A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA QUAESTIO ARTICOLATA SULLA FORBICE DELL’ANTITESI: PLURIME-REITERATE DENUNCE DI VIOLENZA DOMESTICA/INERZIA-LENTEZZA DELLE AUTORITÀ NELL’AZIONE-INCRIMINAZIONE (CEDU, SEZ. I, 7 LUGLIO 2022, N. 32715/19).

Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli

  

Sommario: 1. Il dictum di CEDU 2022 - 2. Articolato quadro narratologico -3. Strasburgo - 4. Disegno di legge n. 594 del  21 aprile 2022

 

1. Il dictum di CEDU 2022

Sembra divenuto un topos, quello della giustizia italiana  che segue l’andamento inversamente proporzionale: le autorità italiane, ad onta  delle plurime denunce di casi di violenza domestica, organizzata  dal marito di una cittadina, non erano state tempestive nel perseguire ed accertare penalmente i reati commessi. La Cedu, sez. I, 7 luglio 2022, n. 32715/19, ha ritenuto, all’unanimità, in tale ipotesi,  che vi fosse stata una violazione dell'aspetto sostanziale dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in relazione al periodo dal 19 gennaio 2007 al 21 ottobre 2008 nonché una violazione dell'aspetto procedurale dell'articolo 3 della medesima Convenzione. Il caso riguardava la violenza domestica a cui era stata sottoposta la ricorrente dal marito. La donna si era lamentata, in particolare, del fatto che lo Stato italiano non l'avesse protetta e assistita. Aveva anche sostenuto che le autorità italiane non avevano agito con la diligenza e la tempestività richieste, tanto che il perseguimento di diversi reati non era stato possibile perché nel frattempo gli stessi erano stati dichiarati prescritti [1].

Il quadrante generale della materia è rappresentato dall’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne: costituisce “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.

 

2. Articolato quadro narratologico 

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la violazione dell’art. 3 C.e.d.u. da parte dell’Italia in quanto le denunce di violenza domestica subita da una donna ad opera del marito danno luogo all’obbligo per lo Stato di intervenire, proteggere e svolgere un’indagine effettiva e tempestiva e giungere ad una valutazione giudiziale dei fatti che soddisfi i requisiti dell’art. 3 C.e.d.u. nel duplice piano  degli obblighi materiali e procedurali.

La Corte e.d.u. ha ritenuto all’unanimità che si è integrata violazione dell'art. 3 C.e.d.u. nel versante degli obblighi materiali rispetto al primo periodo dei fatti denunciati (dal 19 gennaio 2007 al 21 ottobre 2008), mentre pari violazione non è stata riaffermata nel periodo successivo (dal 21 ottobre 2008 al 5 gennaio 2018). Inoltre, la Corte ha rilevato e riconosciuto per l’intero periodo una violazione dell'articolo 3 C.e.d.u. dal punto di vista degli obblighi procedurali.

La vicenda trae origine da fatti di violenza domestica ripetuti per un lungo periodo di tempo durante il quale la ricorrente aveva presentato più volte denuncia alle forze di polizia, a seguito delle quali erano stati attivati dei procedimenti giudiziari conclusisi, in parte, con declaratorie di prescrizione dei reati. La ricorrente dinanzi alla Corte e.d.u. ha lamentato la violazione degli obblighi positivi derivanti dall’art. 3 C.e.d.u. per mancanza di tutela e assistenza da parte dello Stato italiano riguardo alle aggressioni subite dal marito e per il fatto che per alcuni  reati era intervenuta prescrizione  causata dalla lunghezza delle procedure attivate dall’autorità giudiziaria.

