A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

DEONTOLOGIA GIUDIZIARIA E FORENSE 

SE IL DIFENSORE NON CONTRASTA CON UNA PROPRIA CONSULENZA QUELLA DEL P.M., SE NON “SPINGE“ L’IMPUTATO A DISCOLPARSI RIMANENDO ASSENTE, PER LA CONDANNA IMPUTET SIBI SUL PIANO DELLA DEONTOLOGIA FORENSE? VAGLIO DI CASS. CIV., ORD. 5-6-2024,  N. 15719.

Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli  

 

Sommario: 1.Il Codice Deontologico Forense - 2. Le fonti normative. Il criterio del “più probabile che non“ - 3. Un principio civilistico paradigmatico, che trova posto quale modello in campo penalistico - 4. La decisione di Cass. civ., Ord. 5-6-2024,  n. 15719 - 5. L’impianto istruttorio: in sintesi. 6. Giudizio c.d. controfattuale - 6. Giudizio c.d. controfattuale: l’aliud agere - 7. Codice Deontologico Forense: la giurisprudenza.

 

1. Il Codice Deontologico Forense

Il Codice Deontologico Forense  è innestato in  un corpus regolativo avente ad oggetto le norme  sul  comportamento doveroso che l'avvocato è chiamato a tenere e ad osservare in via generale e, specificatamente, nell’esercizio della sua attività professionale. Riguarda la linearità dei suoi rapporti con la clientela, la controparte, altri avvocati e professionisti, fermo restando che l’art. 2229 (Esercizio delle professioni intellettuali) del Codice civile, con la sua riserva, stabilisce che la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi[1].

In ordine ai rapporti con la clientela, questi sono ordinati nella piattaforma di un impianto contrattuale[2]: tra l’avvocato e il cliente intercorre un contratto, nei cui ambito spicca la prestazione legale del professionista, il perno dell’accordo, cioè dell’elemento pattizio. Nell’ipotesi in cui il legale dovesse risultare inadempiente dovrà risponderne.

Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi; si applicano anche ai comportamenti nella vita privata[3], quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense[4].

Esemplificativamente, le queaestiones sorgeranno qualora il professionista depositi l’impugnazione oltre il termine previsto per tabulas – in perenzione dei termini, che faranno apparire l’atto tardivo[5] - ovvero omette di spedire atti interruttivi della prescrizione o, ancora, non tiene informato il cliente della causa pendente.

La responsabilità del legale è plurilivello, di tre ordini: 1) di ordine civile; 2) di ordine penale[6]; 3) di ordine disciplinare e corrispondentemente si parlerà di responsabilità civile, penale, disciplinare.

Di matrice civile: se chi è tenuto non adempie la propria obbligazione nei confronti del cliente causandogli un danno il primo si espone a responsabilità civile.

Di matrice penale: se con condotta intenzionale agisce contro l’interesse del patrocinato egli sarà penalmente responsabile e l’illecito penale consisterà nel reato di patrocinio infedele[7].

Di matrice disciplinare: è sanzionabile disciplinarmente l’avvocato che viola il Codice deontologico[8].

 

2. Le fonti normative. Il criterio del "più probabile che non".

In materia di responsabilità civile dell’avvocato, le norme di riferimento trovano la loro fonte nel Codice civile, nella legge professionale forense e nel Codice deontologico. Tra le diverse disposizioni, citiamo esemplificativamente.

Nell’art. 1176 c. 2 del codice civile, la rubrica, il suo testo (Diligenza nell'adempimento), sormonta il dettato normativo e lo preannuncia significativamente, sulla  diligenza media del professionista.

Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata[9].

Secondo la consolidata giurisprudenza, deflette dalla prescrizione inserita all'art. 1176 co 2 cod.civ. il professionista «che tenga una condotta diversa da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto il c.d. homo eiusdem generis et condicionis, vale a dire il professionista “medio“. Il professionista “medio“, ossia la figura ideale che costituisce il parametro di valutazione della condotta che si assume colposa, non corrisponde ad un professionista "mediocre“, ma ad un professionista “ bravo”, ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte»[10].

La diligenza considera un parametro di giudizio distinto da altri “qualificatori“ come correttezza o buona fede (v. 1175 c.c.). Queste ultime impongono alle parti di tenere un comportamento corretto nell'eseguire la propria prestazione. La diligenza, invece, traccia le linee delle modalità di esecuzione della prestazione e prescrive al debitore di fare tutto quanto necessario per soddisfare l'interesse del creditore all'esatto adempimento.

Il secondo comma si incarica di definire il grado di diligenza, la declina nel grado richiesto al professionista, ad esempio all'avvocato o al medico. Secondo parte della dottrina tale comma si staglia all’orizzonte esprimendo un principio di portata generale.

