A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI BENI CULTURALI 

Autore: Prof. Vito Lipari 

 

Prima di incentrarci sulla nascita e sull’evoluzione della tutela dei beni culturali è opportuno esaminare la definizione di “patrimonio culturale” fornita dall’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.

Fanno parte dei beni culturali tutte quelle cose mobili e immobili avendo ad oggetto un “interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico” e tutto ciò che è inerente alla paleontologia, alla preistoria, alle civiltà primitive, alla numismatica ed ogni cimelio avente carattere di rarità o di pregio. Esistono anche dei beni culturali che sono tutelati anche nel caso in cui i soggetti a cui appartengono mutino la loro natura giuridica[1] ed essi sono: raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi; archivi e singoli documenti; raccolte librarie delle biblioteche. Questi beni possono essere di appartenenza dello Stato, delle Regioni, di Enti Pubblici territoriali e di ogni altro Ente o Istituto pubblico. Secondo l’art. 10, co. 3 vengono considerati anche beni culturali tutte quelle cose mobili e immobili appartenenti a persone giuridiche private senza scopo di lucro che rivestono un interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante; archivi e singoli documenti appartenenti a privati; raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; tutte quelle cose mobili e immobili che rivestono un ruolo particolarmente importante in quanto testimonianza dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, religiose o collettive; tutto ciò che rappresenta un interesse archeologico, storico, artistico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione; le collezioni o serie di oggetti diverse da quelle indicate nel co. 2, che per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestono come complesso un eccezionale interesse. In base all’art. 10, co. 5 non sono soggette alla disciplina del Titolo I le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri Enti Pubblici territoriali, nonché ad ogni altro Ente ed Istituto pubblico e a persone giuridiche senza scopo di lucro, le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico e le collezioni o serie di oggetti, che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni. Non sono nemmeno soggette a tale disciplina le cose di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico eccezionali per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione, che siano opera di un autore ancora in vita o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Tale decisione è stata presa per tutelare la produzione artistica di questi autori e per mantenerla libera da vincoli amministrativi e normativi che ne limiterebbero la commerciabilità, nonché la libera espressione dell’attività professionale dell’artista.[2] A questo punto possiamo distinguere due elementi: uno materiale e uno immateriale. Quello materiale che può essere oggetto di diritti di natura patrimoniale; mentre quello immateriale, essendo un elemento materiale, viene veicolato e trasmesso alle generazioni future. Una seconda definizione di patrimonio culturale è quella fornita dall’UNESCO[3]:

beni culturali e naturali che possiedono un valore universale eccezionale (Outstanding Universal Value – OUV) per l’intera umanità”.

Secondo la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, adottata il 16 novembre 1972 a Parigi, i beni culturali sono beni che dal punto di vista scientifico, etnologico, antropologico, storico, artistico o estetico, hanno un valore universale ed eccezionale mentre i beni naturali devono avere un “valore universale eccezionale” dal punto di vista scientifico e/o estetico.

Avere tale valore significa possedere una rilevanza culturale o naturale così eccezionale da trascendere i confini nazionali e da essere di importanza comune per le generazioni presenti e future di tutta l’umanità. Per tale motivo la tutela permanente di questo patrimonio è indispensabile e di massima importanza per la comunità internazionale. Esaminando ora il quadro normativo ci corre l’obbligo partire proprio dalla nostra Costituzione; infatti a seguito delle leggi del 1939 i Costituenti avvertirono la necessità di andare ad affermare un principio di libertà all’interno del settore. Essi intuirono le potenzialità della cultura e della sua protezione come luogo di identità e, insieme, di democrazia e di pluralismo, sebbene dai lavori preparatori non emerga, da alcuni interventi che addirittura ritenevano superflua una norma costituzionale in materia, una consapevolezza sempre piena dell’importanza del tema. Comunque, “la norma che sarebbe diventata l’art. 9 del testo finale fu proposta quale apice di tutta la Costituzione culturale italiana: essa definisce i settori di promozione e tutela (cultura, ricerca, paesaggio, patrimonio storico-artistico), consentendo anche un’interpretazione estensiva verso direzioni che non furono inserite nella sua formulazione letterale”.[4]