Nel vagliare le censure  della ricorrente, la Corte e.d.u., in primo luogo, si è soffermata a sulla riconducibilità delle stesse nella sfera di applicazione dell’art. 3 C.e.d.u. (§§ 109-113). A questo riguardo, la Corte si è interrogata se i fatti di maltrattamento da cui ha origine l’intera vicenda presentino quella sogli minima di gravità tale da poter essere ascritti ad un’eventuale violazione dell’art. 3 C.e.d.u. L'apprezzamento di questo requisito dipende da molteplici fattori: la natura e il contesto del maltrattamento, la sua durata, i suoi effetti fisici e psicologici, l’identità sessuale della vittima, il rapporto tra la vittima e l'autore del trattamento. Questa tipologia di maltrattamenti comportano danni fisici o gravi sofferenze fisiche e psicologiche. Tuttavia, anche in assenza di tali effetti, qualora il trattamento umilia o degrada un individuo, pregiudicando la sua dignità umana o  sottoponendola ad una deminutio, o suscita nella persona interessata sentimenti di paura, ansia o inferiorità, tale quadro fattua e può essere qualificato come degradante ed essere ricompreso , dunque, nell’area del divieto ex art. 3 C.e.d.u. (Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09, §§ 86-87) (§ 109). Secondo quanto rilevato dalla Corte e.d.u. nella sentenza in parola e nella precedente giurisprudenza, oltre alle lesioni fisiche, il pregiudizio di tipo psicologico è un profilo importante della violenza domestica (Valiulienė c. Lituania, n. 33234/07, § 69, 26 marzo 2013, e Volodina, c. Russia (n. 2), n. 40419/19, §§ 74-75, 14 settembre 2021) (§ 110.). Va, inoltre, considerata la sofferenza morale che è causata dallo stato di ansia e stress, nonché il timore di ulteriori attacchi (Eremia c. Repubblica di Moldova, n. 3564/11, § 54, 28 maggio 2013, TM e CM v. Repubblica di Moldova, n. 26608/11, § 41, 28 gennaio 2014, e Volodina, cit., § 75). La Corte ribadisce che spetta alle autorità statali prendere misure e assumere iniziative e determinazioni per proteggere un individuo la cui integrità fisica o psicologica è minacciata dagli atti criminali di un membro della famiglia o di un suo partner (Kontrová c. Slovacchia, n. 7510/04, § 49, 31 maggio 2007, M. e altri v. Italia e Bulgaria, n. 40020/03, § 105, 31 luglio 2012, e Opuz contro Turchia, n. 33401/02, § 176) (§ 114).

È noto come nella giurisprudenza sovranazionale siano stati delineati e tracciati degli obblighi di cui deve farsi  carico lo Stato e che traggono origine dal divieto di porre in essere trattamenti inumani e degradanti. Gli obblighi positivi che incombono sulle autorità ai sensi dell'articolo 3 C.e.d.u. ricomprendono, in primo luogo, l'obbligo di cristallizzare un quadro normativo e di protezione (c.d. obblighi materiali); in secondo luogo, l'obbligo di adottare misure operative rivolte a tutelare determinate persone dall’alea di trattamenti contrari all’art. 3 C.e.d.u. (c.d. obblighi materiali); in terzo luogo, l'obbligo di svolgere un'efficace indagine, acquisitiva (c.d. obblighi procedurali).

Questi obblighi sono stati dalla Corte stabiliti in modo specifico ove riguardino casi di violenza domestica o di genere e vengono nella sentenza in commento così riassunti (§ 116):

a) le autorità devono rispondere immediatamente alle accuse di violenza domestica; 

b) quando tali accuse sono portate alla loro attenzione, le autorità devono dichiarare se sussite un rischio reale e immediato (hic et nunc) per la vita di vittime di violenza domestica (quoad vitam, apunti) che sono state identificate e devono farlo, procedendo ad una valutazione del rischio che sia autonoma, proattiva ed esaustiva, tenendo in debita considerazione il contesto particolare dei casi di violenza domestica (la peculiarità della vicenda);

c) quando siffatta valutazione identifichi la “ pendenza “ di un rischio reale e immediato per la vita degli altri, le autorità (dum pendet, si ripete) sono tenute ad adottare misure operative preventive.

Applicando i detti principi al caso di specie, la Corte rileva anzitutto che, da un punto di vista generale ed astratto, la disciplina normativa interna è in grado di offrire tutela nelle ipotesi di violenza domestica. 

Tuttavia, nella vicenda in analisi sono emerse delle lacune che vengono dalla Corte e.d.u. censurate in ordine al rispetto dell’art. 3 C.e.d.u.