In tema di responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) per inadempimento delle obbligazioni professionali trova posto una sorta di proprietà distributiva: è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del “ più probabile che non“, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all'agente[11].

 

3. Un principio civilistico paradigmatico, che trova posto quale modello in campo penalistico.

Paradigmatico il seguente principio di diritto scolpito dalla recente Cassazione civile del 2023:sussiste la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra, il quale, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, non assicuri la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, in quanto l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell’incarico e consente al committente di rifiutare di corrispondergli il compenso, ovvero di chiedere la risoluzione del contratto[12].

Paradigmatico, appunto: vuol dire che, come un ventaglio, il dictum può svilupparsi toccando altri settori del diritto, al pari di un memorandum.

Poniamo, ora, un caso tratto dalla casistica giudiziaria.

Un imputato lo è per il reato di omicidio colposo[13] dopo che la Procura della Repubblica ha disposto un accertamento tecnico, affidando l’incarico ad un noto e stimato Consulente, il quale conclude per l’assoluta responsabilità per l‘evento morte eziologicamente riconducibile alla condotta dell’imputato. La difesa, in quel versante, resta inerte, non producendo - mai - una propria consulenza tecnica da contrapporre a quella “pubblica“ (tale perché il P.M. è organo pubblico, che rappresenta la pubblica accusa): Punctum contra punctum, doveva essere, invece richiamando la figura - il modello - di un solerte ed attento avvocato penalista.

In primo grado il P.M. chiede la condanna per omicidio colposo e  il Tribunale accoglie la richiesta formulata in requisitoria[14]. Il condannato appella la decisione negativa, di penale responsabilità. Ma viene condannato anche in secondo grado, di merito[15], e pure nel giudizio di legittimità, in Cassazione. Una serie di conferme, quindi.

Il tema diventa: la prima condanna e le due successive conferme erano prevedibili, considerando la scarsa difesa (e nessuna autodifesa) dell’imputato? L’assoluzione era “irrealizzabile“, rebus sic stantibus?

In appello l’avvocato aveva delegato altro legale in udienza (non presentandosi il primo), che non conosceva la vicenda nei termini in cui la conosceva l’avvocato nominato dal cliente. Infatti la sua arringa durava poco.

Riteniamo che quel finale era prevedibile ab inizio, proprio per l’”irrealizzabilità“[16] di una assoluzione. Un avvocato  “scriteriato“ (per così dire) [17] va incontro alla pena piena (come si è verificato) per il suo cliente se: a) non affida l’incarico ad un consulente privato per allestire un proprio elaborato tecnico, successivamente al deposito della consulenza tecnica del P.M. dimostrativa della piena ed esclusiva responsabilità dell’imputato per l’evento morte, per screditarla/confutarla; b) non propone al cliente l’avvio delle cc.dd. investigazioni difensive, per tentare di acquisire una c.d. prova a discarico; c) dopo l’audizione in aula, chiesta dal P.M., del consulente tecnico autore di una consulenza scritta che non dà scampo all’imputato in termini di responsabilità, l’avvocato difensore non facilita la discolpa, lasciando l’imputato contumace/assente, non facendolo presentare mai in aula e non  facendolo partecipare ai lavori istruttori e nell’udienza di discussione, precludendo così le linee di una autodifesa (cioè che succede quando un avvocato, maldestramente, suggerisce, ad esempio, al cliente di “buttarsi latitante“: seguiranno le condanne penali per il vulnus della mancanza radicale dell’autodifesa); d) e non sceglie un rito alternativo (come l’”abbreviato“ ad esempio).

Una difesa ampiamente lacunosa, che - anche senza il “bagaglio a mano“ delle investigazioni private - sembra ignorare gli spazi difensivi disponibili secundum codicem  andando incontro direttamente ad una sentenza di condanna, con il giudizio ordinario. La condotta descritta è quella tipica di un avvocato non penalista.

Per la condanna, però, riteniamo, imputet sibi. Ravvisiamo una responsabilità: senza l’appoggio di un consulenza tecnica di parte, senza la discolpa personale, non  expedit  il prosieguo del giudizio pubblico ordinario: il legale avrebbe dovuto optare per un rito alternativo, avrebbe evitato la pena piena e senza l’inutile “prolungamento“ della regiudicanda in Cassazione (che condanna due volte l’imputato, cioè non solo penalmente[18]).

 

4. La decisione di Cass. civ., Ord. 5-6-2024, n. 15719.

Di diverso avviso la Cassazione civile[19] - ma noi stiamo invocando una responsabilità disciplinare, extracivilistica cioè - per un caso classificabile  come consimile o non dissimile in parte.

