetto a quello della media comunitaria; mentre il nuovo Obiettivo 2 riguarda le zone in cui la trasformazione strutturale interessa i settori dell’industria, dei servizi e della pesca, le zone rurali colpite da declino a causa dell’insufficiente diversificazione economica ed i quartieri urbani in crisi per la perdita di attività economiche. L’Obiettivo 3, relativo allo sviluppo delle risorse umane grazie agli interventi del Fondo Sociale Europeo, è rivolto alle zone che non rientrano negli Obiettivi 1 e 2 d è finalizzato alla promozione di settori d’intervento inclusi nell’ambito della strategia europea per l’occupazione: mutamenti economici e sociali, formazione e perfezionamento permanenti, politica attiva di lotta contro la disoccupazione e l’emarginazione sociale.

Il programma di Agenda 2000 è ripreso dai Regolamenti adottati nel 1999 che hanno disciplinato l’attività dei fondi strutturali nel periodo 2000-2006. Si tratta di un Regolamento generale (n.1260/99) e di tre Regolamenti settoriali concernenti il funzionamento di ciascuno strumento finanziario: il Regolamento (CE) n.1257/99 riguarda il FEOGA; il Regolamento (CE) n.1261/99 è relativo al FERS ed il Regolamento (CE) n.1262/99 disciplina il FSE. Il 12 luglio 1999 sono state adottate le versioni emendate dei Regolamenti relativi al FERS (Reg. CE n.1783/99) ed al FSE (Reg. CE n.1784/99).

In linea generale, si può affermare che la Riforma dei fondi strutturali del 1999 è rappresentata da un consolidamento della concentrazione degli aiuti, ma anche dall’intenzione di privilegiare la semplificazione ed il decentramento della gestione dei fondi.

A titolo di esempio, si può rilevare che la riduzione degli Obiettivi a 3, disposta dal Regolamento generale (CE) n.1260/99, non è altro che una conferma del principio di concentrazione degli interventi.

Nell’Obiettivo 1 rientrano non solo le Regioni con un Pil inferiore al 75% rispetto a quello della media comunitaria, ma anche le Regioni ultra periferiche (dipartimenti francesi d’oltremare, Azzorre, Madera e Isole Canarie), nonché le zone dell’ex Obiettivo 6 (scarsissima densità di popolazione: 8 abitanti per Kmq) istituito in seguito dell’adesione dell’Austria, della Svezia e della Finlandia. Come in precedenza, i 2/3 dei fondi sono assegnati alle Regioni dell’Obiettivo 1 e le misure devono riguardare circa il 20% della popolazione.

Nell’Obiettivo 2 (ex Obiettivi 2 e 5b) vengono incluse le zone industriali in difficoltà, le zone rurali in declino, le zone di crisi che dipendono dalla pesca ed i quartieri urbani degradati.

L’Obiettivo 3 (ex Obiettivi 3 e 4) privilegi a interventi di sviluppo delle risorse umane al di fuori delle Regioni dell’Obiettivo 1.

Nel successivo periodo di programmazione 2007-2013[4], la Riforma si è incentrata sui seguenti Regolamenti (CE):

- Regolamento generale (CE) n.1083/2006 dell’11 luglio 2006 che abroga il Regolamento (CE) n. 1260/99;

- Regolamento (CE) n.1080/2006 del 5 luglio 2006 relativo al FERS che abroga il Regolamento (CE) n.1783/99;

- Regolamento (CE) n.1081/2006 del 5 luglio 2006 relativo al FSE che abroga il Regolamento (CE) n.1784/99;

- Regolamento (CE) n.1084/2006 dell’11 luglio 2006 che abroga il Regolamento (CE) n.1164/94;

- Regolamento (CE) n.1082/2006 del 5 luglio 2006 relativo ad un Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT);

- Regolamento (CE) n.1085/2006 del 17 luglio 2006 che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA).

