A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

PROCESSO PENALE: IL DOVERE DI COOPERAZIONE ISTRUTTORIA IN EUROPA (DEL GIUDICE EUROPEO), E IL POTERE DELL’IMPUTATO DI NON COLLABORARE ALLE INDAGINI IN ITALIA, DOPO LA DECISIONE DI CORTE COST., N. 111 DEL 2023 CHE CRISTALLIZZA IL “DIRITTO AL SILENZIO“.

Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli

 

Sommario: 1. L’opacità della parola “collaborazione“ - 2. La forbice delle due parole: cooperazione/collaborazione - 3. La collaborazione forzosa, con provvedimento privativo della libertà personale e della segretezza e riservatezza delle conversazioni telefoniche.

 

1. L’opacità della parola “collaborazione“.

Franco Cordero nel suo “manuale“, destinato a divenire un  classico nella costellazione della procedura penale, se non lo è già, scrive: «È una lingua artificiale il diritto, talvolta misteriosa»[1].

Non solo artificiale, ma pure ambigua, a volte, nel gioco delle accezioni semantiche: è il caso della parola “collaborazione“, che presenta una sua opacità, e che a prima vista sembra avere un significato  positivo.

Se «collaborare con l’amministrazione della giustizia è un dovere civico oltre che - nei congrui casi - un obbligo giuridico…il codice del 1988 attribuisce al p.m. e alla p.g. non solo il tradizionale ruolo passivo di destinatari delle notizie di reato, da chiunque trasmesse o presentate, ma anche un ruolo attivo…con ciò volendosi sottolineare come non possa essere considerata  un ostacolo la carenza di contributi informativi dovuta a ragioni di omertà comunque determinate»[2] .

L’espressione diventa subito problematica se riferita all’imputato, nelle sue gradazioni: indagato, cioè persona sottoposta alle indagini del Pubblico ministero, soggetto sotto inchiesta preliminare dagli inquirenti, incriminato, inquisito, reo, soggetto attivo e responsabile del delitto, indiziato, sospettato del reato.

In un processo c.d. di parti, tipicamente espressione del modello accusatorio, e con ruoli distinti e distanti, è difficile trovare un terreno comune nel segno della partecipazione, quando per esempio è riconosciuto il diritto dell’imputato a mentire e a non presentarsi in udienza per i relativi lavori, nelle varie forme della contumacia (prima)  e dell’assenza (dopo).

 

2. La forbice delle due parole: cooperazione/collaborazione.

Mentre esiste un dovere di cooperazione istruttoria del giudice rappresentato dall’obbligo incondizionato, per lo Stato membro, di cooperare con il richiedente asilo nell’esame di tutti gli elementi significativi della domanda (art. 4, par. 1, dir. 2011/95/UE) - e per mezzo della previsione dettata all’art. 4, par. 5, “direttiva qualifiche” 2011/95/UE, qualora il richiedente  non abbia fornito prove documentali o di altro genere a sostegno delle sue dichiarazioni, le stesse si possono ritenere ugualmente comprovate allorché siano rispettate delle condizioni che fanno presumere la credibilità del richiedente asilo e delle sue dichiarazioni[3] - non è configurabile il reciproco,  un preciso dovere di facere del soggetto passivo alla procedura. Nel primo caso, la Corte di giustizia ha voluto chiarire che «benché il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda, spetta tuttavia allo Stato membro interessato cooperare con tale richiedente nel momento della determinazione degli elementi significativi della stessa. Tale obbligo di cooperazione in capo allo Stato membro implica, pertanto, concretamente che, se, per una qualsivoglia ragione, gli elementi forniti dal richiedente una protezione internazionale non sono esaustivi, attuali o pertinenti, è necessario che lo Stato membro interessato cooperi attivamente con il richiedente, in tale fase della procedura, per consentire di riunire tutti gli elementi atti a sostenere la domanda. Peraltro, uno Stato membro riveste una posizione più adeguata del richiedente per l’accesso a determinati tipi di documenti»[4].