Nel caso, assai recente (del giugno 2024), passato in rassegna (si osservi, però, che) non c’è il peso o l’incidenza della consulenza del P.M., che rappresenta una notevole variabile: al pari di una prova c.d. a carico non controbilanciata/contrastata da una prova c.d. a discarico.

Il caso della Cassazione 2024. L’imputazione è di violenza carnale nei confronti di una minorenne. Le sentenze (dei giudici) territoriali, di merito, primo e secondo grado hanno giudicato raggiunta la prova della negligenza del difensore, non estesa, però,  al nesso di causalità tra la condotta colposa e il danno causato all’imputato.

Il dictum reso dalla Cassazione civile - civile e non penale e in ciò sconta una certa disaffezione alle competenze specifiche - è controvertibile in termini di culpa in omittendo. Il ricorrente lamenta, con impostazione minimale data dalla difesa dell’imputato, “l’omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente”. Il ricorrente “imputa“ al suo ex avvocato a titolo di negligenza professionale: “di non avergli consigliato di comparire al processo per rendere le proprie dichiarazioni e fornire la propria versione dei fatti, nonché il mancato deposito della lista dei testi[20] e la mancata  partecipazione personale all’udienza di discussione, in cui il difensore si sarebbe fatto sostituire da un collega privo di informazioni e degli strumenti necessari per potere approntare un’adeguata difesa. Tali omissioni avrebbero determinato una condanna a sette anni di reclusione, sia a causa della mancata prospettazione di una versione dei fatti alternativa a quella indicata dalla vittima, ritenuta pienamente credibile, sia a causa della mancata escussione dei testi a difesa”.

Ai sensi dell’art. 523  (Svolgimento della discussione) c.p.p.5. In ogni caso l'imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano[21].

Il giudizio negativo della Cassazione, in questa sede, non appare corretto ed adeguato, nel filtro dei corrispondenti istituti di diritto processuale penale.

In primo luogo la presenza dell’imputato in aula significa utile  e proficua partecipazione ai lavori delle udienze (art. 494, c.p.p., Dichiarazioni spontanee dell'imputato), specie quelle istruttorie: l’avvocato dovrebbe sempre manifestare il proprio fermo dissenso all’idea del difeso, citato regolarmente in giudizio ad una udienza determinata, di restare fuori dal suo perimetro, contumace/assente. Infatti, «l’imputato sa cose importanti»[22].

Erra la Corte civile se ritiene quasi ininfluente la partecipazione personale dell’imputato ai meccanismi probatori, da cui non “sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente”, per la vistosa presenza di vari istituti.

Art. 494, c.p.p. (Dichiarazioni spontanee dell'imputato) 1. Esaurita l'esposizione introduttiva, il presidente informa l'imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione (492 2) e non intralcino l'istruzione dibattimentale.

La norma è giustificata dall’esigenza di garantire, anche in questa fase, un pieno diritto di difesa all'imputato, al giudicabile, al quale è dato il potere di dare la sua versione dei fatti, alternativa a quella dell’accusa.

Il diritto di difesa ha una sua proiezione anche con riferimento alle dichiarazioni spontanee, posto che, distintamente (si badi) rispetto al diritto di produrre le prove della innocenza dell’imputato[23], è con tale strumento d’elezione che l'imputato può introdurre e chiarire certi aspetti della sua posizione, o porre in rilievo talune considerazioni, al di fuori di precise cadenze processuali.

Le dichiarazioni spontanee, per l’ importanza che possono assumere, devono essere verbalizzate (si pensi alla confessione dell'imputato resa in tale sede: ciò peserebbe in melius nella bilancia finale del trattamento sanzionatorio, lucrando ad esempio anche le cc.dd. attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.), pure in forma riassuntiva su disposizione del giudice.

Art. 208 c.p.p. 1. Nel dibattimento, l'imputato, la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono esaminati se ne fanno richiesta o vi consentono.

Si tratta, sul piano dell’appartenenza, di un mezzo di prova e il legislatore ha qui inteso regolare siffatto mezzo di prova, subordinandone l’operatività/esperibilità  alla volontà delle parti stesse, ad un loro atto d’impulso.

Per l’esame delle parti private, si ribadisce che trattasi di un vero e proprio mezzo di prova, il quale deve essere tenuto distinto dal mezzo di ricerca della prova (come ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni), che sono invece dirette a consentire l’acquisizione di tracce, notizie o dichiarazioni idonee/utili ad assumere rilevanza probatoria.

Le parti sono sottoposte all’esame solo quando ne facciano richiesta/istanza oppure consentano alla richiesta formulata dall’altra parte (eccettuata il caso della parte civile, che  può  essere chiamata a deporre in qualità di testimone). Si precisa  che la parte, una volta che abbia acconsentito all’esame, questa scelta si pone agli antipodi dell’esercizio del c.d. diritto al silenzio[24].