La programmazione 2007-2013ha previsto tre Obiettivi, in particolare:

- Obiettivo «Convergenza», che si incentra sull’innovazione e la società della conoscenza, sui miglioramenti economici e sociali, della qualità dell’ambiente e dell’efficienza amministrativa e che ha lo scopo principale di sviluppare la crescita e l’occupazione nelle Regioni svantaggiate. Questo obiettivo è finanziato dal FESR, dal FSE e dal Fondo di coesione.

- Obiettivo «Competitività regionale e occupazione», il quale è finalizzato a sostenere la competitività e le attrazioni delle Regioni, così come lo sviluppo dell’occupazione, cercando di anticipare i cambiamenti economici e sociali. Questo obiettivo comprende tutte le aree dell’Unione europea che non rientrano nell’obiettivo «Convergenza» ed è finanziato dal FESR e dal FSE.

- Obiettivo «Cooperazione territoriale europea», che ha lo scopo di sostenere le tre tipologie di cooperazione, quali la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Esso intende sviluppare interventi comuni a differenti Stati membri nelle seguenti priorità: sviluppo urbano, rurale e costiero, sviluppo delle relazioni economiche e collegamento in rete delle piccole e medie imprese (PMI). La cooperazione per questo obiettivo è basata sulla ricerca, sulla società dell’informazione, sulla tutela dell’ambiente, sulla prevenzione dei rischi e sulla gestione integrata delle risorse idriche. Da precisare che le regioni ammissibili a questo obiettivo possono fruire anche dei suindicati obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e occupazione». E’ finanziato dal FESR.

Per quel che concerne il periodo 2014-2020[5], sempre in riferimento ai fondi strutturali, è da precisare che nel 2013 è stato adottato il Regolamento (UE) n.1303/2013 modificato dal Regolamento (UE) 2015/1839 del 14 ottobre 2015 e integrato dal Regolamento delegato (UE) 2015/1970 e dal Regolamento di esecuzione (UE) 2015/1974.

Il Regolamento n.1303 ha stabilito norme comuni sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS), sul Fondo Sociale Europeo (FSE), sul Fondo di Coesione (FC), sul Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEARS) e sul Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP). Detti fondi strutturali e d’investimento europei sono definiti “SIE”.

Il predetto Regolamento (UE) 1303/2013 ha previsto che l’utilizzo dei fondi strutturali fosse coerente con i principi generali (partenariato e governance a più livelli; promozione della parità fra uomini e donne e non discriminazione; sviluppo sostenibile e fine di preservare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente) e i principi di funzionamento (concentrazione tematica, condizionalità ex ante, verifica dell’efficacia dell’attuazione).

Come già evidenziato, il primo gennaio 2014 è stata attivata la programmazione dei Fondi strutturali che ha riguardato il periodo 2014-2020. Relativamente a questo settennio, uno degli obiettivi della politica regionale europea è quello di realizzare le finalità della strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; mentre un altro obiettivo è quello di destinare investimenti a tutte le regioni dell’Unione Europea, cercando di adeguare gli interventi di sostegno e il contributo nazionale (tasso di cofinanziamento) ai loro livelli di sviluppo.

Le Regioni di riferimento sono le seguenti:

-regioni meno sviluppate, il cui PIL procapite è inferiore al 75% della media del PIL dell’Unione Europea;

-regioni in transizione, il cui PIL procapite è compreso tra il 75% e il 90% della media del PIL dell’Unione Europea;

-regioni più sviluppate il cui PIL procapite è superiore al 90% della media del PIL dell’Unione Europea.

Per quel che concerne l’attività stabilita nel periodo 2014-2020 dalla politica regionale comunitaria, il Regolamento (UE) 1303/2013 ha previsto l’adozione di un Quadro Strategico Comune e, in base a questo documento, ogni Stato membro deve elaborare un Accordo di Partenariato, predisposto con la partecipazione delle istituzioni nazionali in collaborazione con quelle regionali e locali e di quelle economiche e sociali, adottato di concerto con la Commissione europea.