La Corte ha stabilito (§ 129) che le autorità avevano precisa consapevolezza della violenza di cui era stata vittima la ricorrente, arreso che non si trattava affermazioni “spoglie“ ma  erano accompagnate e corroborate da prove, in particolare rappresentate da referti medici. In risposta alle accuse di aggressione, molestie e minacce e maltrattamenti della ricorrente, quattro indagini sono state aperte dall'autorità giudiziaria italiana.

Per quanto riguarda la prima indagine, relativa al fatto del gennaio 2007, la Corte fissa un cronologia eloquante: rileva che il soggetto denunciato era stato rinviato a giudizio nell’ottobre 2008, ventuno mesi dopo i fatti, e che la condanna in primo grado era stata pronunciata nel giugno 2014, cioè sette anni dopo i fatti, ma la motivazione era stata depositata aliquanto post: nel marzo 2015. Il giudizio d’appello nel giugno 2016 si era concluso con declaratoria di prescrizione dei reati. Quanto alla seconda indagine, relativa alle denunce depositate tra febbraio 2007 e ottobre 2008, la Corte ha rilevato che la sentenza di primo grado era stata emessa in aprile 2015 e che il soggetto denunciato era stato condannato soltanto per alcuni reati, mentre altri nel corso del giudizio d’appello (marzo 2016) erano caduti in prescrizione. Quanto alla terza indagine, relativa alle denunce presentate nel 2010, la Corte ha preso atto che il Tribunale aveva pronunciato la sentenza nel novembre 2020, a distanza di dieci anni dai fatti. Infine, per quanto riguarda l'ultima indagine in merito alla denuncia per molestie presentata nel 2013, il denunciato è stato rinviato a giudizio quattro anni dopo e il procedimento era ancora pendente (§ 141).

La Corte osserva che, nella trattazione giudiziale delle controversie in tema di violenza contro le donne, spetta alle autorità nazionali valutare prima possibile la situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità, morale, fisico e/o materiale, della vittima (§ 142) e considerare tali reati come assoggettati ad  una priorità speciale nella loro trattazione (una sorta di corsia preferenziale) per non incorrere nella prescrizione dovuta ad inattività o inerzia dell’autorità giudiziaria (§ 144). Del resto - ricorda la Corte - la specificità degli atti di violenza domestica è già stata riconosciuta nel preambolo della Convenzione di Istanbul e dovrebbe essere presa in considerazione nel contesto delle procedure interne dei singoli Stati (§ 148) .

La Corte ribadisce che nei casi di violenza domestica gli Stati debbano attivarsi in modo più pronto ed energico per punire i soggetti accertati come responsabili poiché non si tratta soltanto di accertamento delle responsabilità penali individuali. Occorre altresì che non si lascino impuniti atti di aggressione all'integrità fisica e morale delle persone. È dovere dello Stato combattere il sentimento di impunità per gli aggressori e mantenere e rinsaldare la fiducia della collettività nei riguardi di uno Stato di diritto, “in modo da prevenire qualsiasi parvenza di tolleranza o collusione delle autorità in merito ad atti di violenza” (Okkalı c. Turchia, 52067/99, § 65).

Nel caso di specie, non era stato domandato alcun presidio giudizio, dato impulso alla richiesta di applicazione di una  misura cautelare per (neutralizzare) l’aggressione subita dalla ricorrente nel 2007 con un coltello. Quanto ai fatti di molestie, minaccia ed aggressione con un bastone del 2008, era stata adottata la misura cautelare impositiva degli arresti domiciliari, ma per un periodo piuttosto limitato (tre mesi), ed era stata poi sostituita con la misura meno restrittiva del divieto di soggiorno nel comune, che si rivelò però inutiliter data in quanto il marito della ricorrente, invariabilmente,  seguitava nelle sue condotte di pedinamento e minaccia, non arretrando o avvertendo il freno della deterrenza.