Ecco l’errore interpretativo della Corte civile del 2026: l’aver sottovalutato, del tutto, l’incidenza positiva dell’apporto che avrebbe dato l’imputato, ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, attraverso la sua partecipazione ai lavori istruttori specialmente mediante il suo esame. Al riguardo, si è segnalato, nella manualistica più recente, che «l’imputato può partecipare alla elaborazione della prova attraverso lo strumento dell’esame dibattimentale, chiedendo…di venire esaminato e contro esaminato;…La vera e propria prova “va, però, acquisita al dibattimento“ dove l’imputato- parte può “effettivamente offrire un cospicuo contributo“ decidendo di sottoporsi all’esame (testualmente, autorevole dottrina“»[25]. L’art. 503 (Esame delle parti private) contiene il dettato sulle regole da seguire per lo svolgimento dell’esame.

L'esame dell'imputato si svolge in relazione all'intera posizione processuale dell'esaminato senza distinzione delle singole imputazioni, nel senso che, nell'ambito dello stesso procedimento, non sussistono tanti esami da disporre distintamente quante sono le imputazioni, ma un unico esame nel corso del quale difensore e pubblico ministero possono porre le domande in riferimento alla intera materia dedotta in giudizio[26].

 

5. L’impianto istruttorio: in sintesi

L’art. 468 c.p.p. (Citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici) stabilisce: 1. Le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni (194 s.), periti (220 s.) o consulenti tecnici (230) nonché delle persone indicate nell'articolo 210 devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento (173), la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame[27].

L'imputato che abbia omesso di indicare le prove ritenute utili per la propria difesa non può più esercitare nelle successive fasi del processo alcun autonomo impulso probatorio, anche nella ipotesi consentite, del difensore, il quale è tenuto a svolgere il proprio mandato nelle condizioni processuali esistenti al momento del suo ingresso nel processo. Infatti la sostituzione del difensore non può incidere su una situazione processuale radicatasi, per autonoma e consapevole scelta difensiva, nel rispetto delle regole del contraddittorio[28].

Una volta introdotto un teste nella dinamica dibattimentale attraverso l'indicazione nella lista testi approvata dal presidente del tribunale nelle forme di rito, la sua escussione non è più rimessa esclusivamente alla volontà della parte che lo ha richiesto e la rinuncia ad essa fa salvo il diritto dell'altra parte di procedere all'esame o comunque vincola il tribunale a motivare in modo esplicito sulla non assunzione della prova (nel caso di specie un teste d'accusa) in applicazione del principio generale previsto dall'art. 495 comma 4 c.p.p.[29].

 

6. Giudizio c.d. controfattuale: l’aiud agere.

Ora «ciò che si impone di verificare nel  giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica dell’efficacia…della condotta alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili»[30].

Inserendo i dati relativi all’aiud agere il risultato muta, qualora - con riferimento al quadro che precede - appunto l’avvocato deposita la lista testi, spinge l’imputato a presenziare ai lavori processuali, a sottoporsi all’esame, a rendere dichiarazioni spontanee, ad esperire investigazioni private, ad informarlo che può avere per ultimo la parola.

Qualora sia  mancato il deposito della lista dei testi, questo sarebbe l’errore capitale della difesa.

Noi in questa sede possiamo porre in risalto che taluni istituti, per l‘appannaggio che ne ha l’imputato, possono dirsi di alto rendimento cognitivo e probatorio, come l’esame dell’imputato.

L'esame dell'imputato, disciplinato dagli artt. 495 e 503 c.p.p.[31], è un mezzo istruttorio atipico che opera come mezzo di difesa, quando è dall'imputato medesimo richiesto, e come mezzo di prova, quando è dedotto dalla controparte. L'esame, nell'una e nell'altra prospettazione, è sempre riconducibile, a differenza delle spontanee dichiarazioni e dell'interrogatorio imposto da specifica disposizione, non allo ius dicendi, ma allo ius postulandi[32] che incontra limiti nella discrezionalità del giudice che ne deve apprezzare la rilevanza. In conseguenza, l'omesso esame non è motivo di nullità (se non siano state violate forme essenziali del procedimento), ma eventualmente d'illegittimità, per l'errore di valutazione in ordine alla superfluità del mezzo.

 

7. Codice Deontologico Forense: la giurisprudenza

Rappresenta ius receptum che il Codice Deontologico Forense è costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa[33].

Tuttavia trattasi di norme subprimarie rispetto a quelle propriamente di matrice legislativa.

