A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LA CORTE EUROPEA SI PRONUNCIA SUL RAPPORTO TRA L’AUTORITÀ DI COSA GIUDICATA ED IL DIRITTO DEL CONSUMATORE DI CONTESTARE L’ABUSIVITÀ DI CLAUSOLE CONTRATTUALI ANCHE NELLE PROCEDURE ESECUTIVE PROMOSSE A SEGUITO DI DECRETI INGIUNTIVI NON OPPOSTI (CGUE 17 MAGGIO 2022, CAUSE RIUNITE, C-693/19, C-831/19, C-725/19, C-869/19).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La decisione della Corte di Giustizia europea del 17 maggio 2022 ha la sua fonte in varie domande di pronuncia pregiudiziale presentate da giudici spagnoli, da giudici italiani e da un giudice rumeno, vertenti sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE (artt. 6 e 7), concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e l’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea[1].

Tali domande venivano presentate nell’ambito di procedimenti esecutivi dove i relativi decreti ingiuntivi avevano acquisito autorità di cosa giudicata per mancata opposizione.

La Corte, innanzitutto, ricorda l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione, sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Al fine di garantire, sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è  importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione. Essa, inoltre, ricorda che il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13/CEE si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale, sia il livello di informazione; situazione questa che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse ed è per questo che la direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori.

Si tratta di una disposizione imperativa diretta a sostituire all’equilibrio formale del contratto un equilibrio reale.

La Corte di Giustizia sottolinea come sia dovere del giudice nazionale esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13/CEE e che gli Stati membri sono obbligati a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserimento nei contratti di tali tipi di clausole. Le disposizioni procedurali nazionali, infatti, devono soddisfare il principio di effettività, nel senso che devono assolvere ad un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva.

Per quanto riguarda specificamente le controversie davanti al giudice italiano, Tribunale di Milano, le domande sono state presentate nell’ambito di due procedimenti che vedono contrapposti, da un lato, diversi istituti credito e dall’altro, più consumatori in merito a procedimenti di esecuzione forzata basati su titoli esecutivi che hanno acquisito autorità di cosa giudicata. In particolare, uno dei decreti ingiuntivi, mai opposto, era stato pronunciato nei confronti di un soggetto che solo dopo la pronuncia Tarcau[2], posteriore all’atto ingiuntivo, poteva giovarsi della qualifica di consumatore. Il giudice italiano dell’esecuzione si interroga sul carattere abusivo della clausola penale e della clausola che prevede un interesse moratorio dei contratti di finanziamento, nonché sul carattere abusivo di talune clausole dei contratti di fideiussione. E’ sulla base di tali contratti che i creditori hanno ottenuto decreti ingiuntivi divenuti definitivi. Tuttavia, il giudice rileva che, in forza dei principi processuali nazionali, in caso di mancata opposizione da parte del consumatore, l’autorità di cosa giudicata di un decreto ingiuntivo copre il carattere non abusivo delle clausole del contratto di fideiussione, e ciò anche in assenza di qualsiasi esame espresso, da parte del giudice che ha emesso tale decreto ingiuntivo, del carattere abusivo di tali clausole.

Il Tribunale di Milano, quindi, solleva questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, interrogando la Corte europea sul seguente quesito di diritto: se la speciale protezione di cui gode il consumatore impone che nel successivo procedimento di opposizione all’esecuzione il giudice possa conoscere della validità del titolo e, pertanto, censurare le eventuali pattuizioni vessatorie ai sensi della direttiva 93/13/CEE e degli artt. 33 e ss. del Codice del Consumo (L. 29 luglio 2003, n. 229).

Il codice di procedura civile italiano sul procedimento ingiuntivo prevede due regole fondamentali: l’art. 647 c.p.c., secondo cui se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, lo dichiara esecutivo, per cui l’opposizione non può essere più proposta né perseguita, salvo quanto disposto dall’art. 650 c.p.c.

L’art. 650 c.p.c. stabilisce che l’intimato può fare opposizione anche dopo che sia scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notifica o per caso fortuito o forza maggiore. L’opposizione non è più ammessa decorsi 10 gg. dal primo atto di esecuzione.

Il Tribunale sosteneva che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro che non sia stato oggetto di opposizione, acquista autorità di cosa giudicata, non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo così ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a sostegno della relativa domanda. Tale giurisprudenza ha portato ad applicare al decreto ingiuntivo non opposto il principio del “giudicato implicito”, secondo il quale si ritiene che il giudice che si è pronunciato su una determinata questione abbia necessariamente risolto tutte le altre questioni preliminari. Il tutto, però, in violazione del diritto di difesa, sancito dall’art. 113 Cost., secondo cui “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

La questione sollevata dal giudice del rinvio ha un’importanza epocale perché il principio sancito dalla Corte di Giustizia UE può estendersi oltre la nullità della fideiussione ed applicarsi a tutti i contratti in cui ci sia uno squilibrio tra consumatore e professionista. La direttiva 93/13/CEE, infatti, impone agli Stati membri di fornire al consumatore (inteso come contraente debole) mezzi adeguati ed efficaci a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti.

La direttiva, all’art. 6, paragrafo 1, prevede che le clausole abusive non vincolano i consumatori e siano, pertanto, nulle ed all’art.7, paragrafo 1, impone agli  Stati membri di fornire al consumatore mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti. Si tratta di disposizioni imperative dirette a rimediare lo squilibrio contrattuale delle parti e finalizzate a ristabilire l’uguaglianza tra le stesse. Dalla costante giurisprudenza della Corte europea risulta che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausole contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio  che esiste tra il consumatore ed il professionista, qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.