Il “Quadro Strategico Comune” (QSC) è definito dal Regolamento UE n.1303/2013 che all’art.10 dispone: “Il QSC agevola la preparazione dell’Accordo di Partenariato e dei Programmi in ottemperanza ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà e tenendo conto delle competenze nazionali e regionali, allo scopo di decidere le misure specifiche e appropriate in termini di politiche di coordinamento”.

A partire dal suindicato documento, ogni Stato membro deve predisporre nell’“Accordo di partenariato” gli obiettivi tematici di seguito indicati:

-ricerca, sviluppo tecnologico, ed innovazione; tecnologie della comunicazione e dell’informazione; competitività delle PMI; transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio; adattamento al cambiamento climatico e prevenzione e gestione dei rischi; tutela dell’ambiente e uso efficiente delle risorse FERS; trasporti sostenibili  e rimozione delle strozzature nelle principali infrastrutture di rete; occupazione e sostegno alla mobilità del lavoro; inclusione sociale e lotta alla povertà; educazione, competenze e apprendimento permanente; capacità istituzionale  e amministrazioni pubbliche efficienti.

Insieme all’Accordo di partenariato, che sostituisce il superato Quadro Strategico Nazionale (QSN),la programmazione viene prevista all’interno di singoli Programmi Operativi Nazionali e Regionali, così come nei Programmi di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Da precisare che queste ultime tre tipologie di Programmi fanno parte della Cooperazione Territoriale Europea, ossia del terzo obiettivo della politica di coesione economica e sociale europea.

A differenza delle programmazioni relative ai periodi precedenti, la Commissione ha trasmesso alle istituzioni nazionali un Position paper con cui ha indicato la propria visione agli Stati membri prima che questi ultimi elaborassero il proprio Accordo di partenariato.

Saranno, a questo punto, qui di seguito, esaminati alcuni dei fondi riguardanti il periodo 2014-2020[6].

I Fondi sono i seguenti: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS), Fondo Sociale Europeo (FSE), Fondo di Coesione, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEARS), Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP) e Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione (FEG).

Il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS) è normato dall’art.176 TFUE, nonché dal Regolamento Generale (UE) n.1303/2013 del 17 dicembre 2013 e dai Regolamenti (UE) n.1301/2013 e n.1300/2013. Da precisare che nel Regolamento Generale (UE) n.1303/2013 esso provvede al finanziamento degli investimenti nell’ambito della ricerca e dello sviluppo tecnologico, investimenti produttivi che consentono di creare posti di lavoro durevoli, così come investimenti nelle infrastrutture e nelle iniziative locali nelle piccole e medie imprese. Come suindicato, detto fondo è disciplinato anche dai Regolamenti (UE) n.1301/2013 e n.1300/2013 che stabiliscono il sostegno al turismo sostenibile e al patrimonio culturale e naturale; mentre, il Fondo Sociale Europeo (FSE) è disciplinato dagli artt. 162-164 TFUE, dal Regolamento Generale (UE) n.1303/2013 del 17 dicembre 2013 e dal Regolamento (UE) n.1304/2013. Quest’ultimo regolamento, che ha sostituito il Regolamento (UE) n.1081/2006, prevede di sviluppare l’occupazione, di contrastare il fenomeno della povertà e di promuovere l’istruzione e la formazione. Un ulteriore Fondo è Il Fondo di Coesione che è stato istituito con Regolamento (CE) n.1164/1994 ed è disciplinato dall’art. 177 TFUE e dal Regolamento (UE) n.1300/2013. Gli obiettivi sono quelli di finanziare progetti nei settori dell’ambiente e dei trasporti, con particolare riferimento al settore dell’infrastruttura dei trasporti e altri interventi tra cui l’efficienza energetica e le energie rinnovabili; oltre a ciò, sono previsti interventi al di fuori della reti transeuropee, quali quelli fluviali,  ferroviari e marittimi. Da aggiungere il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEARS)che è finalizzato a superare le problematiche alle quali devono far fronte le zone rurali dell’Unione Europea e il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP) che supporta i pescatori favorendo l’uso di metodi di pesca sostenibili e si pone, altresì, l’obiettivo di migliorare la qualità della vita nelle aree costiere. Da ultimo, il Fondo Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione (FEG) che è stato istituito nel 2006 per il periodo di programmazione 1gennaio 2007 – 31 dicembre 2013 con l’obiettivo di prendere in considerazione i lavoratori collocati in esubero a seguito di notevoli trasformazioni nel settore del commercio mondiale.