Le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto  legislativo. Esse hanno dunque, per un verso, natura normativa (si consideri che dopo l’emanazione

da parte del CNF, il codice disciplinare viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), per l’altro la loro precettività non è autosufficiente, in quanto è proiezione della norma legislativa che ne costituisce la fonte (artt. 3, 35, comma 1, lett. d e 65, comma 5, legge n. 247 del 2012)[34].

Così, le norme del codice deontologico forense,  costituendo fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al CNF il potere disciplinare, hanno una  funzione di giurisdizione speciale[35].

Ai nostri fini, e rispetto a Cass. civ., Ord. 5-6-2024, n. 15719, vale la regula iuris secondo cui  la rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità secondo l’ordinamento civile, penale, amministrativo, ecc.[36].

Culpa in omittendo, sul piano deontologico, per l’avvocato che non deposita le liste testi (quelle che avrebbero introdotto la c.d. prova a discarico, quindi a favore del giudicabile), che tollera che l’imputato si collochi ai margini del processo non partecipandovi in nessun modo ai lavori (specie quelli istruttori)  e nelle varie forme previste e in precedenza sottoposte a scrutinio.

È richiesta la “coscienza e volontà delle azioni o omissioni”. Sicché l’agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure se intervengano cause esterne che escludono l’attribuzione psichica della condotta al soggetto. Ne deriva che non possa parlarsi d’imperizia incolpevole ove si tratti di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti[37].

Un avvocato penalista, che come tale assume l’incarico di una difesa penale, non può non conoscere le categorie e gli istituti del Codice di procedura penale, quelli che prevedono il deposito delle liste e delle dichiarazioni spontanee, che permettono di introdurre una versione alternativa a quella accreditata nel processo dalla Pubblica Accusa.

Il contumace/l’assente è quasi un infortunio, un vulnus per l’autodifesa.

D’altra parte, il dovere di difesa non giustifica la violazione dei principi deontologici di lealtà e correttezza. Il dovere di difesa non giustifica la commissione di illeciti disciplinari a pretesa tutela del cliente, giacché l’avvocato deve sempre agire nel rispetto dei principi di lealtà e correttezza, che ispirano ogni più specifica previsione deontologica, come il rapporto di colleganza (nel caso di specie, il professionista veniva sanzionato disciplinarmente per aver infondatamente richiesto la condanna in proprio del collega avversario per responsabilità processuale aggravata)[38].

La valutazione del CNF circa la rilevanza deontologica del fatto e la relativa sanzione disciplinare da applicare non è sindacabile in Cassazione. Le sentenze del CNF in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36 (e, in precedenza, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3), soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con la conseguenza che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia usato per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza[39].

Conclusivamente: l’illecito disciplinare prescinde dal danno. Il CNF, infatti, ricorda, in una recente decisione, che l’illecito disciplinare è indipendente dal verificarsi di un danno, la cui assenza può essere valutata solo ai fini della misura della sanzione[40].

Così acquista autonomia la mancata dichiarazione spontanea: «Le dichiarazioni spontanee consentono all’imputato…una presentazione dei fatti tagliata su misura per le esigenze difensive, con un dosaggio ben studiato dei vuoti e dei pieni del racconto che viene costruito sulla base di una selezione accurata delle prove…nella logica della difesa le dichiarazioni spontanee antecedenti l’esame sono una misura preventiva che cerca di mettere un “cappello” di razionalità e di coerenza su una ricostruzione dei fatti…importanza che una narrazione dei fatti condotta dall’angolo visuale dell’imputato possa avere»[41].

 

Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente Master in Diritto penale e Procedura penale dell’immigrazione, Università degli studi Guglielmo Marconi-Roma. 

 

[1] Al riguardo, v. R. Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia, ed. V, Milano, Giuffrè, 1997, 6: « Si noti che questa disposizione non serve per definire la professione intellettuale, perché in tal modo, in sostanza, si viene ad identificare l’intellettualità con la protezione di essa ». Cfr. Deontologia giudiziaria Il Codice etico alla prova dei primi dieci anni, a cura di L. Aschettino-DBifulco-H.Epineuse-R.Sabato, Napoli, Jovene, 1996.

Da ultimo, v. R. Danovi, Ordinamento Forense e Deontologia 2024. Manuale Breve, Milano, Giuffrè, 2024, 11 s.; L.Palazzolo, Compendio di Ordinamento e Deontologia Forense. Per prova scritta e orale Esame Avvocato, Neldiritto, 2024; A. Di Nardo, Manuale di Ordinamento e Deontologia Forense, Simone editore, 2024; C. Taverniti, Ordinamento forense e deontologia, Key ed., 2024.  In giurisprudenza, v. Cass., sez. VI, sent.  2 aprile 2024, n. 13341, in Guida dir., n. 23, 15 giugno 2024,86, in tema di abusivo esercizio di una professione (avvocato).