Abbiamo tracciato la forbice delle due parole, cooperazione e collaborazione.

 

3. La collaborazione forzosa, con provvedimento privativo della libertà personale e della segretezza e riservatezza delle conversazioni telefoniche.

Per l'indagato o l’imputato non esiste alcun obbligo di collaborare con le indagini e il processo a proprio carico, come ha, definitivamente, chiarito  Corte costituzionale, con sentenza n. 111/2023, stabilendo  che  la Costituzione e le norme internazionali che tutelano i diritti umani consentono che si possa imporre ad una persona sospettata di aver commesso un reato il dovere di indicare all'autorità che procede le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita), ma non anche il dovere di fornire ulteriori informazioni di carattere personale. Così, sono stati dichiarati parzialmente illegittimi gli articoli 64, terzo comma, del codice di procedura penale e l'articolo 495 del codice penale[5]. La Corte ha rilevato come il diritto al silenzio operi ogniqualvolta l’autorità che procede in relazione alla commissione di un reato «ponga alla persona sospettata o imputata di averlo commesso domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possano essere successivamente utilizzate contro di lei nell’ambito del procedimento o del processo penale, e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta».

Ora, se non è difficile riconoscere che non esiste un (generale) dovere di collaborazione dell’inquisito - anche quale precipitato del principio nemo se detegere tenetur[6] - è molto difficile riconoscere che il nostro ordinamento si serva dell’individuo, del cittadino inquisito, per organizzare il processo penale, in una sorta di “collaborazione coatta“. Questo lavoro di ricerca somiglia a quello condotto per le cc. dd. pene nascoste[7].

Lo Stato, per esempio, si serve del corpo dell’indagato per “sequestrarlo“, per rimuoverne la libera circolazione (la limitazione della libertà personale riassume atto ablativo), ritenendo che lo status libertatis possa nuocere all’efficienza e genuinità delle indagini preliminari del P.M[8]. Tale procedura coercitiva si concentra nell’istituto cautelare ed assume il nome, quale provvedimento applicato, di ordinanza di custodia cautelare in carcere[9], ma, sostanzialmente, valicando lo schermo onomastico, si tratta della stessa valenza riconosciuta ad una sentenza che abbia affermato, con le prove acquisite, la penale responsabilità dell’imputato. Acclarata la colpevolezza dell’imputato, si applica la pena che elide la sua “libertà personale“ (art. 13 Cost.): per gli effetti, la custodia cautelare anticipa la decisione finale, e pur non avendo ancora aperto il dibattimento ed escusse oralmente le prove e nel “lavacro“ del contraddittorio (mentre i gravi indizia di colpevolezza, vengono assunti unilateralmente dal P.M. e convalidati dal G.i.p.). Sfuma così la presunzione di non colpevolezza costituzionalmente garantita (art. 27).

Ma la custodia cautelare è solo l’esempio più eclatante di partecipazione (coatta) del soggetto passivo ai fini del processo penale, anche se difficilmente ciò viene evidenziato o valorizzato: l’inquisito che è chiamato, e senza che possa rifiutarsi (e quindi contro la sua volontà[10]), a dare il suo concreto e personale contributo alla “tenuta“ delle indagini, cedendo il bene processualmente più prezioso della libertà personale (nell’area coinvolta ruota il principio dell’inviolabilità della persona, l’habeas corpus).

Maggiormente mimetizzato nelle norme è l’istituto dell’ intercettazione telefonica, ove la volontà dell’intercettato (alla tutela della sua riservatezza) non vale o è indifferente.

In altre parole, quando lo Stato ritiene di invadere la sua sfera privata interferendovi con uno strumento captativo che valica l’ostacolo della segretezza discorsiva[11], in questo campo, non chiede l’assenso preventivo dell’intercettabile quando è alla ricerca di una prova, sul presupposto che questo sia o indifferente oppure inutile. Quale atto a sorpresa [12], al pari della perquisizione, sarebbe disutile se il soggetto passivo sapesse l’intrusione in corso[13].

