A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA-TECNICHE DI MODIFICAZIONE GENETICA; LA CORTE UE INTERVIENE IN ORDINE ALL’APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA SUGLI OGM (CGUE 7 FEBBRAIO 2023, C-688/21).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La direttiva 2001/18/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. 8 luglio 2003, n. 224, definisce una metodologia comune per la valutazione, caso per caso, del rischio ambientale connesso all’emissione deliberata di organismi geneticamente modificati (OGM), nonchè obiettivi comuni per il monitoraggio degli OGM dopo la loro emissione deliberata e la loro immissione in commercio.

Gli OGM sono organismi, diversi dagli esseri umani, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale. Si tratta di animali, piante o microorganismi quali, batteri, parassiti e funghi che hanno un patrimonio genetico artificiale ottenuto in laboratorio; questo significa che il loro DNA, la molecola responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari contenuta nel nucleo di ogni cellula, non è quello che è stato definito attraverso un lungo cammino evolutivo bensì contiene un elemento cheè stato scelto, individuato ed isolato da un ricercatore (è disponibile il Registro comunitario degli alimenti e mangimi geneticamente modificati).

Un organismo geneticamente modificato ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/18/CE quando la modificazione genetica produce l’incorporazione di nuove combinazioni geniche esogene che non compaiono in natura e che si trasmettono alle generazioni successive.

La direttiva detta i principi guida in materia ed obbliga gli Stati membri ad adottare misure dirette a garantire la tracciabilità, l’etichettatura ed il controllo successivo alla commercializzazione degli OGM. Essa, tuttavia, contiene una deroga in merito alla quale alcune tecniche o metodi si possono sottrarre al suo ambito di applicazione molto rigoroso.

La mutagenesi casuale consiste nell’accelerare il ritmo delle mutazioni genetiche spontanee degli organismi viventi e può essere applicata in vitro o in vivo.

La mutagenesi in vitro è una tecnica di modificazione genetica che parte dai geni per introdurre delle mutazioni in vitro. Nelle piante si basa sull’applicazione di mutageni chimici (agenti che favoriscono la mutazione nei geni) per aumentare la frequenza delle mutazioni. Il vantaggio consiste nell’accelerare la selezione di varietà con importanti caratteristiche agronomiche più produttive, più resistenti alla siccità ed ai parassiti e più conformi ai gusti estetici del momento.

La mutagenesi in vivo si basa, invece, su un approccio opposto. Tale tecnica, infatti, non parte dai geni, ma dalla popolazione. Si espone la popolazione ad agenti mutageni, si selezionano gli organismi che hanno le caratteristiche desiderate e si arriva così ad isolare i geni di interesse.

Nel primo caso, quindi, la mutazione viene indotta sul gene che poi viene impiantato su un organismo. Nel secondo caso, non c’è alcun impianto perché la mutazione si sviluppa sugli stessi organismi viventi.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 7 febbraio scorso è stata chiamata a valutare l’applicazione o meno dei controlli pre e post emissione nell’ambiente o immissione in commercio di organismi geneticamente modificati in base al tipo di tecnica modificativa o riproduttiva utilizzata per ottenere il gene artificialmente diverso. Essa, in particolare, si è pronunciata sull’affinità che le due tecniche presentano, ritenendole così simili che la sicurezza di quella in vivo, comprovata da lungo tempo con una lunga tradizione di sicurezza, si può estendere a quella in vitro. La Corte, pertanto, ha ritenuto che anche gli organismi ottenuti con la mutagenesi casuale in vitro dovessero beneficiare di una esenzione dall’applicazione della direttiva dando così via libera al loro utilizzo nell’Unione europea.

La sentenza in commento ha affrontato il caso di un organismo geneticamente modificato ottenuto tramite mutagenesi casuale in vitro che in Francia non era stato sottoposto ai controlli previsti dalla direttiva prima dell’immissione in natura, in commercio e successivamente.

Nel 2015 il sindacato agricolo francese (la Confédération paysanne) ed otto associazioni aventi come scopo la tutela dell’ambiente, avevano adìto il Consiglio di Stato francese con un ricorso avente ad oggetto l’esclusione di alcune tecniche o metodi di mutagenesi dall’ambito di applicazione della normativa francese di recepimento della direttiva 2001/18/CE sull’emissione nell’ambiente di OGM.

Il Consiglio di Stato si era rivolto alla Corte di Giustizia UE la quale si era pronunciata, con sentenza del 25 luglio 2018 (C-528/16), nel senso che solo gli organismi ottenuti attraverso tecniche o metodi di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni e con una lunga tradizione di sicurezza beneficiano della deroga prevista dalla direttiva. Secondo il sindacato e le associazioni tale sentenza non sarebbe stata recepita completamente dalla Francia, in particolare per ciò che riguarda l’applicazione di regimi giuridici distinti tra mutagenesi casuale in vivo ed in vitro ed hanno, pertanto, presentato un nuovo ricorso.