Dal punto di vista degli strumenti, si può constatare come l’Unione Europea, con la creazione di una cornice comune di programmazione per tutti gli interventi, si sia diretta verso un rafforzamento dell’integrazione fra i differenti Fondi europei.

Relativamente all’attuale periodo 2021-2027, la programmazione avviene in due fasi: in una prima fase la programmazione riguarda solo i primi cinque anni (2021-2025), mentre gli stanziamenti degli ultimi due anni (2026-2027) saranno stabiliti in base ai risultati di un riesame che terrà conto delle priorità e degli obiettivi iniziali dei programmi, prendendo in considerazione i progressi nel conseguimento degli obiettivi raggiunti entro il 2024 e le modifiche dal punto di vista sociale ed economico[7].

Per quanto riguarda la programmazione 2021-2027, si evidenzia il ripristino della regola n+2 che sostituisce la regola n+3 nel senso che la Commissione disimpegnerà una quota di stanziamenti se questa non è stata utilizzata o se alla fine del secondo anno non sono state trasmesse le domande di pagamento.

Nel periodo 2021-2027 gli investimenti dell’UE sono orientati a raggiungere 5 obiettivi principali:  

  1. un’Europa più intelligente, mediante la promozione di una trasformazione economica innovativa e intelligente;
  2. un’Europa più verde, mediante la transizione verso un'energia pulita, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la gestione dei rischi;
  3. un’Europa più connessa, attraverso il rafforzamento della mobilità e della connettività regionale; 
  4. un’Europa più sociale, attraverso l'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali;
  5. un’Europa più vicina ai cittadini, attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali.

Pertanto, nell’Accordo di Partenariato lo Stato deve specificare quali dei cinque obiettivi strategici sopra menzionati intenda perseguire, mediante quali obiettivi specifici e quali fondi strutturali. Detto Accordo comprende i sette fondi a gestione concorrente, in particolare, per l’Italia include oltre al FERS, al FSE e la FEAMP anche il Fondo Asilo e Migrazione (AMIF), lo Strumento per la Gestione delle Frontiere e i Visti (BMVI) e il Fondo per la Sicurezza Interna (ISF).

La Commissione europea, il 29 maggio 2018, ha presentato un pacchetto di proposte di regolamenti che sono volte a normare la politica regionale comunitaria nel periodo successivo al 2020[8]. In particolare, dette proposte si riferiscono al quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027. Da precisare che le proposte sono state successivamente cambiate sia per fronteggiare le conseguenze non prevedibili della pandemia di coronavirus, sia per interagire con i nuovi ambiti strategici derivanti dal Green Deal europeo.

Il 1 luglio 2021 è entrato in vigore il pacchetto regolamentare che disciplina i fondi strutturali e d’investimento, per un ammontare di oltre 330 miliardi di EUR (a prezzi 2018) relativo al periodo di programmazione della politica di coesione 2021-2027. Detto valore coincide con circa un terzo del bilancio dell’UE[9].

