A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

Da “Mare Nostrum” a “Triton”: il ruolo dell’Europa

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Il Ministro dell’Interno Angelino Alfano nel novembre 2014 ha annunciato la chiusura dell’operazione italiana Mare Nostrum, sostituita da quella europea nota come Triton.

Il Ministro ha sottolineato che da quel momento l’Europa sarebbe stata sempre più protagonista nel Mediterraneo e che la Presidenza italiana avrebbe operato affinchè l’Europa si prendesse le proprie responsabilità; il Mediterraneo non sarebbe stato più “nostrum”.

Mare Nostrum e Triton: due operazioni differenti, nel mandato, nei numeri, nel bilancio e nelle forze impiegate anche se Mare Nostrum non era la sola iniziativa attiva nel Mediterraneo. Ad affiancarla, infatti, c’erano anche le operazioni “Hermes”,  “Aeneas” e  l’Agenzia Europea Frontex, tutte attive nel contrasto dell’immigrazione irregolare proveniente soprattutto da Tunisia, Libia e Algeria.

Mare Nostrum è l’operazione italiana partita il 18 ottobre 2013 in seguito al tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre precedente con 368 migranti annegati davanti all’isola dei Conigli. Due gli obiettivi dell’operazione: garantire la salvaguardia della vita in mare ed assicurare alla giustizia tutti coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti.

Il personale ed i mezzi navali ed aerei coinvolti sono stati esclusivamente italiani, più precisamente, mezzi della Marina Militare, della Guardia Costiera, dei Carabinieri, dell’Aeronautica e della Guardia di Finanza. Sulle navi erano presenti anche uno staff per l’identificazione dei migranti ed un gruppo di medici ed infermieri per gli interventi sanitari (la Marina partecipava con una nave anfibia, due corvette, due pattugliatori, due elicotteri, tre aerei). Le navi d’altura si spingevano fino alle coste libiche per operare i soccorsi.

Il costo dell’operazione era di circa 9,5 milioni di euro al mese. Mare Nostrum si è conclusa nell’ottobre 2014 con il passaggio di consegne all’Unione Europea accompagnando poi Triton in versione gradualmente ridotta fini alla fine dell’anno. Una missione che in un solo anno ha salvato 150.000 vite; gli scafisti consegnati all’autorità giudiziaria sono stati 366.

Lo scorso 1 novembre è dunque partita una nuova operazione: Triton. Non più italiana ma europea, Triton è infatti dispiegata da Frontex, l’Agenzia Europea delle frontiere. Il mandato, in questo caso, come è stato sottolineato dalla stessa Agenzia , non è salvare le vite in mare, ma operare il monitoraggio ed il controllo delle frontiere, che è la “mission”  istituzionale dell’Agenzia stessa, anche se, in caso di necessità, si effettuano anche interventi di ricerca e soccorso (Sar). Le navi di questa nuova operazione si mantengono in un’area entro le 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a sud verso le coste libiche come accadeva con i pattugliamenti di Mare Nostrum.

Il costo mensile dell’operazione è di 2.9 milioni di euro. I mezzi impiegati sono: due aerei, un elicottero, tre navi d’altura e quattro motovedette.

Triton non è una missione di salvataggio come lo era Mare Nostrum che si muoveva su una zona di 43 mila Kmq, 400 miglia a sud di Lampedusa e 150 miglia ad est, sconfinando in zone di ricerca e soccorso di Malta e Libia. Triton ha un raggio di 30 miglia nautiche.

Il dispiegamento di forze tra le due operazioni non è comparabile: erano 900 gli uomini impiegati da Mare Nostrum, sono 65 quelli di Triton.

Fin dall’inizio però, Triton impensieriva l’Agenzia di pattugliamento delle frontiere europee Frontex per le possibili conseguenze di un indebolimento degli strumenti di controllo e soccorso; questo ben prima che la situazione in Libia diventasse di nuovo esplosiva.