[2] Da ultimo, v. Cass. civ., sez. II, ord. 5 aprile 2023, n. 9182, in Guida dir., n. 23, 15 giugno 2023, 73.

[3] La sanzione disciplinare della radiazione dall’albo per l’avvocato condannato in via definitiva per un reato di violenza sessuale appare adeguata, in funzione della responsabilità sociale dell’ufficio forense [Corte di Cassazione (pres. Petitti, rel. Acierno), sez.un., sent, n. 19367, 18 luglio 2019].

[4] Corte di Cassazione (pres. Amoroso, rel. Travaglino), sez. un.,.ord.  n. 4877 del 27 febbraio 2017. Deve ritenersi disciplinarmente responsabile l’avvocato per le condotte che, pur non riguardando strictu sensu l’esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 ncdf, già art. 5 codice previgente) e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, compromettono l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria.

Corte di Cassazione (pres. Amoroso, rel. Scarano), sez. un., sent, n. 4994 del 2 marzo 2018.

Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Stalla), sez. un., sent. n. 20383 del 16 luglio 2021.

L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive, il cui carattere illecito deve essere accertato caso per caso ed alla luce dell’ambito in cui esse sono pronunciate [Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Stalla), sez. un., sent. n. 20383 del 16 luglio 2021].

[5] Depositato a termine spirato (in articulo mortis, reso in metafora). In dottrina, v. M. Bargis, Impugnazioni, in Conso-Grevi-Bargis,  Compendio di procedura penale, Padova, 2019,  877-882:  si tratta di « termini stabiliti a pena di decadenza (art. 585 comma 5°), per proporre impugnazione » e « competente a controllare l’inammissibilità dell’impugnazione è il giudice ad quem, cioè il giudice cui sono trasmessi senza ritardo il provvedimento impugnato, l‘atto di impugnazione e gli atti del procedimento (art. 590)…Ai sensi dell’art. 591 comma 1, l’impugnazione è inammissibile quando è proposta da soggetto non legittimato o che non vi ha interesse, quando…non sono state osservate le disposizioni relative…ai termini…Il giudice dell’impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato (art. 591 comma 2)…Inammissibilità…può essere dichiarata in ogni stato  e grado del procedimento (art. 591 comma 4°) ». Per l’ultima edizione v. G.Conso-V.Grevi-M.Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, giugno 2023.

[6] Sulle categorie generali, v. G. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale e speciale (Agg. al Corrett. Cartabia D.Lgs. 19-3-2024,n.31), Bari, Aprile 2024, 4  s.

L’avvocato, cui sia imputabile un comportamento non colposo che abbia violato la legge penale, è sottoposto a procedimento disciplinare, salva in questa sede ogni autonoma valutazione sul fatto commesso.

L’archiviazione penale non ha efficacia di giudicato in sede disciplinare

Il decreto penale di archiviazione del procedimento non ha efficacia di giudicato in sede disciplinare [Corte di Cassazione (pres. Lombardo, rel. Lamorgese), SS.UU, sentenza n. 24378, 3 novembre 2020].

La sentenza penale di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della circostanza che l’imputato lo ha commesso, essendo comunque riservata al giudice della deontologia la valutazione della rilevanza disciplinare nello specifico àmbito professionale alla luce dell’autonomia dei rispettivi ordinamenti, penale e disciplinare [Corte di Cassazione (pres. Canzio, rel. Scarano), sez.un.., sent. n. 29878, 20 novembre 2018;Corte di Cassazione (pres. Petitti, rel. Acierno), sez. un., sent. n. 19367,18 luglio 2019].

Il procedimento disciplinare è autonomo da quello penale. La sentenza penale di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della circostanza che l’imputato lo ha commesso, essendo comunque riservata al giudice della deontologia la valutazione della rilevanza disciplinare nello specifico ambito professionale alla luce dell’autonomia dei rispettivi ordinamenti, penale e disciplinare [Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Conti), sez. un., sent. n. 9547,12 aprile 2021].

[7] Art. 380 c.p. 1. Il patrocinatore [82; c.p.p. 96, 100, 102] o il consulente tecnico [201; c.p.p. 225], che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516.

[8] Codice Deontologico Forense, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16 ottobre 2014).

Codice Deontologico Forense, modificato nella seduta amministrativa del 23 febbraio 2018 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2018, in vigore dal 12 giugno 2018.

Il Consiglio Nazionale Forense, con comunicazione inviata agli Ordini in data 12 ottobre 2017, avviava la consultazione prevista dalla legge professionale diretta a verificare la condivisione sulla necessità di modificare le previsioni del Codice Deontologico forense di cui all'art. 20 e all'art. 27, rispettivamente in materia di responsabilità disciplinare e dovere di informazione.