Nella parte di “Costituzione culturale” della nostra Costituzione, formata dagli articoli 9, 33, 34, 117 e 118, è alquanto complicata sotto il punto di vista di un’interpretazione sistematica del concetto di cultura nelle sue varie esternazioni. Secondo una visione generale, la tutela dei beni culturali, deve essere intesa come funzionale alla propaganda di beni ed attività che già sono o che saranno un di più per quella collettività e per l’intera umanità. Infatti, analizzando il patrimonio culturale da questo punto di vista, esso rappresenta un elemento di ricchezza tanto presente quanto futura poiché, secondo Rimoli, “la sua conoscenza non si esaurisce in un mero godimento estetico attuale, ma incentiva e orienta alla creazione di nuova cultura, di nuova arte e dunque di nuovo patrimonio, materiale e immateriale. Inoltre, il patrimonio materiale è davvero “ricchezza” in senso stretto, come entità economica e potenziale fonte di entrate: il mercato dei beni culturali e delle cose d’arte muove interessi enormi e ciò richiede estrema attenzione”.[5] I primi dodici articoli della Costituzione, definiti “principi fondamentali”, rappresentano quelli che vengono definiti come immodificabili neppure tramite il procedimento di revisione costituzionale contenuto nell’articolo 138. Tali principi sono considerati la base per un ordinamento repubblicano e sono stati inseriti dai Costituenti all’inizio della Carta Costituzionale proprio per evidenziarne l’importanza nonché l’immediata applicabilità.  

L’articolo 9 è quell’articolo che getta le basi sul concetto di cultura e patrimonio, il quale afferma che:

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

L’inserimento di tale norma all’interno della Costituzione è stato voluto da due grandi esponenti, Aldo Moro e Concetto Marchesi, soprattutto quest’ultimo portarono alla creazione della norma; egli continuò ad affermare che era sì vero che arte e scienza sono semplici astrazioni e come tali libere, ma era altrettanto vero che esse sono manifestazione di un genio e possono quindi essere oggetto di censura, così come avvenuto nel precedente periodo fascista.[6] Tale articolo spicca proprio per la sua modernità: in una Repubblica appena nata, caratterizzata per l’elevato tasso di analfabetismo, i Costituenti decidono di puntare sulla cultura e sul progresso scientifico individuando in essi degli strumenti di emancipazione e di rinascita del Paese.[7] Da ciò nasce la necessità e la volontà di creare tale norma, per poter creare delle generazioni future libere da ogni condizionamento sovraimposto, libere di crearsi una propria coscienza critica. Esaminando nel dettaglio l’art. 9 possiamo rilevare come la norma opera su due fronti: da una parte la promozione della cultura e dello sviluppo tecnico-scientifico; mentre dall’altra la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico italiano. Per quanto riguarda il primo principio enunciato, si evince un impegno che la Repubblica si assume, ossia quello di sostenere e favorire il progresso culturale e scientifico con tutti gli strumenti a sua disposizione senza però andarne a limitare la libertà; il secondo principio, invece, quello di tutela, che si materializza in una serie di interventi che non si limitano alla difesa del paesaggio e del patrimonio storico-artistico ma si estendono alla loro valorizzazione e preservazione. Con Benedetto Croce si deve la legge “per la tutela delle bellezze naturali degli immobili di particolare interesse storico”, legge n.778 del 1922, la quale però non andò a prendere in considerazione il carattere dinamico, dell’influenza sia positiva che negativa, dell’uomo su quello che è il territorio. Infatti con il termine “paesaggio” egli intendeva “la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari”. Nei primi anni 70 si ha un ampliamento del termine che andò ad abbracciare anche l’ambiente. Proprio in questi anni il termine ambiente diventa sempre più ricorrente nelle sentenze della Corte Costituzionale, la quale andò a ricavarne una nozione dal combinato disposto degli articoli 9, 32, 41 e 44 della Costituzione. Un richiamo normativo in merito alla “cultura” si può trovare nell’art. 33 della Costituzione che afferma:

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.”

