A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LA CORTE UE SI PRONUNCIA SULLA PERDITA DEI DIRITTI CONNESSI ALLA CITTADINANZA EUROPEA COME CONSEGUENZA DELLA BREXIT (CGUE GIUGNO 2022, C-67320). 

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Il recesso del Regno Unito dall’Unione europea, dal mercato unico e dall’unione doganale, come sancito dal referendum del 23 giugno 2016, ha determinato una serie di conseguenze in molteplici settori. La decisione di lasciare l’Unione europea è stata seguita da un periodo di transizione in cui il Regno Unito ha continuato a far parte del mercato unico e dell’unione doganale per permettere gli intensi negoziati sui rapporti futuri che si sono conclusi con un accordo raggiunto a fine dicembre 2020, dibattuto ed approvato dal Parlamento europeo durante la sessione plenaria di aprile 2021 ed entrato in vigore il 1° maggio dello stesso anno.

L’accordo riguarda la protezione dei diritti dei cittadini europei che vivono nel Regno Unito e dei cittadini britannici che al contrario vivono in altri Paesi europei, gli impegni finanziari assunti in precedenza dal Regno Unito come Stato membro UE ed il problema delle frontiere.

Tale accordo, relativo agli scambi commerciali ed alla cooperazione, stabilisce regimi preferenziali in settori quali gli scambi di merci e servizi, il commercio digitale, la proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, l’aviazione ed i trasporti su strada, l’energia, la pesca, il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, la cooperazione delle autorità di contrasto e giudiziarie in materia penale, la cooperazione tematica e la partecipazione ai programmi dell’Unione.

Esso si fonda su disposizioni che garantiscono condizioni di parità ed il rispetto dei diritti fondamentali e costituisce una solida base per preservare la collaborazione futura tra le parti.

Nonostante la regolarizzazione normativa dei rapporti tra l’Unione europea ed il Regno Unito, con il trascorrere del tempo si emergono varie problematiche, una delle quali è quella in commento sottoposta all’attenzione della Corte di Giustizia UE riguardante il riconoscimento del diritto di voto e di eleggibilità connesso al riconoscimento della cittadinanza europea.

Secondo la Corte, i cittadini britannici che godevano dei diritti connessi alla cittadinanza europea non beneficiano più, dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione, del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nel loro Stato membro di residenza.

Il caso all’esame della Corte di Giustizia ha come protagonista una cittadina britannica che risiede in Francia dal 1984, sposata con un cittadino francese ma priva della cittadinanza francese. A seguito dell’entrata in vigore dell’accordo di recesso successivo alla Brexit, l’Istituto nazionale di statistica e studi economici, competente a cancellare dal registro elettorale gli elettori deceduti e quelli che non dispongono più del diritto di voto, ha provveduto a cancellare la signora dalle liste elettorali del comune di Thoux (Francia), impedendole così di partecipare alle elezioni comunali tenutesi in Francia il 15 marzo del 2020.

Nell’ottobre dello stesso anno la signora ha presentato istanza di reiscrizione nelle liste elettorali riservate ai cittadini non francesi dell’unione europea, respinta, però, dal sindaco del comune di Thoux.

Contro tale decisione l’istante decide di proporre ricorso davanti al Tribunale giudiziario di Auch (Francia), giudice del rinvio, sostenendo di non godere più del diritto di voto e di eleggibilità nel Regno Unito a causa della norma britannica cosiddetta “dei 15 anni”, in forza della quale il cittadino britannico che risiede da più di 15 anni all’estero non è più autorizzato a partecipare alle elezioni indette nel Regno Unito; la signora, pertanto, sarebbe priva di qualsiasi diritto di voto e di eleggibilità, sia in Francia che nel Regno Unito.

Il Tribunale, investito del ricorso, decide sollevare quattro questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Con la prima e la seconda chiede se i cittadini del Regno Unito continuino ad essere cittadini dell’Unione ed a godere dei benefici connessi a tale status come prima della Brexit. Se così non fosse, con la terza e la quarta questione, esso chiede alla Corte UE di valutare la validità dell’accordo di recesso, in particolare, alla luce del principio di proporzionalità[1].