Pertanto, secondo i giudici sovranazionali, le autorità italiane non hanno agito con sufficiente tempestività e diligenza entro limiti ragionevoli finendo sostanzialmente per assicurare all’autore dei fatti uno stato di impunità quasi totale (su questi profili v., tra gli altri, İbrahim Demirtaş § 35; Beganovic v. Croazia, n. 46423/06, §§ da 85 a 87, 25 giugno 2009, Valiulienė, §§ da 85 a 86, e, per quanto riguarda l'articolo 2, Alikaj e altri c. Italia, n. 47357/08, §§ 107 e 108; 29 marzo 2011, Mehmet Şentürk e Bekir Şentürk c. Turchia, n. 13423/09, §§ da 98 a 101) (§ 143).

A fronte di tutto ciò, i giudici sovranazionali nella sentenza in questione sottopongono a scrutinio e censura puntano una declaratoria di prescrizione che va a “ coprire “ fatti importanti quali maltrattamenti e reati di violenza domestica se all'origine della prescrizione si individuano precise inadempienze delle autorità, come sopra evidenziato (vedi Valiulienė, sopra citata, § 85) (§ 144).

La Corte ha notato come dalla Relazione sull’Italia svolta da GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence, Consiglio d’Europa), emerga che i ritardi nei procedimenti penali generino la prescrizione di un gran numero di casi, anche per reati minori, come minacce e lesioni lievi (§ 145). A questo riguardo, la sentenza accenna (§ 77) alle riforme susseguitesi negli ultimi anni in tema di prescrizione (l. n. 9 del 2019; l. n. 134 del 2021) ed anche alla giurisprudenza in proposito da parte della CGUE (§ 79 e 82).

Infine, la Corte e.d.u. ha concluso nel senso che spetta allo Stato organizzare il proprio sistema giudiziario in modo tale da consentire ai suoi tribunali di soddisfare i requisiti della Convenzione europea e, in particolare, gli obblighi derivanti dall'art. 3 C.e.d.u. (§ 147).

In riferimento al caso di specie, la Corte ha preliminarmente osservato che, da un punto di vista complessivo, il quadro normativo italiano era adeguato e attrezzato ad allestire ed assicurare  una griglia di protezione contro atti di violenza da parte di privati e che la polizia aveva risposto tempestivamente alle denunce presentate dalla ricorrente. Tuttavia, la Corte ha fatto una distinzione tra due periodi interessati dai fatti denunciati dalla ricorrente. Nel primo periodo, dal 19 gennaio 2007 al 21 ottobre 2008, ha ritenuto che le autorità abbiano mancato al loro dovere di effettuare una valutazione immediata e proattiva del rischio di una reiterazione della violenza contro la ricorrente e di adottare misure preventive operative per ridurre quel rischio. Nessuna misura era intervenuta da parte delle autorità per un periodo di circa tredici mesi. L’autore dei fatti non era stato arrestato, né erano state adottate misure precauzionali o protettive, ad esempio. In particolare, il giudice sovranazionale ha segnalato la lunghezza degli interventi di fonte giudiziaria: infatti il rinvio a giudizio veniva richiesto dieci mesi dopo il dies facti e l'udienza preliminare si celebrava diciannove mesi dopo. In detti  periodi, il pericolo di violenza non veniva computato, nel modo adeguato. Un quadro - riassuntivamente - segnato da carenze, omissioni, ritardi, incompatibili con il modello tipico, di indagine pronta ed attenta, non improntata a sciatteria e vuoto applicativo, al pari di una mala gestio.

Per quanto riguarda il secondo periodo, dal 21 ottobre 2008 al 5 gennaio 2018, invece, la Corte ha ritenuto che le autorità avessero promosso e svolto un'attività investigativa autonoma, propositiva e d’impulso ed una valutazione completa del rischio. Gli agenti di polizia, de minimis, non si erano limitati o fermati alla mera ricezione delle  denunce del soggetto passivo del reato denunciato ma avevano basato la loro valutazione ed impostazione sulle direttici di altri fattori ed elementi di prova, come per le dichiarazioni di altre persone coinvolte nella vicenda. I rischi di uno sviluppo mediante reiterazione della violenza erano stati adeguatamente considerati e neutralizzati mediante lo strumento impositivo della misura cautelare, nella cornice dell’apertura di un procedimento penale nei confronti del soggetto denunciato dalla ricorrente.