I Regolamenti sono i seguenti:

Regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, che istituisce il Fondo per una transizione giusta. Detto Fondo, che si rivolge agli enti pubblici costituendo le condizioni di prestito preferenziali, ha lo scopo di ridurre i costi socio economici che derivano dalla transizione nei confronti di un’economia neutra dal punto di vista del clima ed è ritenuto un elemento chiave del Green Deal europeo. Esso impegna un importo  complessivo di 19,2 miliardi di € (a prezzi correnti).

- Regolamento (UE) 2021/1057 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, che istituisce il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e che abroga il Regolamento (UE) n. 1296/2013. Il Fondo sociale europeo Plus è il principale fondo dell'UE per supportare l’occupazione e per realizzare una società equa e inclusiva. Oltre a ciò, detto fondo è finalizzato anche a garantire un futuro migliore ai giovani ed a lottare contro la povertà infantile. Esso impegna un importo pari a 99,3 miliardi di € (a prezzi correnti) per il periodo 2021-2027.

- Regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione. Il FESR è finalizzato a sostenere gli aspetti prioritari delle politiche dell'Unione Europea mediante una concentrazione tematica delle risorse. Inoltre, è volto a rafforzare la coesione economica e sociale nell'Unione europea cercando di superare gli squilibri tra le sue regioni. Il Fondo di coesione è utilizzato per interventi nel settore ambientale e in quello delle reti transeuropee in materia di infrastrutture dei trasporti.

- Regolamento (UE) 2021/1059 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, recante disposizioni specifiche per l'obiettivo «Cooperazione territoriale europea» (Interreg) sostenuto dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dagli strumenti di finanziamento esterno. La cooperazione territoriale europea (Interreg), quale terzo obiettivo della politica regionale comunitaria, si articola in cooperazione transfrontaliera, in quella transnazionale e in quella interregionale. Da precisare che detto regolamento prevede la cooperazione ai confini esterni dell'Unione Europea, per la quale si utilizzano i relativi strumenti esterni e introduce nuove azioni dedicate al sostegno della cooperazione regionale delle regioni ultra periferiche. Esso impegna un importo pari a 8,1 miliardi di €.

- Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, recante le disposizioni comuni relative al Fondo per una transizione giusta, al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo di coesione, al Fondo sociale europeo Plus, al Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura e le regole finanziarie applicabili a tali fondi e al Fondo Asilo, migrazione e integrazione, al Fondo Sicurezza interna e allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti.

A conclusione dell’analisi sui regolamenti, si può sicuramente affermare che la politica regionale comunitaria costituisce l’espressione più reale della solidarietà tra gli Stati dell’Unione Europea tenuto conto che la maggior parte delle risorse è destinata agli Stati membri e alle Regioni meno sviluppati con l’obiettivo di promuoverne la coesione sociale, economica e territoriale.

I finanziamenti destinati alla politica di coesione per il periodo 2021-2027 sono così suddivisi[10]:

  • Circa 200 miliardi di EUR sono destinati al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)  che si interessa di sviluppo urbano sostenibile, sostegno alla competitività e creazione di posti di lavoro nelle piccole e medie imprese. Da precisare che il programma Interreg è finanziato dal FESR, con 8 miliardi di EUR, ed è volto all’implementazione di progetti transfrontalieri che sono finalizzati a consentire che le regioni di frontiera sviluppino le loro potenzialità economiche;
  • I 42,5 miliardi di EUR del Fondo di coesione, che sono destinati agli Stati membri il cui Reddito Nazionale Lordo (RNL) pro capite è inferiore al 90% della media dell’UE, sono finalizzati a creare reti transeuropee dei trasporti ed a sviluppare progetti nei settori dell’energia e dei trasporti utili all’ambiente;
  • Al Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+) sono destinati 88 miliardi di EUR che hanno lo scopo di istituire posti di lavoro e di migliorare l’istruzione, la formazione e l’inclusione sociale.