Quanto precede, non è senza riflessi sulla enucleazione dei modelli generali.

Si è osservato, molto bene, che «il processo è “ingiusto“…anche qualora si serva di una disciplina che vulnera la libertà della persona, per esempio, obbligando l’imputato a collaborare. Pertanto, l’area del principio…è estesa anche al procedimento per le indagini preliminari; si può dire, anzi, che non c’è stadio della vicenda giudiziaria sottratta al “giusto processo“»[14].

Se le intercettazioni rappresentano una forma schermata di collaborazione forzosa alle indagini della Pubblica accusa, qualunque forma di collaborazione imposta (subire le intercettazioni contra reum) dovrebbe essere, da ora in poi, chiamata a confrontarsi con il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 111/2023[15].

 

Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente Master in Diritto penale e Procedura penale dell’immigrazione, Università degli studi Guglielmo Marconi-Roma. 

 

[1] Procedura penale, Milano, 2012, 4.

[2] P. Corso, Le indagini preliminari. La notizia di reato, in Aa. Vv., Manuale di procedura penale, Ottava ediz., Bologna, Monduzzi, 2008,  344.

Corte cost., sent. 5 giugno 2023, n. 111, Pres. Sciarra, Red. Viganò, in Norme & Trib., 5 giugno 2023.

[3] Cfr. M. Flamini, Il dovere di cooperazione istruttoria nel procedimento di protezione internazionale: il punto di vista del giudice di merito, in Quest. giust., 2020; altresì, v. L. Comoglio, Il dovere di cooperazione istruttoria nei procedimenti di protezione internazionale: un difficile inquadramento sistematico, ivi; F. G. Del Rosso, Il dovere di cooperazione istruttoria officiosa e le Country of origin information nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, ivi.

[4] Cgue, C-277/11, 22 novembre 2012, punti 65 e 66. Pure, v. Corte Edu [GC], F.G. c. Svezia, ric. n. 43611/11, 23 marzo 2016, par. 113.

D. Chinnici, Tutela dei terzi tramite il ricorso a Strasburgo, in Le ragioni del garantismo, collana diretta da A. Gaito-E. Marzaduri-O. Mazza-F.R. Dinacci, U princìpi europei del processo penale a cura di A. Gaito, Roma, Dike, 2016, 47: «Lo Stato ha l’obbligo di cooperare con il giudice europeo fornendo informazioni utili alla permanenza o meno della misura giudiziaria», con riferimento alle misure cautelari (per esempio, misure per la sospensione dell’ordine di espulsione, di differimento di un ordine di allontanamento, di sospensione di una procedura di estradizione (v. art. 39 Regolamento C.e.d.u.).

Si è segnalato che «la globalizzazione giuridica continua ad abituare ormai gli operatori e studiosi scenari nuovi ed a nuovi modi di pensare le dinamiche della produzione giuridica, che si intessono nei rapporti tra Corti deputate all’interpretazione delle fonti stesse nelle loro interconnessioni» (E. N. La Rocca-A. Gaito, Il “controlimite“ della tutela dei diritti processuali dell’imputato: visioni evolutive dalle Corti europee tra legalità e prevedibilità, in Arch. pen., fasc. 1, gennaio-aprile 2019, 3)

[5] Diritto al silenzio e domande sulle qualità personali dell’imputato: la Corte Costituzionale (sentenza n. 111/2023) dichiara l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 64 c. 3 c.p.p. e dell’art. 495 c. 1 c.p., in Giur. pen., 5 giugno 2023, in riferimento a Corte Costituzionale, 5 giugno 2023, sentenza n. 111, Presidente Sciarra, Redattore Viganò: la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale, nonché l’illegittimità costituzionale dell’art. 495, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni.

[6] Cfr. G. P. Voena, Soggetti, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2020, 93: «Il principio garantista del “nemo se detegere tenetur“ – espressione…della libertà delle scelte difensive» - trova svolgimento nell’art. 63…garanzia del diritto al silenzio». V. P. Moscarini, Il silenzio dell’imputato sul fatto proprio secondo la Corte di Strasburgo e nell’esperienza italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 613.