E’ necessario considerare che l’Europa è al confine con sanguinosi conflitti: a sud la Libia, ad est l’Ucraina, a sud-est Siria e Iraq. E’ chiaro che chi fugge da quei Paesi sconvolti da guerre e continue violazioni dei diritti umani passi per il Mediterraneo e la maggior parte per l’Italia. Il 2014 è stato un anno record con 170.000 arrivi sulle coste italiane e 3.200 morti; nel 2015 l’emergenza è peggiorata, nei primi due mesi senza Mare Nostrum con 5.300 sbarchi sulle coste italiane si registra un dato che è il doppio rispetto a quello relativo allo stesso periodo dell’anno precedente. E’ noto il tragico numero dei migranti morti nel Mediterraneo; bambini, donne e uomini morti in quelle acque per non morire di guerra o di fame o di violazione dei diritti politici ed umani.

In questo fenomeno di flussi migratori si è inserita la criminalità organizzata internazionale, disposta ad utilizzare mezzi di trasporto del tutto insufficienti per far fare traversate in mare a centinaia di esseri umani ai quali vengono estorte cifre inimmaginabili e sottoposti a torture.

Le reti di tratta e di traffico di esseri umani prosperano, operando impunemente nelle aree di instabilità e di conflitto. A tal proposito l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Antonio Guterres, ha sottolineato la necessità di affrontare le reali ragioni che stanno alla base dei flussi migratori. Questo significa guardare al motivo per cui le persone fuggono, ciò che impedisce loro di cercare asilo con mezzi più sicuri e cosa si può fare per reprimere le reti criminali che prosperano in questo modo, proteggendo al tempo stesso le loro vittime. Significa anche avere sistemi adeguati per far fronte agli arrivi e per distinguere i veri rifugiati da coloro che non lo sono.

E intanto si continua a morire sui barconi della speranza! L’unica soluzione possibile all’emergenza immigrazione nel Mediterraneo è una soluzione europea.

Lo scorso 19 Febbraio la Commissione Europea ha annunciato il potenziamento della sua assistenza a favore dell’Italia per far fronte alla pressione migratoria nel Mediterraneo attraverso il prolungamento, fino alla fine del 2015, dell’operazione congiunta Triton ed attraverso nuovi fondi di emergenza per un totale di 13,7 milioni di euro attingendo al Fondo asilo, migrazione ed integrazione (AMIF). Si tratta di fondi aggiuntivi rispetto a quelli già stanziati.

La Commissione Europea è, inoltre, pronta a rispondere rapidamente ad eventuali richieste italiane di aumentare le risorse dell’operazione congiunta Triton.

Per aiutare gli Stati membri a prepararsi a gestire l’elevata e potenzialmente prolungata pressione dovuta all’attuale instabilità di alcuni Paesi del Mediterraneo, la Commissione sta inoltre intensificando il controllo sull’attuazione delle raccomandazioni della Task Force per il Mediterraneo e riferirà  prossimamente al Consiglio Affari Interni in merito ai progressi realizzati. Tutto questo si aggiunge al sostegno economico a favore dell’Italia destinato a fronteggiare le pressioni migratorie che ammonta a oltre 500 milioni di euro per il periodo 2014-2020.

Il Primo Vicepresidente Frans Timmermans ha dichiarato che fino a quando il nostro vicinato sarà teatro di guerre ed instabilità, le persone continueranno a rischiare la loro vita per arrivare sulle coste europee. Non esistono soluzioni facili a questo spinoso problema, ma è chiaro che la soluzione non può essere trovata a livello nazionale. La soluzione europea è l’unica possibile.  

L’Alta Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza nonché Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ha dichiarato che contemporaneamente al lavoro per far fronte alla drammatica situazione in Libia, si è deciso di intensificare il partenariato con i Paesi terzi lungo le principali rotte della migrazione nell’ambito della cooperazione nei processi di Khartoum e Rabat. Questo dovrebbe smantellare le reti criminali di trafficanti, offrendo il massimo livello di protezione a coloro che ne hanno bisogno, a partire dalle regioni in crisi presenti nel Mediterraneo.