Nel dicembre 2020, è stato adottato lo strumento ReactEU, con una dotazione (fino al 2023) di 47,5 miliardi di EUR, che viene utilizzato quale integrazione per la politica regionale comunitaria 2014-2020 e si aggiunge alle risorse per quella del periodo 2021-2027. ReactEU rafforza i settori più rilevanti per programmare ed implementare un considerevole sviluppo dopo la crisi di COVID-19.

Infine, è opportuno evidenziare che, nel corso del periodo di programmazione 2021-2027, alle risorse stanziate per la politica di coesione dal bilancio europeo e da quello nazionale, si sono aggiunte le dotazioni previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per favorire la coesione territoriale[11].

 

CONCLUSIONE

Come si evince dall’analisi effettuata nel corso del presente articolo sulla politica regionale comunitaria, l’Unione europea, fin dal Trattato del 1957, si è posta l’obiettivo di contribuire a superare i divari tra Stati membri e all’interno dei singoli Stati ed a creare uno sviluppo armonioso della Comunità. Il Preambolo del Trattato, infatti, prevedeva che gli Stati membri fossero “solleciti di rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni ed il ritardo di quelle meno favorite".

I diversi allargamenti dell’Unione europea hanno prodotto ulteriori divergenze, con particolare riferimento all’allargamento ad est del 1 maggio 2004 quando sono entrati nell’Unione Europea simultariamente 10 Stati, differenti dal punto di vista politico, economico e sociale rispetto ai Paesi fondatori(Italia, Germania, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) ed a quelli subentrati successivamente. Da precisare che gli allargamenti avvenuti in precedenza avevano visto l’ingresso nell’Unione Europea di Stati simili ai Paesi fondatori. A questo punto, è interessante evidenziare l’iter del suindicato allargamento del 2004. Già nel 1993, il Consiglio Europeo di Copenaghen aveva riconosciuto il diritto di Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale ad aderire all’Unione Europea purchè soddisfacessero tre criteri relativi alla politica (istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, la preminenza del diritto, i diritti umani e il rispetto delle minoranze), all’economia (economia di mercato) e al recepimento dell’acquis comunitario (sottoscrizione delle diverse finalità politiche, economiche e monetarie dell’Unione Europea). Tali criteri sono stati ribaditi, d’altronde, al Consiglio Europeo di Madrid del 1995 nel quale è stata stabilita la necessità di adeguare le strutture amministrative dei Paesi candidati. Il Consiglio Europeo di Lussemburgo del 1997 ha poi accettato le candidature di 10 Stati, ma ha deciso di procedere in due fasi. Successivamente, il Consiglio europeo di Copenaghen del 2002 ha stabilito che 10 Stati che avevano presentato domanda di adesione soddisfacessero i requisiti e, quindi, il 1 maggio 2004 hanno aderito all’UE.

In seguito, il 1 gennaio 2007 hanno aderito la Romania e la Bulgaria e il 1 luglio 2013 la Croazia.

La politica di adesione ai Trattati ha avuto un’inversione di tendenza con la brexit e l’uscita del Regno Unito, Il 1 febbraio 2020, dall’Unione Europea.

Nel corso dei diversi periodi di programmazione, fino a quest’ultimo del 2021-2027, l’Unione Europea si è adoperata per sviluppare una politica regionale comunitaria volta a migliorare le condizioni  delle regioni meno sviluppate senza tralasciare le regioni più favorite al fine di creare un legame stretto tra territori comunitari ed a promuovere la coesione economica e sociale.

In tema di rapporti stretti tra territori comunitari, un aspetto da considerare, è la “Cooperazione Territoriale Europea”, divenuta nel periodo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, terzo obiettivo della politica regionale comunitaria e che si articola in cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Da precisare che il Regolamento (UE) n.1299/2013 ha previsto un sostegno del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FERS) per questo obiettivo. Al fine di implementare quanto previsto per detta Cooperazione in termini di impatto degli interventi su tutta l’Unione Europea, quest’ultima ha stabilito di concentrarsi su un numero limitato di obiettivi tematici, quali: l’elevato tasso di occupazione anche attraverso il turismo sostenibile, la cultura e il patrimonio naturale; lo sviluppo della capacità amministrativa; lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza; la ricerca e l’innovazione; l’istituzione di sistemi per lo scambio transfrontaliero di informazioni; l’economia più verde.