L’Avvocato generale, il cui compito è quello di proporre alla Corte di Giustizia, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato, nelle sue conclusioni ha sottolineato come la cittadinanza europea si aggiunge a quella conferita dallo Stato membro e non la sostituisce. Egli, richiamando precedenti sentenze della stessa Corte UE[2] riconosce espressamente che gli Stati membri conservano il potere di determinare chi sia il loro cittadino e, di conseguenza, il cittadino dell’Unione.

L’Avvocato constata che, a partire dall’entrata in vigore dell’accordo di recesso, i cittadini britannici non hanno più goduto del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, riconosciuto in quanto cittadini europei. Di conseguenza, a seguito del recesso del Regno Unito dall’UE, i cittadini britannici hanno cessato di essere cittadini dell’Unione.

L’Avvocato generale osserva, inoltre, che, tenuto conto dello status di Paese terzo del Regno Unito a seguito del recesso, non si può contestare la decisione 2020/135 relativa alla conclusione dell’accordo di recesso per non aver riconosciuto ai cittadini britannici il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza, né durante il periodo di transizione, né successivamente. La perdita di tali diritti è una delle conseguenze della decisione sovrana del Regno Unito di separarsi dall’Unione europea che equivale ad un rigetto dei principi sottesi all’Unione stessa, e, poiché, l’accordo di recesso è diretto ad agevolare l’uscita del Regno Unito dall’Unione, questa non si trovava in posizione tale da poter insistere sul fatto che il Regno Unito si conformasse pienamente a qualsiasi principio fondamentale del diritto dell’UE.

L’Unione europea non poteva neppure garantire diritti che, in ogni caso, non era tenuta a difendere a nome di individui-cittadini di uno Stato che l’ha abbandonata e che, quindi, non erano più suoi cittadini.

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 9 giugno scorso, ritiene che, dal momento del recesso del Regno Unito dall’Unione, 1° febbraio 2020, i cittadini britannici che hanno trasferito la loro residenza in uno Stato membro prima della fine del periodo di transizione, non beneficiano più dello status di cittadino dell’Unione, né, in particolare, del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nel loro Stato membro di residenza anche nel caso in cui siano privati, in forza del diritto dello Stato di cui sono cittadini, del diritto di voto alle elezioni indette da quest’ultimo.

La Corte ricorda che, la cittadinanza dell’Unione europea richiede il possesso della cittadinanza di uno Stato membro. Inoltre, mentre la cittadinanza dell’Unione conferisce ai cittadini della stessa residenti in uno Stato membro di cui non sono cittadini, in diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni previste per i cittadini di quest’ultimo, nessuna disposizione dei trattati sancisce, invece, tale diritto a favore dei cittadini di Stati terzi.

Di conseguenza, la circostanza che un singolo, quando lo Stato di cui è cittadino era uno Stato membro dell’UE, abbia trasferito la propria residenza nel territorio di un altro Stato membro non  idonea a consentirgli di conservare lo status di cittadino europeo e l’insieme dei diritti ad esso collegati dal diritto dell’Unione se, a seguito del recesso del suo Stato di origine dall’Unione, egli non è più in possesso della cittadinanza di uno Stato membro.

Dato che i cittadini del Regno Unito, dal 1° febbraio 2020, sono cittadini di uno Stato terzo, essi, da tale momento, hanno perso lo status di cittadini dell’Unione non beneficiando più del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nel loro Stato membro di residenza. Questo costituisce una conseguenza automatica della Brexit, cioè della sola decisione sovrana adottata dal Regno Unito di recedere dall’Unione europea.

La Corte conclude ritenendo che la decisione 2020/135 che ha approvato l’accordo di recesso non è invalida per il fatto che tale accordo non conferisce ai cittadini britannici che hanno trasferito la loro residenza in uno Stato membro prima della fine del periodo di transizione il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nel loro Stato membro di residenza.

Giova sempre ricordare che, il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte di Giustizia in merito all’interpretazione del diritto dell’unione o alla validità di un atto della stessa. La Corte europea non risolve la controversia nazionale spettando al giudice nazionale risolvere la causa in conformità alla decisione della Corte.

Tale decisione, comunque, vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.

 

[1] Il principio di proporzionalità è sancito dall’art. 5 del Trattato sull’Unione europea secondo il quale “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione devono limitarsi a quanto è necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”.

 

[2] Sentenza Rottman del 2 marzo 2010, C-135/08; sentenza Tjebbes e a. del 12 marzo 2019, C-221/17; sentenza Wiener Landesregierung e a. del 18 gennaio 2022, C- 118/20.