La ipotesi di modifica di cui all'art. 20 (Responsabilità disciplinare) si reputava necessaria visto il principio elaborato dal Consiglio nazionale Forense e fatto proprio dalla Corte di legittimità, di tendenziale tipicità dell'illecito disciplinare con ciò potendosi includere anche comportamenti non tassativamente stabiliti dal Codice deontologico approvato il 31 gennaio del 2014; quella di cui all'art. 27 (Dovere di informazione) in ragione della necessità di adeguare la previsione deontologica agli obblighi informativi di tipo legale in materia di mediazione e negoziazione assistita.

Dopo la consultazione con gli Ordini che, sostanzialmente, hanno mostrato di condividere la proposta avanzata dal Consiglio, con delibera dello scorso febbraio, il Consiglio nazionale ha approvato le modifiche al CDF; modifiche, poi, pubblicate in G.U. 13 aprile 2018.

[9] Norme correlate sono gli artt.2104,  2145 co. 2, 2174, 2224 co. 1, 2232, 2236.

[10] V. Cass. 13777/2018; Cass. 24213/2015, Cass. 10289/2015.

[11] Cass. civ., sez. III, sent. 29 marzo 2022,  n. 10050. Riassuntivamente, v. da ultimo Cass. civ., sez. III. Ord. 5 marzo 2024, n. 5922: «Il criterio di riparto dell'onere della prova in siffatte fattispecie non è pertanto quello che governa la responsabilità aquiliana (nell'ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale, in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l'inadempimento o l'inesatto adempimento del debitore, spettando a quest'ultimo la prova dell'esatto adempimento (Cass., Sez. Un., 30.10.2001, n. 13533; tra le conformi, ex multis: Cass. 20.01.2015, n. 826; Cass. 4.01.2019, n. 98; Cass. 11.11.2021, n. 3587). In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali - tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica - questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno lamentato (Cass. 7.12.2017, n.29315; Cass. 15.02.2018, n. 3704; Cass. 20.08.2018, n. 20812), mentre è onere del debitore dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza, e dunque sia oggettivamente non imputabile all'agente (ex aliis, tra le più recenti, Cass. 29.03.2022, n. 10050; Cass. 27.02.2023, n. 5808)».

[12] Cass. civ., sez. II, sent. 21 marzo 2023,  n. 8058 (l’uso del doppio corsivo è nostro).

[13] Astraendo, v., ad esempio, Cass., sez. IV, 30 aprile 2024, n. 17453 , in tema di omicidio colposo.

[14] Cfr. Aa. Vv., Il giudizio di primo grado, a cura di A.A. Dalia, Napoli, 2021, 4 s.

[15] Fra gli altri, in dottrina v. S. Furfaro, Doppio grado di giudizio di merito sulla prova “a carico“, in I Princìpi europei del processo penale, a cura di A. Gaito, Roma, 2016, 523 s.; C. Valentini, Accertamento della responsabilità e prevenzione, ivi, 585.

[16] Cfr., in materia di responsabilità dell’avvocato, v.  Cass. civ., sez. III, Ord. 5 giugno 2024,  n. 15719.

[17] Per la scelta  risultata “scriteriata” v. Cass., sez. IV, sent. 6-5-2024, n. 17678.

[18] Dum pendet  rendet suole dirsi. La nota massima si riferisce all'avvocato, per il quale è economicamente conveniente che il processo si protragga, duri. L’interesse dell'intera macchina della giustizia è diametralmente opposto, quello della ragionevole durata (art. 111 Cost.).

[19] Cass. civ., Ord. 5-6-2024,  n. 15719, in Norme & Trib., 5 giugno 2024.

[20] Altresì, v. Art. 493 (Richieste di prova). Art. 495 (Provvedimenti del giudice in ordine alla prova). 1. Il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza all'ammissione delle prove a norma degli articoli 190, comma 1, e 190-bis. Quando è stata ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti, il giudice provvede in ordine alla richiesta di nuova assunzione della stessa prova solo dopo l'acquisizione della documentazione relativa alla prova dell'altro procedimento.

2. L'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.

[21] Il corsivo è nostro.

[22] F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2002, 23.

[23] Le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell'art. 494 c.p.p., con le quali soggetti precedentemente avvalsisi della facoltà di non sottoporsi ad esame abbiano genericamente confermato quanto da essi dichiarato in fase di indagini preliminari e quindi anche le accuse all'epoca formulate a carico di terzi, non possono essere equiparate, ai fini di cui al combinato disposto dell'art. 238, commi 1 e 2 bis, c.p.p., a dichiarazioni rese in sede di esame  (Cass. pen., sez. VI, sent. 28 dicembre 1998, n. 13682).