In questo articolo si può rilevare come l’Italia promuove la cultura, in ogni sua forma, e viene per questo definita “stato di cultura”. Lo stesso articolo al primo comma dell’articolo 33 dichiara che “la scuola è aperta a tutti” nonché “l’arte e la scienza libere e libero ne è il loro insegnamento”,[8] i termini arte e scienza considerati dall’articolo 33 devono essere colti nel loro significato più lato; ovvio che esse siano libere, arte e scienza sono figure astratte e come tali libere per definizione, ciò a cui si fa riferimento nel dettato costituzionale, quello che davvero deve essere tutelato da aprioristiche limitazioni è la loro esternazione: deve essere garantita la libertà di manifestare la propria arte con ogni mezzo di diffusione come corollario del principio di libertà di pensiero ex art. 21 della Costituzione, la libertà di affermare qualsiasi teoria o tesi si ritenga degna, la libertà di svolgere l’insegnamento seguendo il metodo che più si ritiene opportuno. A questo punto, dopo avere esaminato le varie norme costituzionali, corre l’obbligo incentrarci sulla riforma del Titolo V. Infatti con la legge 3 del 18 ottobre 2001 si è andata a riformare quella parte della Costituzione che concerne le Autonomie Locali e i rapporti con lo Stato. La riforma in questione è particolarmente rilevante per la novità dei suoi contenuti sia in riferimento all’assetto del governo territoriale, sia e soprattutto in riferimento alla nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, tra cui appunto la materia dei beni culturali.[9] Infatti con la legge n.3/2001 si esprime innanzitutto nella nuova ripartizione delle competenze legislative ed amministrative tra Stato e gli altri enti.[10] Prima della riforma, l’articolo 117 elencava semplicemente quali erano le materie di competenza legislativa regionale “nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello delle altre Regioni” tra cui non figurava il patrimonio culturale, la cui tutela era affidata alla Repubblica in forza dell’articolo 9 della Costituzione. Con la riforma del Titolo V viene affidata la competenza esclusiva della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali allo Stato, mentre viene affidata alla legislazione concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali nonché la promozione e l’organizzazione delle attività culturali: la differenziazione che si è avuta tra tutela, affidata alla legislazione esclusiva e valorizzazione, affidata alla legislazione concorrente, ha creato non pochi problemi applicativi vedendo più volte necessario l’intervento della Corte Costituzionale. Il nuovo testo dell’articolo 118 è incentrato sul principio sussidiarietà che, nello specifico, ha dato vita a quella categoria di “cittadini attivi”[11] che tramite l’applicazione dello stesso si prendono cura dei c.d. beni comuni. Essi sono dei custodi di tali beni comuni e in quanto tali, esercitano un diritto di cura che si fonda non su un interesse di tipo personale ma di un interesse generale. Infatti ciò che spinge tali soggetti è sì un interesse diretto alla cura e allo sviluppo dei beni comuni ma ciò che davvero muove i cittadini è la solidarietà, quel senso di comunità che risiede i quei beni di cui essi si prendono cura. Anche l’Unione europea si interessò alla cultura già a partire dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e con la Comunità Economica Europea (CEE); già nel trattato con cui si diete inizio alla CECA si possono andare ad individuare i primi collegamenti tra quello che era all’epoca il progetto europeo e la materia della cultura.[12] Tra gli anni 60 e 70, in particolare nel 1964, i capi di governo chiarirono che l’Europa doveva riuscire ad andare oltre il mero coordinamento a livello economico, così il Parlamento Europeo attuò una cooperazione tra tutti gli Stati membri, in grado di creare le basi per un patrimonio culturale europeo che rappresentava le fondamenta per un’Europa sì diversa ma comunque culturalmente unita. Infatti, successivamente il Parlamento europeo adottò una risoluzione volta a stabilire delle misure da dover adottare per la protezione delle opere artistiche, la quale proponeva anche delle misure riguardanti l’educazione e la formazione dei professionisti operanti nel settore culturale, nonché delle proposte di armonizzazione in tema d’imposte sui beni e i servizi culturali.