Nella successiva decisione del 2020, il Consiglio di Stato, sulla base di quanto deciso dalla Corte di Giustizia nel 2018 ha stabilito che gli organismi ottenuti per mezzo di tecniche o di metodi emersi o principalmente sviluppati successivamente alla data di adozione della direttiva, in particolare mediante mutagenesi casuale in vitro, devono essere inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/18/CE e sono, pertanto, soggetti agli obblighi imposti da quest’ultima anche se precedenti alla sua adozione.

Le autorità francesi, tuttavia, non hanno adottato misure dirette a garantire l’esecuzione della decisione del Consiglio di Stato a causa, in particolare, dell’opposizione da parte della Commissione europea all’applicazione di regimi distinti alla mutagenesi casuale in vivo ed alla mutagenesi casuale in vitro.

La Confederazione e le associazioni, pertanto, hanno nuovamente adìto il Consiglio di Stato al fine di ottenere la pronuncia di un’ingiunzione volta a garantire l’attuazione della precedente decisione del 2020. Il Consiglio di Stato francese, chiamato nuovamente a pronunciarsi sulla materia, ha richiesto l’intervento della Corte di Giustizia europea al fine di precisare se la mutagenesi casuale in vitro possa essere assimilata ad una tecnica o ad un metodo di mutagenesi conforme al duplice criterio dell’uso convenzionale e della tradizione di sicurezza e, in tal modo, beneficiare della deroga prevista dalla direttiva o se essa debba, al contrario, rientrare nell’ambito di applicazione di tale normativa senza beneficiare dell’esclusione.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, riunita in Grande Sezione, nella sentenza del 7 febbraio scorso, nella prima parte ribadisce le posizioni assunte già nel 2018. Essa, infatti, dichiara che,” in via di principio, è giustificato escludere l’applicazione della deroga prevista dalla direttiva agli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati sulle stesse modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, ma che differiscono da tale seconda tecnica o secondo metodo di mutagenesi per altre caratteristiche, a condizione che dette caratteristiche possano comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo di cui trattasi diverse (per loro natura o ritmo con cui si verificano) da quelle risultanti dall’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”.

Sintetizzando, secondo tale ricostruzione, qualunque sia l’intervento umano che comporti una modifica del patrimonio genetico di un organismo dà luogo ad un OGM.

A sostegno di tale posizione la Corte Ue sottolinea che la limitazione della portata della deroga prevista dalla direttiva, con riferimento al duplice criterio relativo all’utilizzo convenzionale in varie applicazioni ed alla tradizione di sicurezza, è strettamente legata all’obiettivo stesso perseguito dalla direttiva, ossia, nel rispetto del principio di precauzione previsto dal diritto dell’Unione, la tutela della salute umana  dell’ambiente (art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

I principi di precauzione e di azione preventiva che informano la politica dell’Unione in materia ambientale, hanno come scopo di garantire un alto livello di protezione dell’ambiente grazie alle prese di posizione preventive in caso di rischio. Nella pratica, tuttavia, il campo di applicazione di tali principi è molto più ampio e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. Il ricorso a tali principi avviene quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica ed obiettiva, se tale valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza e sussistono determinate condizioni: a) identificazione degli effetti potenzialmente negativi; b) valutazione dei dati scientifici disponibili; 3) ampiezza dell’incertezza scientifica.

Secondo la Corte di Giustizia UE non è la tecnica riproduttiva in vitro che impone l’applicazione dei controlli previsti dalla direttiva, bensì il discostamento da una tecnica o un metodo di mutagenesi convenzionale e con tradizione di sicurezza. Ciò che rileva, pertanto, al fine di stabilire se si ricada o meno nella deroga prevista dalla direttiva è valutare i discostamenti da un metodo scientificamente considerato sicuro ed un metodo nuovo introdotto nel processo genetico. La Corte stabilisce che tale novità va valutata come rilevante o meno al fine dell’applicazione di controlli, non solo quando riguarda la proliferazione casuale che non è legata alla tecnica in vitro, ma anche in presenza di qualsiasi modifica che potrebbe comportare risultati incontrovertibili.

Essa sottolinea come un’estensione generale del beneficio dell’esenzione agli organismi ottenuti mediante una tecnica di mutagenesi, fondata sulle stesse modalità di una tecnica utilizzata convenzionalmente in varie applicazioni caratterizzate da una lunga tradizione di sicurezza, ma che prevede la combinazione di tali modalità con altre caratteristiche, non sarebbe conforme all’intento del legislatore dell’Unione. Questo in ragione del fatto che, l’emissione nell’ambiente o l’immissione in commercio, senza aver condotto a buon fine una procedura di valutazione dei rischi, di organismi ottenuti attraverso tale metodologia, può comportare effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente che interessano diversi Stati membri in modo eventualmente irreversibile.

Questo potrebbe verificarsi anche quando tali caratteristiche non riguardano le modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato.