[7] Cfr., in dottrina, F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, 2017, 7 sulla «definizione di materia penale».

[8] Da ultimo, v. N.Triggiani, La notizia di reato, in A. Scalfati, A. Bernasconi, A. De Caro, M. Menna, C. Pansini, A. Pulvirenti, N. Triggiani, C. Valentini, D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, Torino, Giappichelli, 2023, 465.

[9] V. Grevi-M. Ceresa, Misure cautelari, in G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2020, 385, avvertendo che  «la disciplina…costituisce un vero e proprio sottosistema normativo».

[10] In tema, specialmente, v. P. Ferrua, Sulla legittimità della ricognizione compiuta contro la volontà dell’imputato, in Cass. pen., 1990, 653.

[11] V. art. 15 Cost. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria  con le garanzie stabilite dalla legge.

In tema, v. E. Valentini, Un rompicapo senza fine: le arcane trasformazioni dell’art. 270 c.p.p., in Revisioni normative in tema di intercettazioni. Riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, a cura di Giostra, Orlandi, Torino, 2021, 279 s.; F. Casssiba, La circolazione delle intercettazioni tra “archivio riservato” e “captatore informatico”, in Le nuove intercettazioni, a cura di Mazza, Torino, 2018, 171; G. Santalucia, Il diritto alla riservatezza nella nuova disciplina delle intercettazioni, in www.sistemapenale.it, 2020, 58-59, che richiama il  decreto legge n. 161 del 30 dicembre 2019  (su modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni) e le disposizioni riformatrici del d. lgs. n. 216 del 2017 (c. d. riforma Orlando).

In precedenza, v. A. Pizzorusso, Sul diritto alla riservatezza nella Costituzione italiana, in Prassi e Teoria, 1976, 32.

[12] Così, A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Milano, Giuffrè,  1996, 1.

In materia, v. F. Caprioli, Intercettazione e registrazione di colloqui tra persone presenti nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 155; L. Filippi, Il cavallo di Troia e l’ispe-perqui-intercettazione, in Penale. Diritto e Procedura, 21 marzo 2021 (che cita Cass., sez. un., 28 maggio 2003, Torcasio ed altro, in Cass. pen., 2004, 2094): «Secondo la definizione offerta dalle Sezioni unite Torcasio del 2003, l’intercettazione consiste nella captazione, occulta e contestuale, di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da un soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato». Da ultimo, v. Id., Quattro miti da sfatare sull’intercettazione dei cellulari BlackBerry, ivi, 28 aprile 2023; D.Scarpino, La disciplina delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, ivi, 13 gennaio 2023.

[13] In materia, recentemente, v. O. Dominioni, I mezzi di ricerca della prova, in  O. Dominioni-P. Corso-A. Gaito-G. Spangher-N. Galantini-L. Filippi-G. Garuti-O. Mazza-G. Varraso-D. Vigoni, Procedura penale, 7a ed., rist. agg., Torino, Giappichelli, 2021, 336 s.

[14] A. Scalfati,“Giusto processo", in A. Scalfati, A. Bernasconi, A. De Caro, M. Menna, C. Pansini, A. Pulvirenti, N. Triggiani, C. Valentini, D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, Torino, Giappichelli, 2023, 8.

[15] V. L'indagato deve essere avvertito del diritto di non rispondere alle domande sulle condizioni personali, in Italia oggi, 5 giugno 2023: «Lo ha stabilito la Corte costituzionale: la Costituzione e le norme che tutelano i diritti umani consentono di imporre al sospettato di aver commesso un reato il dovere di indicare all’autorità le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita), ma non anche il dovere di fornire ulteriori informazioni di carattere personale, non essendovi per l’indagato o l’imputato alcun obbligo di collaborare con le indagini e il processo a proprio carico».