Pertanto, in riferimento al primo periodo, la Corte ha ritenuto che le autorità si fossero rivelate inadempienti: fossero venute meno  ai doveri  di cui all'art. 3 C.e.d.u. di tutelare la ricorrente dalla violenza domestica e vi era stata violazione degli obblighi c.d. sostanziali discendenti dalla disposizione. Mentre, prendendo in considerazione il secondo periodo dei fatti denunciati, la Corte ha ritenuto che le autorità avessero rispettato gli obblighi positivi di proteggere la ricorrente dalla violenza domestica e che pertanto non vi sia stata violazione dell'art. 3 C.e.d.u. sotto il profilo “sostanziale”.

Per l’intero periodo la Corte ha rilevato una violazione dell'art. 3 C.e.d.u. dal punto di vista degli obblighi procedurali.

Da aggiungere che la Corte ha concluso nel senso che gli inadeguati interventi dell’autorità giudiziaria in confronto a quanto richiesto dall’art. 3 C.e.d.u. non possono essere ritenuti espressioni di un atteggiamento discriminatorio nei riguardi della ricorrente. Viene, pertanto respinta in quanto manifestamente infondata la censura di violazione dell’art. 14 C.e.d.u.

L’Italia è stata condannata al pagamento di euro 10.000 per danno morale[2].

 

3. Strasburgo

Il terreno è già solcato[3]. Sul fronte di Strasburgo: la Corte EDU promuove le riforme dell’Italia in materia di violenza domestica, ma boccia la grave inerzia delle autorità nell’applicare le misure di protezione (sentenza Landi c. Italia, 7 aprile 2022)[4]. La Corte EDU torna ad occuparsi della risposta delle autorità italiane ad un caso di violenza domestica, dopo la condanna del nostro Stato a seguito della vicenda Talpis c. Italia[5].

 

4. Disegno di legge n. 594 del  21 aprile 2022

Il disegno di legge n. 594 presentato al Senato il 21 aprile 2022, relativo alle “Disposizioni per la prevenzione del fenomeno della violenza nei confronti delle donne, della violenza domestica e la tutela del minore dagli episodi di violenza assistita“, parte dal rilievo sugli effetti negativi che l'esposizione alla violenza domestica ha sui minori, sia nel breve che soprattutto nel lungo periodo, e mira a delineare un sistema capace di captare il malessere della donna già nel momento in cui questa /colga scorga, all’orizzonte, i primi segnali dell’esistenza di un rapporto insano nonché ad apprestare strumenti di supporto prima che la violenza sia perpetrata/consumata.

Gli studi abbiano dimostrato che la violenza assistita può danneggiare lo sviluppo neuro-cognitivo dei minori, può comportare l’insorgere di disturbi del linguaggio, di disturbi comportamentali e relazionali; rispetto alla registrazione di tale dato allarmante si rappresenta l'indispensabilità di un sistema che agisca in duplice direzione: per un verso, per far emergere tempestivamente le situazioni sommerse di disagio domestico al fine di impedire che possano tramutarsi in veri e propri disturbi, attraverso una pronta ed efficiente presa in carico, già nelle prime fasi dell’emergenza, da parte delle istituzioni scolastiche e dei servizi sanitari; per altro verso, per garantire un sostegno capillare alle vittime di violenza fornendo loro un concreto aiuto nel complesso percorso di liberazione dalla violenza domestica[6].

Il disegno di legge si compone di 6 articoli.

-L’articolo 1 indica le finalità del disegno di legge, prevedendo l’istituzione di sportelli di ascolto per il supporto, l’accoglienza e l’informazione delle donne che si trovano in una situazione di difficoltà, la previsione di attività didattiche per gli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado volte alla prevenzione dei disagi legati alla violenza assistita, nonché la promozione di servizi a sostegno della responsabilità genitoriale affinché si forniscano alle famiglie gli elementi in ordine agli effetti della violenza assistita su minori e adolescenti.

Il disegno di legge si esaurisce nell’arco di 6 articoli. Enumeriamoli:

-L’articolo 1 traccia lo scopo del disegno di legge, per mezzo dell’istituzione di sportelli di ascolto per il supporto, l’accoglienza e l’informazione delle donne che versano in una situazione di difficoltà, di attività didattiche per gli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado destinate alla prevenzione dei disagi legati alla violenza assistita, della  promozione di servizi a sostegno della responsabilità genitoriale al fine di fornire alle famiglie gli elementi in ordine agli effetti della violenza assistita su minori e adolescenti.