Per la protezione dei beni culturali, si dovevano adottare delle misure che andassero a combattere il traffico illecito delle opere, creando degli inventari dei beni culturali e delle misure di sostentamento finanziario per la difesa e il restauro dei beni artistici. Nella medesima risoluzione, il Parlamento, espresse anche la speranza di poter includere nell’agenda del Consiglio dei ministri, i problemi riguardanti la protezione del patrimonio, in più, si fece richiesta alla Commissione di attivarsi al fine di adottare, nel Trattato, delle misure in tal senso. Nel 1982 con un comunicato indirizzato al Consiglio e al Parlamento europeo si affermò che la Comunità non si sarebbe entrata nel merito delle scelte nazionali in ambito culturale, limitandosi alle sue competenze; la Comunità avrebbe però fornito dei mezzi di aiuto economico e sociale nel settore culturale, così come faceva già in altri ambiti. Venne affermato anche che non ci sarebbero dovute essere aspettative nei confronti della Comunità per quanto riguardava le varie definizioni e scopi della cultura, essa non avrebbe avuto alcun tipo di potere esecutivo o di indirizzo, e sarebbe limitata alla circolazione trans-frontaliera dei beni artistici e al miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori culturali.[13] Nel 1983 poi vi fu la firma della “dichiarazione solenne sull’Unione europea” in cui si cercò d’incoraggiare la Comunità a una maggior cooperazione culturale e si fece riferimento a una possibile codificazione delle varie iniziative comunitarie dato l’importanza che stavano via via assumendo.[14] Alla fine degli anni ’90 la Commissione cercò di rilanciare la partecipazione della Comunità alla materia culturale con un nuovo progetto chiamato “una nuova spinta per la cultura nella Comunità Europea” nel quale si andarono a delineare le linee guida dell’azione culturale.[15] Si andò a considerare come il miglioramento dell’intervento europeo in tale settore, potesse portare dei benefici anche per il raggiungimento di altri obiettivi economici, politici e sociali, come il completamento del mercato interno che aveva data di scadenza il 1992. Furono così intraprese altre iniziative più concrete come la creazione di un Comitato degli affari culturali e un Comitato dei consulenti culturali. Il Consiglio stesso andò ad osservare come vi fosse la necessità di un intervento in tema di competenze della Comunità in aree come quella culturale, vi era la necessità di dare maggior peso alla salvaguardia delle diversità e del patrimonio culturale europeo. Tale riconoscimento avvenne durate la conferenza intergovernativa sull’Unione politica aperta a Roma nel 1990 con la conferenza intergovernativa sull’Unione monetaria con cui si arrivò alla stesura del Trattato di Maastricht. Passando ora all’art. 167 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), esso dispone che:

l’Unione contribuisce al pieno sviluppo della cultura degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune”,

incoraggia la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ne appoggia e ne integra l’azione, tra gli altri, nel settore della conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si dichiara che l’Unione rispetta la diversità culturale oltre che quella religiosa e linguistica[16] e, facendo riferimento alle generazioni future nel preambolo, sposta l’accento sull’idea di “continuità” dell’identità culturale. Il patrimonio culturale di ciascun popolo è fondato sulla diversità ed è solo temporaneamente affidato ai cittadini del presente. L’oggetto del diritto europeo, quindi, più che la tutela della cultura è la protezione della diversità culturale, codificata dalla Convenzione UNESCO per la protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali (2005). L’art. 167 TFUE non è l’unico che porta dei riferimenti alla cultura:

  • l’art. 3, co. 3, TFUE dispone che l’Unione deve rispettare la ricchezza della diversità culturale e linguistica, nonché vigilare sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo;
  • ai sensi dell’art. 6 TFUE l’Unione “ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare e completare l’azione degli Stati membri”; tra i settori di tali azioni vi è la cultura;
  • l’art. 36 TFUE consente agli Stati membri di porre divieti o restrizioni alle importazioni, esportazioni e al transito, giustificati da ragioni di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale. Perciò, i beni culturali costituiscono un’eccezione alla disciplina della libera circolazione delle merci;
  • l’art. 107 TFUE definisce che possono considerarsi compatibili con il mercato interno, tra gli altri, “gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune”. Avendo esaminato l’evoluzione storica e normativa dei beni culturali anche nel quadro europeo, è opportuno anche esaminare le attività criminali legate al patrimonio culturale e le tutele.

Partendo dai furti d’arte possiamo affermare che questi avvengono maggiormente in abitazioni private, ma anche musei e luoghi di culto.[17] Un altro problema è la contraffazione, alterazione e falsificazione di opere d’arte che non erano sanzionate nell’ordinamento italiano fino a che non venne emanata la legge 20 novembre 1971, n. 1062[18], successivamente modificata dal D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 agli artt. 178 e 179.[19] Ovviamente questo genere di reato, difficilmente perseguibile, causa dei danni agli artisti e anche agli acquirenti, provocando implicazioni per il mercato. Purtroppo questa tipologia di reato, ormai largamente diffusa, beneficia della mancanza di deterrenti legislativi. Un altro problema e rappresentato dallo scavo clandestino (o illecito) che risulta davvero dannoso in quanto operato in modo frettoloso, trascurando le accuratezze della scienza. Infatti i criminali tengono conto solo del valore venale della ricerca e finiscono per distruggere la morfologia del sito rendendo difficile agli studiosi la lettura da un punto di vista storicoculturale. Ricordiamo che per la legislazione italiana tutto ciò che si trova nel sottosuolo appartiene ipso iure allo Stato e rientra nel patrimonio indisponibile.[20] Il commercio avviene spesso attraverso siti specializzati nella vendita online (per esempio eBay), i gruppi criminali provano frequentemente a veicolare beni rubati, falsificati o provenienti, appunto, da scavi illeciti.[21] La prima arma di contrasto a tale fenomeno è rappresentata dalla “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, la più grande a livello mondiale, prevista dall’art. 85 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. La Banca Dati contiene informazioni descrittive e fotografiche relative ai beni culturali da ricercare e rappresenta un ausilio fondamentale a supporto delle attività investigative condotte dalle Forze di Polizia, dalle Soprintendenze, dagli Uffici Doganali e da INTERPOL per i beni all’estero, in particolare dal Comando Carabinieri TPC. La Banca Dati, quotidianamente aggiornata, è caratterizzata da moduli base e moduli per il supporto delle indagini.[22]

Questo nuovo sistema ha la capacità di verificare e ritrovare termini lessicali utilizzati per la descrizione dell’opera e di confrontare immagini o parti di esse sulla base delle caratteristiche grafiche. Al fine di ottimizzare le attività di catalogazione dei beni culturali trafugati, attività alla base di ogni politica di tutela, le informazioni dei beni da catalogare vengono integrate con i dati messi a disposizione dai Sistemi informativi di MIC, Conferenza Episcopale Italiana (CEI), altri Organismi quali INTERPOL (Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale), UNESCO, ICCROM (organizzazione intergovernativa volta a promuovere la conservazione di tutte le forme di patrimonio culturale in tutte le regioni del mondo), ecc., con i quali il Comando collabora quotidianamente.