[24] M. Menna, Soggetti e ruoli, in A. Scalfati - A. Bernasconi - A. De Caro - M. Menna - G. Pansini - A. Pulvirenti - N. Triggiani - C. Valentini - D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, IV ed., Torino, 2023, 123, sul  «diritto al silenzio dell’indagato o dell’imputato».

[25] A. Bernasconi, Mezzi di prova, in A. Scalfati - A. Bernasconi - A. De Caro - M. Menna - G. Pansini - A. Pulvirenti - N. Triggiani - C. Valentini - D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, IV ed., Torino, 2023, 298-299 (il corsivo è nostro).

[26] Cass., sez. IV, sent. 1 febbraio 2000, n. 1177.

[27] Cfr. F. Cordero, Art. 468, in Codice di procedura penale commentato, Torino, 1992, 575: «Prova contraria. Concerne fatti dedotti ex adverso: e ognuno può chiedere che siano citati testimoni periti, consulenti, fuori lista».

[28] Cass., sez. III, sent. 11 gennaio 2000, n. 100.

[29] Cass., sez. VI, sent. 19 giugno 1997,  n. 5976.

[30] Cass., sez. IV, sent. 11 aprile 2024, n.14893. Cass., sez. IV, n.502/24: “Oltre ogni ragionevole dubbio e nozione di giudizio controfattuale”.

[31] In dottrina, per l’istituto, v.  P. Tonini, Lineamenti di Diritto processuale penale, Milano, 2017, 395; da ultimo, P. Tonini-C.Conti, Manuale breve. Diritto processuale penale, Miano, 2024.

[32] Cass., sez. V, sent. 8 giugno 1997, n. 5421.

[33] Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Mercolino), sez. un., sent. n. 13168,17 maggio 2021. Altresì, v. Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Mercolino), sez. un., sent, n. 13168, 17 maggio 2021; Corte di Cassazione (pres. Curzio, rel. Scrima), sez. un., sent, n. 37406, 21 dicembre 2022; Corte di Cassazione (pres. Travaglino, rel. Iofrida), sez. un., sent. n. 19103, 6 luglio 2023.

Il Codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa: in sede di legittimità, la violazione di tali regole non è pertanto deducibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., non rilevando di per sé, ma solo in quanto si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l’art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione [Corte di Cassazione (pres. Manna, rel. Falaschi), sez. un.., sent. n. 34351 del 7 dicembre 2023].

[34] Conseguentemente, assunta in modo solipsistico, la disposizione del codice deontologico costituisce atto privo della forza di legge, derivando tale forza solo all’integrazione del precetto legislativo. Ne deriva che di un atto privo della forza di legge non può essere direttamente predicata l’illegittimità sul piano costituzionale, cioè senza passare attraverso la denuncia di illegittimità della norma di rinvio che ne fonda la precettività giuridica [Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Scoditti), sez. un.,sent.  n. 7501 del 8 marzo 2022]. Conf. Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Patti),sez. un., sent.  n. 11675 del 11 aprile 2022.

[35] Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Scoditti), sez. un.,sent.  n. 7501 del 8 marzo 2022; Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Falabella), sez. un., sent. n. 11168 del 6 aprile 2022.

[36] Corte di Cassazione (pres. Spirito, rel. Garri), sez. un.., sent.  n. 25440, 29 agosto 2023.

[37] Corte di Cassazione (pres. Amoroso, rel. Cirillo),sez.un., sent. n. 13456, 29 maggio 2017; Corte di Cassazione (pres. Schirò, rel. Armano), sez. un., sent. n. 18460, 12 luglio 2018; Corte di Cassazione (pres. Mammone, rel. Armano), sez. un., sent. n. 30868 del 29 novembre 2018; Corte di Cassazione (pres. Travaglino, rel. Crucitti), sez. un.., sent.  n. 8242, 28 aprile 2020.

[38] Corte di Cassazione (pres. Amoroso, rel. Cirillo), sez. un.., sent. n. 27200, 16 novembre 2017.

[39] Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Conti), Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Crucitti), sez. un., sent, n. 22511 del 26 luglio 2023.

[40] M. Crisafi, in Norme & Trib.,11 Gennaio 2024.L’assenza di un danno non fa venir meno l’illecito disciplinare, posto che il fine del procedimento è quello di salvaguardare il decoro e la dignità dell’intera classe forense mediante la repressione di ogni condotta che sia contraria ai doveri imposti dalla legge, ma può rilevare soltanto ai fini della misura della sanzione. È quanto ricorda il Consiglio nazionale forense con la sentenza n. 212/2023, pubblicata nei giorni scorsi sul sito del Codice deontologico (il corsivo è nostro).

[41] E. Amodio, Un link azzardato: dichiarazioni spontanee ed esame dell’imputato, in Sist. pen., 26 gennaio  2021.