-L’articolo 2 prescrive che, nel distretto dell'educazione alla salute, le scuole promuovano e organizzino incontri con psicologi e psicoterapeuti diretti ad individuare eventuali disturbi dovuti alla partecipazione passiva ad atti di violenza tra i genitori e a definire programmi di supporto psicologico.

-L’articolo 3 è indirizzato a rafforzare il rapporto tra la scuola e la famiglia, prevedendo interventi di supporto ai genitori in ordine alla gestione dei rapporti interpersonali, per prevenire episodi di violenza intrafamiliare in grado di pregiudicare lo sviluppo dei figli e, in particolare, lavori integrati tra genitori e figli per favorire un maggiore scambio nella comunicazione, al fine di porre in condizione i genitori di avere coscienza i vissuti del figlio e i danni da esso subìti ed aderire, eventualmente, ad un percorso di cambiamento.

-L’articolo 4 imposta l’istituzione presso le aziende sanitarie locali di sportelli di ascolto allo scopo di dare una concreta assistenza alle donne che si trovano in situazioni di difficoltà, attraverso consulenze psicologiche e legali, nonché attraverso una rete di rapporti con i rappresentanti delle istituzioni che operano sul territorio: Forze dell’ordine, pronto soccorso, assistenti sociali, medici, psicologi.

-L’articolo 5 dispone infine la copertura finanziaria, i necessari costi.

Si indica un piano di intervento per inquadrare e fissare le situazioni di disagio minorile che trovano origine nel contesto familiare, al fine di responsabilizzare tutti gli attori sociali che entrano in relazione  con i minori che hanno un vissuto in grado di arrecare nocumento alla loro crescita.

 

Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente “Roma Tre“ Università degli Studi – Giurisprudenza Dipartimento di Eccellenza – Esp. (Dir. pen. e proc. pen.) Master II liv., Docente Università degli Studi LUMSA di Roma – Taranto – Palermo. Dipartimento di Giurisprudenza.  

 

[1] Così A. Scarcella (Consigliere della Corte Suprema di Cassazione), che riporta Corte europea diritti dell’uomo, Sez. I, 7 luglio 2022, n. 32715/19, in Altalex, 21 luglio 2022. Di rilevante interesse, v. K. Colaianni, Presentazione dell’articolo del Presidente dell’Istituto di studi europei “ Alcide de Gasperi “ Antonio Sabbatella, in Foroeuropa, luglio 2022. In tema, v. C. Morselli, Cass. Pen., Sez. III, 28 Aprile 2022 (Dep. 30 Maggio 2022), N. 21024. Il marito-Maramaldo diventa una spada di Damocle e un vulnus per il figlio minore che assiste alle violenze domestiche: basta la ”percezione“, ivi. Altresì, T. Aloi, CEDU: Violenza domestica, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per violazione dell’art. 2 (diritto alla vita) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU 7 aprile 2022, ricorso n. 10929/2019), ivi.

[2] Per la ricostruzione, v. Arch. pen., luglio 2022, Violazione dell’art. 3 C.e.d.u. – Divieto di trattamenti inumani e degradanti - Obblighi positivi - Mancanza della dovuta diligenza da parte delle autorità nazionali - Mancanza di una valutazione immediata e proattiva dell'esistenza di un rischio reale ed immediato di violenza domestica – Intempestività del giudizio penale (Corte EDU, Sez. I, 7 luglio 2022, Scavone c. Italia, n. 32715/19).