Come sostenuto da Dimitris Avramopoulos, Commissario Responsabile per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, la dura realtà che oggi bisogna affrontare è che l’Europa deve gestire meglio il fenomeno della migrazione, sotto tutti i suoi aspetti; è, prima di tutto, un imperativo umanitario. Non ci si può sostituire all’Italia nella gestione delle sue frontiere esterne ma le si può dare una mano. Proprio per questo si è deciso di prorogare l’operazione Triton e di aumentarne le risorse, se è questo quello di cui l’Italia ha bisogno. L’Italia non è sola, l’ Europa è al suo fianco.

A seguito della ricordata tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013 sono stati mobilitati finanziamenti di emergenza supplementari di portata mai vista. La Commissione ha concesso all’Italia un pacchetto di emergenza di circa 30 milioni di euro (10 milioni per azioni di emergenza nel quadro del Fondo europeo per i rifugiati, 7,9 milioni per il consolidamento delle operazioni congiunte di Frontex nel Mediterraneo centrale e 12 milioni resi disponibili per azioni di emergenza nel quadro del Fondo per le frontiere esterne e del Fondo europeo per i rimpatri), allo scopo, da un lato, di aumentare la capacità di accoglienza e la capacità delle autorità di esaminare le richieste di asilo e, dall’altro lato, di fornire assistenza nell’ambito delle operazioni di sorveglianza e salvataggio in mare.

L’ Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) fornisce assistenza materiale e svolge un ruolo fondamentale nel canalizzare la solidarietà degli Stati membri verso i Paesi particolarmente sotto pressione. Questa assistenza integra l’azione dell’Unione Europea tesa a risolvere le questioni in materia di migrazione ed asilo mediante la cooperazione con i Paesi terzi. L’Unione Europea porta avanti attivamente il suo impegno con i Pesi terzi di origine e di transito nonché la sua stretta cooperazione con la comunità internazionale, al fine di risolvere le questioni in materia di migrazione e asilo e, in particolare, eliminare le cause di fondo dell’emigrazione irregolare e forzata.

Da quanto detto emerge chiaramente che l’Italia è ormai il più importante punto di ingresso di migranti in Europa, un fenomeno che pone il nostro Paese di fronte a sfide sempre più ardue. L’Italia, insieme agli altri Stati del sud Europa, è sicuramente tra i Paesi maggiormente interessati a promuovere a livello europeo un profondo ripensamento sui principi che sono alla base delle normative comunitarie; in particolare in materia di migrazione ed asilo.

In specie un principio è oggetto di critiche e discussioni. Si tratta della norma-chiave del Regolamento di Dublino III, secondo la quale lo Stato competente ad occuparsi di una domanda di asilo è il primo Stato europeo dove il richiedente ha messo piede.

Il Regolamento di Dublino III, entrato in vigore il 1 gennaio 2014 (Regolamento UE n. 604/2013), è l’elemento portante di un più ampio “Sistema di Dublino” che consiste nell’insieme di regole e meccanismi con cui l’UE stabilisce quale Stato membro sia competente per l’esame di ciascuna domanda di protezione internazionale. Il Regolamento di Dublino III è stato adottato da tutti gli Stati membri dell’UE ad eccezione della Danimarca; al precedente Regolamento Dublino II del 2003 aveva aderito anche la Svizzera.

L’altro pilastro di questo sistema è l’EURODAC (European Dactyloscopie), una banca dati centrale in cui vengono registrate le generalità di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro, in particolare le impronte digitali.