Come dimostra quanto esposto nel presente articolo, la politica regionale comunitaria costituisce il fulcro per rafforzare il ruolo delle istituzioni regionali a livello comunitario e ci consente di capire che tale percorso, intrapreso principalmente con il Trattato di Maastricht e proseguito con il Trattato di Lisbona e anche con le rilevanti riforme dei fondi strutturali mediante l’adozione di numerosi Regolamenti, è ancora in atto. Certo, è da migliorare la partecipazione  delle Regioni al processo decisionale europeo, ma la strada intrapresa sembra andare in questa direzione. Elementi significativi in questo senso sono il principio di sussidiarietà, istituito con l’Atto Unico Europeo per il settore ambientale ed esteso formalmente con il Trattato di Maastricht  e che con il Trattato di Lisbona viene rivolto anche alle istituzioni regionali e locali, e l’istituzione del Comitato delle Regioni da parte del Trattato di Maastricht. Per quanto riguarda questo organo, l’aspetto più rilevante è che per la prima volta le regioni non sono più solo aree con determinate caratteristiche socioeconomiche su cui far ricadere gli interventi, ma istituzioni che vengono rappresentate a livello europeo. E’ un riconoscimento importante del ruolo che le Regioni ricoprono nel processo di integrazione europea in quanto interlocutori dell’Unione Europea non sono solo gli Stati membri, ma sono anche le Regioni che sono chiamate ad interloquire sulle questioni che le riguardano direttamente. Come esposto nell’articolo, il Comitato delle Regioni nel corso degli anni ha accresciuto il proprio ruolo e sulla base delle disposizioni della decisione (UE) 2019/852 del Consiglio del 21 maggio 2019 si compone di 329 membri e di altrettanti supplenti suddivisi tra gli Stati membri; all’Italia ne spettano 24.

Ci si auspica che nel futuro la politica regionale comunitaria possa contribuire a rendere l’Unione Europea sempre più sviluppata in termini politici, economici e sociali attraverso una rilevante riduzione dei divari regionali all’interno di ciascuno Stato membro e tra gli Stati stessi e un ruolo sempre più forte delle Regioni nel processo di integrazione europea.

 

Autore: Dott.ssa Letizia Rita Sciumbata, Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche attualmente in servizio presso il Ministero dell’Università e della Ricerca.

  

[1] Parlamento Europeo, Ufficio in Italia, Trattato di Lisbona.

[2] Parlamento Europeo, Note tematiche sull’Unione Europea, 2021.

[3] Parlamento Europeo, Note sintetiche sull’Unione Europea, 2021.

[4] Commissione europea, La politica di coesione 2007-2013. Osservazioni e testi ufficiali, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2007.

[5] Simone, Manuale di Diritto Comunitario, 2020.

[6] Simone, Manuale di Diritto Comunitario, 2020.

[7] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, La nuova programmazione 2021-2027 ed il futuro della politica di coesione, 24 giugno 2019.

[8] Commissione europea, comunicato stampa 25 giugno 2021, Bruxelles.

[9] Agenzia per la coesione territoriale, comunicazione, news istituzionali “Al via il pacchetto regolamentare 2021-2027 del nuovo periodo di Programmazione dei Fondi europei”, 2021.

[10] Agenzia per la coesione territoriale, comunicazione, news istituzionali “Al via il pacchetto regolamentare 2021-2027 del nuovo periodo di Programmazione dei Fondi europei”, 2021.

[11] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche di coesione, la politica di coesione, la programmazione 2021-2027, le risorse finanziarie 2021-2027, 2022.