Invece il più importante organismo di polizia a livello nazionale è il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, istituita il 3 maggio 1969 quando il Comando Generale dell’Arma, a seguito di una lungimirante intuizione del Capo di Stato Maggiore protempore, il Genarle Arnaldo Ferrara (1920 - 2016), decise di costituire il Nucleo Tutela Patrimonio Artistico presso il Ministero della Pubblica Istruzione e d’intesa con quest’ultimo.[23] Il 20 settembre 1971 il Comando Generale dell’Arma elevò il reparto al rango di Comando di Corpo con alle dipendenze il preesistente Nucleo Tutela Patrimonio Artistico. In seguito il Nucleo venne riconfigurato in Reparto Operativo articolato in tre sezioni specializzate nei settori Antiquariato, Archeologia, Falsificazione e Arte contemporanea. Con Decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali del 5 marzo 1992 “Istituzione del Comando carabinieri per la tutela del patrimonio artistico presso il Ministero” venne indicata la nuova denominazione Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e ne vennero formalizzati funzioni e compiti.[24] In ambito internazionale invece cooperano con le altre forze di polizia attraverso l’INTERPOL, che esamineremo a breve, forniscono supporto specialistico alle operazioni di Peace-Keeping, svolgono programmi di formazione per gli operatori di polizia e dogana esteri; partecipano ad attività di ricerca e sviluppo portate avanti da svariate Università.[25] INTERPOL è un’agenzia intergovernativa con attualmente 194 Paesi membri, costituita nel 1923 a Vienna e riconosciuta dalle Nazioni Unite. Essa si occupa della lotta al traffico illecito di beni culturali e del recupero dei beni rubati. I suoi organi centrali sono: il Segretariato Generale, gestito dal Segretario Generale, il quale coordina le attività per combattere i reati ed offre ai Paesi membri un’ampia gamma di servizi e conoscenze oltre a diciotto database con informazioni riguardanti reati e criminali accessibili da parte di tutti i Paesi in tempo reale; l’Assemblea Generale, organo di governo che riunisce tutti i Paesi una volta all’anno per prendere decisioni; la Commissione Esecutiva  che supervisiona l’esecuzione delle decisioni dell’Assemblea Generale e i lavori del Segretariato Generale. Per concludere, l’organizzazione internazionale di polizia criminale ha tre funzioni principali: diffondere informazioni di polizia giudiziaria in tutto il mondo, gestire banche dati e sostenere gli Stati membri in ambito operativo. Ora, invece, esamineremo un’agenzia dell’Unione Europea chiamata Europol.

Essa ha il compito dell’applicazione della legge, il cui obiettivo principale è quello di contribuire a realizzare un’Europa più sicura a beneficio dei cittadini”.[26] L’agenzia, con sede a L’Aja nei Paesi Bassi, prevista dal Trattato di Maastricht del 1992, è operativa dal 1998, a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione istitutiva di Bruxelles del 1995. Europol, per rendere l’Europa più sicura, si concentra sulla prevenzione e repressione di tutte le forme di criminalità organizzata e internazionale, crimine informatico e atti terroristici. Per raggiungere il suo obiettivo, Europol si avvale di diversi Centri ai quali sono affidati precisi compiti con riferimento a determinate questioni, tra i quali vi è il Centro Operativo, il Centro Europeo per la lotta al traffico di migranti, il Centro Europeo per la lotta alla criminalità informatica, il Centro Europeo antiterrorismo e la Coalizione coordinata per la lotta ai crimini contro la proprietà intellettuale.[27] Infine concludiamo con L’UNICRI. L’UNICRI (United Nations Interregional Crime and Justice Institute) è l’istituto interregionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia. Fondato nel 1965 è un’entità indipendente con sede a Torino, che promuove lo stato di diritto, i diritti umani e la cultura della legalità; favorisce l’adozione di politiche per la prevenzione della criminalità e lo sviluppo sociale.[28]

In particolare si occupa di contrastare l’estremismo violento, criminalità organizzata, traffico illecito e flussi finanziari illeciti, assicurare lo stato di diritto nei paesi postbellici e garantire la sicurezza attraverso la ricerca, la tecnologia e l’innovazione.[29] Tale Istituzione manifesta una maggior attenzione al contrasto della contraffazione delle opere d’arte, tant’è che ha prodotto il primo rapporto dell’ONU sul coinvolgimento del crimine organizzato nella contraffazione nel 2007. L’UNICRI conduce anche un’attività di ricerca sulle conseguenze della contraffazione e sul coinvolgimento del crimine organizzato nella contraffazione di prodotti specifici, promuove la conoscenza del fenomeno e svolge attività di formazione per le forze dell’ordine.[30]

 

[1] Art. 10, co. 2.