Questi due strumenti consentono di stabilire dove è avvenuto il primo ingresso in Europa di una persona richiedente asilo e di attribuire a quel Paese l’onere dell’esame di un’eventuale domanda. L’obiettivo iniziale di tale sistema era quello di garantire che almeno uno degli Stati membri prendesse in carico il richiedente. E’ ormai evidente però, che l’applicazione di tale insieme di regole sia diventato un percorso ad ostacoli per chi cerca protezione: famiglie separate, persone lasciate senza mezzi di sostentamento o addirittura detenute, lungaggini burocratiche e rimpalli tra Stati ed Uffici che rendono il diritto d’asilo inesigibile.

La sentenza della Corte europea del 4 novembre 2014, Tarakhel contro Svizzera, si riferisce alla più tipica delle situazioni causate dall’applicazione del Regolamento di Dublino III.

I cittadini afghani Gotajan Tarakhel, sua moglie Maryone Habibi ed i loro sei figli, dopo una lunga peregrinazione tra il Pakistan e l’Iran, nell’estate del 2012 decisero di fuggire in Europa. Si imbarcarono in Turchia ed a luglio di quello stesso anno approdarono, insieme ai figli più grandi, sulle coste della Calabria. Subito furono sottoposti alla procedura di identificazione e trasferiti al Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari. Il 28 luglio si allontanarono e raggiunsero prima l’Austria e poi la Svizzera.

Nonostante avessero fornito false generalità, i Tarakhel erano stati registrati in Italia attraverso le impronte digitali. Per questo motivo, appena furono identificati, la Svizzera, in ossequio al Regolamento di Dublino, ordinò che lasciassero Losanna, dove si erano stabiliti, per rientrare in Italia. Contro questa decisione i coniugi Tarakhel, con il sostegno di un’organizzazione non governativa, fecero ricorso alla Corte UE, che diede loro ragione.

Secondo i giudici della Corte UE la Svizzera, prima di adottare il provvedimento di espulsione verso l’Italia avrebbe dovuto chiedere garanzie all’autorità italiane sulle condizioni di accoglienza e sulla tutela dell’unità del nucleo familiare. Non era possibile infatti, escludere a priori che in Italia la famiglia Tarakhel avesse difficoltà a trovare un alloggio adeguato e fosse ospitata in strutture sovraffollate ed insalubri. Un quadro questo che corrisponde al rischio di “trattamenti inumani e degradanti”; il rischio davanti al quale qualunque espulsione è vietata.

Con la sentenza in oggetto la Corte UE conferma che la decisione di trasferire uno o più richiedenti asilo verso lo Stato membro competente in base ai criteri del Regolamento di Dublino, deve sempre essere assunta nel rispetto dei diritti umani, dopo un rigoroso esame, sia della situazione generale del sistema asilo dello Stato sia della situazione individuale dei richiedenti (art. 3 Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Fatta eccezione per il coinvolgimento di uno Stato non membro dell’Unione Europea (la Svizzera applica il Regolamento di Dublino in virtù di un accordo sottoscritto con l’Unione).

Pertanto il Regolamento di Dublino III, pur introducendo qualche cambiamento potenzialmente positivo (tra i cambiamenti principali, oltre all’allargamento della definizione di “familiare” da cui il richiedente asilo, può domandare di non essere separato, si registra l’introduzione dell’effetto sospensivo del ricorso: se un richiedente asilo presenta ricorso contro l’ordine di trasferimento, ha diritto di aspettare l’esito prima di essere trasferito), non modifica sostanzialmente l’impianto del sistema di Dublino, ma continua ad impedire o quanto meno a limitare pesantemente, la mobilità del richiedente asilo nell’UE, con un impatto fortemente negativo sulla vita dei rifugiati.

Si tratta di richiedenti asilo rinviati nello Stato membro che per primo ha registrato il loro ingresso in Europa o nel quale hanno già presentato domanda di asilo ed eventualmente già ricevuto una forma di protezione internazionale. I “dublinati” sono rifugiati costretti a soggiornare in un determinato Paese anche se non vogliono. Molti, infatti, preferirebbero ricongiungersi ai loro parenti residenti in altri Stati o rimanere dove sono riusciti a ricostruirsi una vita, trovando casa, lavoro ecc. ma il sistema di Dublino glielo impedisce.

Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono le due forme di protezione internazionale a cui una persona che arriva in Italia in fuga da guerre e persecuzioni può accedere, attraverso un’ unica procedura amministrativa (la richiesta di protezione internazionale). A chi è riconosciuto rifugiato viene rilasciato un permesso di soggiorno quinquennale rinnovabile, senza ulteriore verifica delle condizioni; il titolare di protezione sussidiaria ottiene invece, un permesso di soggiorno di durata triennale rinnovabile previa verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione. Le due forme di protezione internazionale differiscono, inoltre, rispetto all’esercizio di alcuni diritti, ad esempio quello al ricongiungimento familiare, che il rifugiato, a differenza del titolare di protezione sussidiaria, può esercitare senza dimostrare di possedere i requisiti economici richiesti agli altri cittadini di Paesi terzi.

L’obiettivo dell’attuale Regolamento Dublino III rimane invariato rispetto al precedente sistema: contrastare un doppio fenomeno.

Da un lato, impedire che nessuno Stato si dichiari competente all’esame della domanda di protezione internazionale, privando così il rifugiato del diritto di accedere alla procedura amministrativa prevista per il riconoscimento dello status, dall’altro, impedire i movimenti interni all’ Unione Europea dei richiedenti protezione, dando agli Stati e non alle persone facoltà di decidere in quale Stato la persona debba vedere esaminata la domanda.

Il sistema Dublino pertanto, è il simbolo della distanza che separa l’Europa da un’umanità in viaggio, un numero di regole anonime su cui si infrangono le speranze di chi cerca protezione.

Troppe persone cercano in Europa protezione  ma trovano invece barriere di ogni genere, subiscono umiliazioni, vere e proprie violazioni dei diritti umani e della loro dignità.

In questo contesto è importante sottolineare il ruolo che l’isola di Lampedusa ed i suoi abitanti da sempre sono chiamati a svolgere in soccorso alle migliaia di migranti che vi transitano. Proprio a riconoscimento di tale ruolo l’Unione Europea ha assegnato a Lampedusa il “Premio Cittadino Europeo 2014” consegnato al Sindaco dell’isola, Giusy Nicolini, a Bruxelles, dove a fare gli onori di casa è stato il Vicepresidente Sylvie Guillamme. Le motivazioni del “ diploma  di cittadino europeo” risiedono, in particolare, nel ruolo che la cittadinanza ha svolto durante il naufragio dell’ottobre 2013. Si è trattato di un riconoscimento importante perché ha permesso all’isola di esporre un problema di carattere europeo proprio nella sede dell’europarlamento.

L’ultima tragedia in mare, a largo della Libia a 110 miglia a sud di Lampedusa, il 19 aprile 2015 dalle proporzioni devastanti per l’alto numero di morti che ha causato più di 700, che ha comportato l’intervento, da più voci invocato, di un Consiglio Europeo straordinario affinchè la comunità internazionale intervenga a fianco dell’Italia in questa continua emergenza sulle coste italiane. L’esito non è stato però soddisfacente poiché ha stabilito solo il triplicarsi di fondi all’operazione Triton che certo non risolverà il continuo arrivo di migranti.  

L’augurio, condiviso da tutti, è che il problema migrazione venga al più presto risolto per evitare che il Mediterraneo continui a trasformarsi in un cimitero per migliaia di disperati in cerca di protezione alla mercè di trafficanti criminali senza scrupoli.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.

 

Fonti consultate: www.ansa.it, www.ilquotidianodeldiritto.it, gazzetta del sud, www.euronews.com, www.associazionenazionaleavvocati.it, www.repubblica.it, www.avvenire.it , www.dailystorm.it