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Direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 22.05.2011

[3] Giurisprudenza europea, a cura di M. Montagna

Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 2, paragrafo 4 – Condizione della doppia incriminazione dell’atto – Articolo 4, paragrafo 1 – Controllo dell’autorità giudiziaria di esecuzione – Fatti che costituiscono in parte un reato ai sensi del diritto dello Stato membro di esecuzione – Principio di proporzionalità dei reati e delle sanzioni (Corte di giustizia UE – Terza Sezione – sentenza 14 luglio 2022, C-168/21, KL)

Violazione dell’art. 3 C.e.d.u. – Divieto di trattamenti inumani e degradanti - Obblighi positivi - Mancanza della dovuta diligenza da parte delle autorità nazionali - Mancanza di una valutazione immediata e proattiva dell'esistenza di un rischio reale ed immediato di violenza domestica – Intempestività del giudizio penale (Corte EDU, Sez. I, 7 luglio 2022, Scavone c. Italia, n. 32715/19).

Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo – Diritto all’informazione nei procedimenti penali – Primato del diritto dell’Unione (Corte di giustizia UE – Quarta Sezione – sentenza 30 giugno 2022, C-105/21, IR)

Art. 8 C.e.d.u. – Vita privata – Potere praticamente illimitato del servizio di “Intelligence” nazionale nell’ambito delle operazioni di sorveglianza, senza adeguate tutele legali nei confronti dei soggetti colpiti – Mancanza di basi legali sufficientemente determinate per disporre i mandati di sorveglianza e per la conservazione del materiale derivato dalle operazioni di controllo (Corte EDU, Sez. I, 23 giugno 2022, Haščák c. Slovacchia, n. 58359/12 e altri due).

Violazione dell’art. 6 C.e.d.u. – Processo iniquo – Condanna del ricorrente per resistenza a pubblico ufficiale basata unicamente sulle dichiarazioni degli agenti di polizia (Corte EDU, Sez. III, 28 giugno 2022, Boutaffala c. Belgio, n. 20762/19).

Violazione art. 3 C.e.d.u. (sostanziale e processuale) – Trattamento inumano e degradante - Inadempimento dello Stato nel suo dovere di indagare sui maltrattamenti di violenza domestica (Corte EDU, Sez. I, 16 giugno 2022, De Giorgi c. Italia, n. 23735/19).

Violazione art. 2 C.e.d.u. (sostanziale e processuale) – Proteste di massa – Uso della forza non assolutamente necessario – Indagini inefficaci (Corte EDU, Sez. II, 7 giugno 2022, Boboc e altri c. Repubblica di Moldavia, n. 44592/16).

Soggetti vulnerabili - Corte EDU, Sez. III, 24 maggio 2022, Dokukiny c. Russia, n. 1223/12

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Rinvio pregiudiziale –Occultamento fraudolento del tributo dovuto - Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea – Principio ne bis in idem – Sanzioni di diversa natura (Corte di giustizia U.E. - Prima Sezione – sentenza 5 maggio 2022, C-570/20, B.V.)

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[4] In Giur. pen.,a cura di S. Carrer, 18 aprile 2022, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 4 – La sentenza Landi c. Italia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo conferma l’inadeguatezza della risposta istituzionale italiana al fenomeno della violenza domestica. La Corte EDU condanna nuovamente l’Italia, come nel precedente caso Talpis, riconoscendo la violazione dell’art. 2 della Convenzione per aver le autorità italiane omesso di adottare le misure operative adeguate a prevenire la violazione del diritto alla vita della ricorrente e del figlio minore, ucciso dal padre ad esito dell’ennesima aggressione violenta.  

Rispetto alla sentenza Talpis, nel presente caso la Corte adotta l’approccio logico-argomentativo più rigoroso tracciato dalla sentenza Kurt c. Austria, valutando come non diffusamente discriminatorio l’operato delle autorità italiane nei confronti delle donne e ritenendo pertanto non fondata la doglianza della ricorrente ai sensi dell’art. 14 della Convenzione.