[2] Lo Schiavo G., Verifica e dichiarazione dell’interesse culturale, in I quaderni della fondazione italiana per il notariato, Gruppo24ore, 2009, p. 13.

[3] United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization.

[4] Rimoli F., La dimensione costituzionale del patrimonio culturale: spunti per una rilettura, di Riv. Giur. Ed., 2016, V, 505. 

[5] Idem.

[6] 43 Marconi I., L’articolo 9 della Costituzione: cultura, paesaggio e ricerca, Contenuto, genesi e finalità della norma, Altalex, 2016.

[7] Idem

[8] Libertà d’arte, scienza e insegnamento artt. 33 e 34 Costituzione, Stato cultura, la libertà artistica e di insegnamento, l’università, quadro complessivo dell’istruzione scolastica sancita dalla Costituzione, Edizioni Simone, 2016.

[9] I beni culturali e il nuovo Titolo V della Costituzione: problematiche e prospettive a seguito della riforma federale dello Stato, Dott.ssa Rosaria Salamone, o della riforma federale dello Stato 04/04/2005, http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getintervento&id=56, ultima consultazione 26/05/2021.

[10] D’Atena A., Diritto regionale, 2° edizione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2003, p. 70 ss.

[11] https://www.cittadinanzattiva.it/aree-di-interesse/attivismo-civico/201-sussidiarieta-e-articolo-/118.html, ultima consultazione 27/05/2021.

[12] Shore C., Building Europe: the cultural politics of European integration, Routledge, Londra, 2000.

[13] Psychogiopoulou E., The Integration of Cultural Considerations in EU Lae and Policies, Martinus Nijhoff publishers, Leiden-Boston, 2008.

[14] Unione europea, solenne dichiarazione dell’unione europea del 19/06/1983, Testi che concernono la cultura a livello della comunità europea, Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità Europee, 1994.

[15] Commissione europea, comunicazione sul rilancio dell’azione culturale nella comunità europea, 14/12/1987, COM (87) 603 in Bull. EC supplemento 4/87.

[16] Art. 22.

[17] L’informazione può essere recuperata dal sito di Interpol al seguente indirizzo: https://www.interpol.int/es/Delitos/Delitos-contra-el-patrimonio-cultural/Problematica-bienesculturales# pt-3.

[18] c.d. Legge Pieraccini.

[19] Successivamente abrogati dalla l. 9 marzo 2022, n. 22.

[20] Art.91 del Codice per i beni culturali e del paesaggio.

[21] Ahmetaj E., UNTOC (United Nations Convention against Transnational Organized Crime): applicazione del doppio binario, in Archivio penale, 2013, fasc. 2, p. 2.

[22] Il modulo è disponibile sul sito dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, gestito dal Ministero della Cultura: http://iccd.beniculturali.it/getFile.php?id=1980.

[23] Per avere maggiori approfondimenti e consigliato visionare il seguente sito internet: http://www.carabinieri.it/chi-siamo/oggi/organizzazione/mobile-e-speciale/comandocarabinieri-per-la-tutela-del-patrimonio-culturale.

[24] Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (2020), Attività operativa 2020, https://www.journalchc.com/wp-content/uploads/2021/04/Attivita%CC%80-Operativa-2020c.pdf, p. 75.

[25] Il modulo è disponibile sul sito dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, gestito dal Ministero della Cultura: http://iccd.beniculturali.it/getFile.php?id=1980.

[26] Europol, https://www.europol.europa.eu/about-europol:it.

[27] Idem.

[28] Per approfondire si veda il sito: https://www.onuitalia.it/chisiamo/.

[29] Come indicato sulla pagina internet dell’UNICRI: https://unicri.it/index.php/organizedcrime-illegal-trafficking-and-illicit-financial-flows.

[30] Ahmetaj E., cit., fasc. 2, p. 77.