La Corte, pertanto, nella sua ultima pronuncia in commento, ribadisce sostanzialmente le posizioni assunte in precedenza ma nello stesso tempo mostra un’apertura rilevando che la deroga sarebbe privata di effetto utile se si ritenesse che gli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza rientrassero necessariamente nell’ambito di applicazione della direttiva qualora tale tecnica o tale metodo avessero subìto una qualunque modifica. Pertanto, il fatto che una tecnica o un metodo di mutagenesi abbia una o più caratteristiche distinte da quelle di una tecnica o un metodo utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, giustifica l’esclusione della deroga prevista, solo quando sia dimostrato che tali caratteristiche possono comportare modificazioni del materiale genetico dell’organismo interessato diverse, per la loro natura o il ritmo con cui si verificano, da quelle risultanti dall’applicazione di tale seconda tecnica o di tale secondo metodo di mutagenesi.

In particolare, sulla tecnica in vitro, gli effetti inerenti alle colture in vitro non giustificano che da tale deroga siano esclusi gli organismi ottenuti mediante l’applicazione in vitro di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni in vivo con una lunga tradizione di sicurezza relativa a tali applicazioni.

La Corte di Giustizia UE, infatti, analizza diversi aspetti della direttiva 2001/18/CE per accertare se il legislatore dell’Unione abbia ritenuto che il fatto che una tecnica o un metodo prevedano colture in vitro sia decisivo per determinare se tale applicazione rientri o meno nell’ambito di applicazione della direttiva stessa. Dall’analisi effettuata essa deduce che non è così, proprio alla luce della circostanza che altre tecniche non sono assoggettate al regime di monitoraggio degli OGM previsto dalla direttiva nonostante esse implichino o possano implicare il ricorso a colture in vitro.

Viene, dunque, cambiata la prospettiva e dichiarato che l’esclusione dalla deroga verrà attuata solamente se chi contesta un determinato prodotto, ottenuto con certe tecniche, sarà in grado di dimostrarne gli effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente.

La sentenza in commento, pertanto, ampia il perimetro dei prodotti sottoposti ad editing genetico (tecnologia che permette di intervenire in maniera precisa per trovare e correggere gli errori genetici nel DNA anche a livello di una singola lettera) che possono finire sulle tavole europee.

Per completezza è opportuno riportare le posizioni dei contrari all’introduzione degli OGM secondo i quali considerare la mutagenesi casuale in vitro una tecnica che non crea OGM è un controsenso.

Secondo il Coordinamento Europeo della Via Campesina “queste tecniche sono tutte brevettabili e quindi non sono né naturali, né tradizionali. Esse sono state sviluppate poco prima del 2001 contemporaneamente alla transgenesi (anche se la maggior parte dei prodotti è arrivata sul mercato ben dopo il 2001) e generano gli stessi rischi per la salute e l’ambiente che giustificano gli attuali obblighi normativi di valutazione del rischio, etichettatura e tracciabilità”[1].

Gli organismi trattati con mutagenesi in vitro avranno una “firma” della mutazione nel loro DNA, ma nessuna etichetta sul prodotto, inclusi i semi, che lo segnali. Questo significa che per gli agricoltori sarà impossibile risalire alla vera natura del seme che stanno per piantare nel loro campo.

Senza applicare la normativa europea sugli OGM, quindi, “la portata di questi brevetti si estenderà a tutte le piante della stessa specie che esprimono il tratto brevettato, come la resistenza ad una malattia”. Per cui, chi detiene i brevetti, spesso multinazionali, sarà in grado di assumere il controllo della maggior parte delle colture e degli alimenti.

Quello che avviene negli USA avverrà anche in Europa in quanto si aprirà la via ad una “massiccia ondata di OGM non etichettati e non valutati nei campi degli agricoltori e nei piatti dei cittadini europei” come sostengono i gruppi verdi e le associazioni di piccoli agricoltori. Il Coordinamento europeo, inoltre, nel criticare la posizione della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha sostenuto che la tecnologia genera “gli stessi rischi per la salute e l’ambiente che giustificano gli attuali obblighi normativi di valutazione del rischio, etichettatura e tracciabilità”. L’associazione ha avvertito che ora diventerà impossibile per gli agricoltori ed i consumatori distinguere queste colture prodotte tramite mutagenesi casuale in vitro da qualsiasi altra pianta no OGM coltivata in modo convenzionale.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro

 

[1] ECVC (European Coordination Via Campesina): organizzazione di base europea che attualmente riunisce 31 organizzazioni nazionali e regionali di agricoltori, lavoratori agricoli e organizzazioni rurali con sede in 21 Paesi europei. Fondata sul diritto alla sovranità alimentare, ha come obiettivo principale la difesa dei diritti degli agricoltori e dei lavoratori agricoli e la promozione di un’agricoltura familiare e contadina diversificata e sostenibile. Questi principi, a loro volta, richiedono politiche alimentari ed agricole basate sulla legittimità, l’equità, la solidarietà e la sostenibilità e sono necessari per garantire la sicurezza alimentare, la salute pubblica, l’occupazione nelle aree rurali e per affrontare le questioni della crisi alimentare globale e del cambiamento climatico. ECVC chiede lo sviluppo di una nuova e migliore politica agricola dell’UE basata sui principi di cui sopra,

Essa è membro regionale di La Via Campesina (LCV) il più grande movimento contadino internazionale di base. ECVC e LCV si impegnano per realizzare società in cui l’agricoltura soddisfa le esigenze delle comunità piuttosto che i mercati finanziari o le aziende.