Nonostante l’importanza che il principio di autorità di cosa giudicata rivesta nell’ordinamento italiano e nel diritto dell’Unione, la Corte di Giustizia UE ha ribadito che l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione. Da questo ne discende la rilevabilità d’ufficio della nullità del titolo esecutivo per violazione della normativa posta a tutela del consumatore.

La decisione della Corte di Giustizia europea del 17 maggio 2022 è parte di uno “sciame” di sentenze, con le quali si è assestato un colpo fatale all’idea dell’intangibilità del giudicato prodotta dal decreto ingiuntivo ormai non più opponibile: la Corte, infatti, ha chiarito che, quando il provvedimento monitorio non contiene, come invece deve, un’espressa motivazione in ordine alla validità del titolo, il suo passaggio in giudicato non osta ad un esame officioso sull’”abusività” delle clausole contrattuali del titolo stesso, nel senso che va garantito un controllo efficace sull’eventuale carattere abusivo delle pattuizioni in esso contenute[3].

Il consumatore non può, ove tale esame si risolva in suo favore, con conseguente caducazione del decreto ingiuntivo, recuperare il bene pignorato trasferito a terzi, ma può adire le vie ordinarie per far valere i propri diritti risarcitori nei confronti del creditore-professionista[4]. Nel caso di impugnazione della decisione che dispone sull’opposizione, l’eventuale acquiescenza prestata verso il mancato esame sulla validità del titolo non esclude il dovere del giudice di “sollevare d’ufficio un motivo di impugnazione”[5]. Il potere di compiere tale esame ed eventualmente il potere di sospendere il titolo, non può competere solo al giudice del gravame davanti al quale può impugnarsi il titolo giudiziale, ma deve anche essere riconosciuto al giudice dell’esecuzione o dell’opposizione esecutiva[6], il quale, se può ordinare la prestazione di una cauzione, deve dosarla tenendo conto della condizione del consumatore.

La decisione della Corte di Giustizia UE si basa sul sillogismo normativo secondo il quale l’assenza dell’indagine sulla conformità del titolo alla disciplina consumeristica si presume come conseguenza della mancata motivazione del provvedimento ingiuntivo al riguardo.

La pronuncia in commento, “abbatte” il muro del giudicato, aprendovi un varco a tutto vantaggio della “parte più debole”, che nel caso di specie è il consumatore, ma che potrebbe essere incarnata in una pluralità di soggetti, tanti quanti sono gli statuti di protezione sanzionati dal legislatore europeo. Si dà luogo così ad un istituto di diritto europeo in base al quale l’esame sommario circa la validità del titolo, compiuto dal giudice del procedimento monitorio è insufficiente e priva il consumatore (parte contrattuale più debole) della protezione ex officio e del rilievo della nullità delle clausole abusive da parte del giudice. A tale esame, il consumatore continua ad avere diritto che sia nel corso del giudizio di opposizione all’esecuzione ovvero in un successivo processo di cognizione ordinaria sebbene solo agli effetti risarcitori e non restitutori.

Secondo alcuni autori, la decisione della Corte, che sembra dettata più da preoccupazioni in tema di effettività del diritto, arricchisce lo statuto processuale del consumatore e, in genere, di ogni categoria protetta, a discapito, però, dell’armonia del sistema ed a spese della certezza dei rapporti giuridici, rischiando di penalizzare ingiustamente il professionista (parte contrattuale più forte) ormai giunto all’esecuzione coattiva del proprio diritto “consacrato” nel provvedimento monitorio.

La sentenza della Corte di Giustizia, invece, rinnova la consegna al giudice del monitorio di un compito di protezione del consumatore capace di mutare la fisionomia dell’istruzione probatoria del procedimento per ingiunzione, inaugurando così una stagione che potrebbe fungere da apripista per una cultura del procedimento monitorio più attenta alla posizione del destinatario dell’ordine di pagamento, anche se non consumatore.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.

 

[1] La direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 2013, protegge i consumatori dell’Unione da clausole e condizioni abusive che potrebbero essere incluse in un contratto di adesione per i beni ed i servizi che acquistano ed introduce il concetto  di “buona fede” per evitare qualsiasi significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci. Come parte del New Deal per i consumatori, la direttiva 93/13/CEE è stata modificata dalla direttiva 2019/2161/UE, volta a modernizzare il diritto dell’Unione ed a migliorarne l’applicazione. Ai sensi della nuova direttiva, i Paesi dell’Unione devono essere in grado di irrogare effettive, proporzionate e dissuasive sanzioni nei casi in cui, in relazione ad azioni coordinate conformemente al regolamento (UE) 2017/2394, individuino importanti infrazioni transfrontaliere che colpiscono i consumatori in diversi Stati membri.

[2] CGUE 19 novembre 2015, D. e I. Tarcau c. Banca Comerciale Intesa Sanpaolo Romania SA Arad e altri, C-74/15.

[3] CGUE 17 maggio 2022, IO v, Impuls Leasing Romania IFN SA, C-725/19.

[4] CGUE 17 maggio 2022, Ibercaja Banco SA v. PO, C-600/19.

[5] CGUE 17 maggio 2022, L. v. Unicaja Banco SA, C-869/19.

[6] CGUE 17 maggio 2022, IO v. Impuls Leasing Romania IFN SA, C-725/19.