[5] Cfr. M. F. Cucchiara, Violenza domestica e inerzia delle autorità: la Corte EDU condanna l’Italia, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 3;P. De Franceschi, Violenza domestica: dal caso Rumor al caso Talpis cosa è cambiato nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?,  in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 1. C. eur. dir. uomo, sez. I, 7 aprile 2022, Landi c. Italia,

Diritto alla vita – violenza domestica – omicidio – obblighi positivi di tutela – violazione, in Sist. pen., 19 maggio 2022: la Corte EDU ha riconosciuto la violazione dell’art. 2 CEDU da parte dello Stato italiano per non avere le autorità nazionali attuato alcuna misura preventiva finalizzata a neutralizzare le minacce e i comportamenti aggressivi che la ricorrente e i suoi figli subivano dal marito, nonostante le reiterate denunce della sig.ra Landi. L’ultimo dei quattro principali episodi di violenza è poi sfociato nell’omicidio del secondo figlio della coppia e nel tentato omicidio della ricorrente. Lo Stato italiano avrebbe così violato l’obbligo positivo derivante dall’art. 2 CEDU di proteggere la vita della ricorrente e dei suoi figli (§§ 78 ss.), come declinati dalla nota giurisprudenza Osman c. Regno Unito (28 ottobre 1998) e, da ultimo, Kurt c. Austria (Grande Camera, 15 giugno 2021). La Corte di Strasburgo, anzitutto, esclude che la legislazione italiana non preveda strumenti idonei a prevenire le violenze. Essa, tuttavia, riconosce che le autorità erano nelle condizioni di valutare l’esistenza di un “rischio reale e immediato” per la vita della ricorrente e dei suoi figli a causa delle violenze precedentemente commesse dal marito e della sua condizione psicologica, che aveva portato un perito a riconoscerne la pericolosità sociale, obbligandolo ad un programma terapeutico (§ 91). Proprio dalla sussistenza di tale “rischio reale e immediato” discendeva l’obbligo di tutela da parte dello Stato, che, come anticipato, nel caso di specie è rimasto inadempiuto

In materia, v. R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1192 s. Da ultimo, v. G.P.Cancellaro, Violenza di genere e codice rosso alla luce della riforma del processo penale: quae mutationes?, in Giurisprudenza penale web.,25 maggio 2022/2.

In parallelo: l'evento del reato di atti persecutori, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato di ripetute condotte di molestia o di minaccia, nell'ambito delle quali possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti alla vittima (Cassazione penale, Sez. V, sentenza 8 luglio 2022, n. 26456), in Quot. giur., 25 luglio 2022.

[6] A. Larussa, Penale -Violenza domestica: il disegno di legge a tutela di donne e minori. Sportelli di ascolto per le donne in situazione di difficoltà, attività didattiche nelle scuole per prevenire i disagi da violenza assistita, sostegno della responsabilità genitoriale, in Altalex, 31 maggio 2022. Da ultimo, E. Biaggioni, La difficile posizione delle vittime di violenza sessuale: l’insostenibile confronto con il pregiudizio sulla scarsa attendibilità della persona offesa e lo stereotipo dello stupratore modello, in Sist. pen., 22 luglio 2022.

Cfr., in tema, C. Pecorella (a cura di), Donne e Violenza. Stereotipi culturali e prassi giudiziarie, Torino, Giappichelli, 2021, 113 s.

Riassuntivamente, Violenza contro le donne, in Camera dei Deputati. Servizi studi,17 giugno 2022 -  Nella XVIII legislatura il Parlamento ha proseguito nell'adozione di misure volte a contrastare la violenza contro le donne (iniziata nella scorsa legislatura con la ratifica della Convenzione di Istanbul, le modifiche al codice penale e di procedura penale volte ad inasprire le pene di alcuni reati più spesso commessi nei confronti di donne, l'emanazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza di genere e la previsione di stanziamenti per il supporto delle vittime), attraverso il perseguimento di tre obiettivi: prevenzione dei reati, punizione dei colpevoli e protezione delle vittime.

In quest'ambito si pone, in particolare, l'approvazione della legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso), volta a rafforzare le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica. Una estensione delle tutele per le vittime di violenza domestica e di genere è stata prevista dalla legge n. 134 del 2021, di riforma del processo penale, mentre la legge n.53 del 2022 ha potenziato la raccolta di dati statistici sulla violenza di genere. Inoltre, sono attualmente in corso di esame al Senato un disegno di legge de Governo (A.S. 2530) volto a rafforzare la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne, e una proposta di legge, già approvata dalla Camera, volta a concedere il permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio (A.S. 2577). Sempre al Senato, infine, è stata istituita la Commissione d'inchiesta monocamerale sul femminicidio.