A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

L’EVOLUZIONE DELLA MINACCIA E LA

PROTEZIONE DELLE POPOLAZIONI

Autore: Dott. Gianfranco Tracci

 

L’esistenza della NATO, dopo la Seconda Guerra Mondiale e durante il lungo periodo della guerra fredda, ha sicuramente assicurato la pace e allontanato il rischio di un conflitto armato di vaste dimensioni nell’area del Trattato Nord Atlantico.

Il clima di distensione tra le parti sviluppatosi alla disgregazione del regime al potere nell’Unione Sovietica che ha portato alla fine della potenziale conflittualità con il Patto di Varsavia. La nuova situazione ha reso possibili importanti negoziati di disarmo nel settore della minaccia Chimica, Biologica, Nucleare e Radiologica (CBRN), con la proibizione delle armi chimiche e alla proibizione totale degli esperimenti nucleari. Queste due nuove Convenzioni, messe a punto rapidamente, hanno integrato precedenti trattati di disarmo, quali il Trattato di non Proliferazione delle armi nucleari (TNP) e la Convenzione sulla proibizione delle armi biologiche e delle tossine (BWC), rendendo in tal modo molto improbabile l’ipotesi di un impiego legittimo delle armi CBRN nei conflitti armati tra Stati Parte aderenti a tali accordi.

Le armi nucleari, sviluppate dalle grandi potenze dopo la Seconda Guerra Mondiale, diventate rapidamente e largamente superiori alle esigenze di deterrenza dei principali detentorie  a seguito dei Trattati SALT e START, sono state molto ridotte e oggi sono rimaste nella disponibilità di un numero limitato di paesi che sono ben coscienti dei rischi di ritorsione. Il rischio di proliferazione delle armi nucleari è stato molto ridotto dal Trattato di Non Proliferazione, entrato in vigore dal 5 marzo 1970e fino a ora ratificato da 189 Stati Firmatari. Il Trattato ha teso a limitare l’allargamento del club nucleare, evitando che Paesi non possessori possano avvalersi delle alte tecnologie necessarie per produrre in proprio tali armi;infatti, secondo il Trattato il trasferimento di tecnologia nucleare può avvenire solo per scopi pacifici e sotto il controllo dell’AIEA. Purtroppo alle armi nucleari si è aggiunta recentemente anche la categoria delle armi radiologiche (R), che utilizzano esplosivi convenzionali per spargere nell'ambiente materiale radioattivo presente in molte attività di larga diffusione come nella sanità per la cura dei tumori. 

La Convenzione per il Bando Totale degli Esperimenti nucleari (CTBT), adottata dalle Nazioni Unite il 10 settembre 1996 e già ratificata da 155 Paesi, non è ancora entrata  in vigore perché non hanno ancora ratificato tutti i 44 Paesi indicati espressamente dalla Convenzione perché hanno armi nucleari o hanno un livello avanzato di tecnologia nucleare avendo centrali nucleari per la produzione di energia che possono essere utilizzate per produrre materiale fissile. La Convenzione intende proibire qualsiasi esperimento nucleare in aria, superficie, sotterraneo o in mare, anche in quanto gli esperimenti già effettuati dalle potenze nucleari come Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Francia hanno provocato un elevato inquinamento radiologico dell’ambiente che, se fosse proseguito, avrebbe potuto mettere  a rischio la sopravvivenza stessa del genere umano e dell’ambiente. La Francia è stata uno degli ultimi paesi del mondo a riconoscere la nocività degli esperimenti nucleari. L’ultimo esperimento nucleare francese, giustificato dalla necessità di provvedere all’aggiornamento del suo deterrente nucleare, è avvenuto nel 1996 a Mururoa, un atollo dell'oceano Pacifico utilizzato dalla Francia da un trentennio per fare esperimenti nucleari. Subito dopo l’esperimento di Mururoa la Francia ha aderito al Trattato ed ha bandito definitivamente i propri esperimenti nucleari. Tra i paesi che non hanno ancora aderito al Trattato, sono compresi anche India e Pakistan che notoriamente dispongono di armi nucleari e che sono indicati espressamente dal Trattato come precondizione per la sua entrata in vigore. In attesa della ratifica di tutti i 44 paesi, è stata istituita a Vienna una Commissione Preparatoria, incaricata di predisporre un sistema di monitoraggio costituito da una rete a livello globale di 337 stazioni di rilevamento dei dati generati da un esperimento nucleare, delle quali 283 stazioni, già istallate, sono già in grado di rilevare gli eventuali esperimenti nucleari in tutto il globo. Il sistema di rilevamento ha già consentito di confermare in tempo reale i tre test sotterranei effettuati dalla Corea del Nord negli ultimi 7 anni, di cui l’ultimo è avvenuto il 12 febbraio 2013. La Corea del Nord già da qualche tempo ha eseguito lanci sperimentali di missili balistici a portata intermedia, che potrebbero essere utilizzati come arma nucleare di teatro non appena sarà in grado di poter caricare sui missili le armi nucleari che fino ad ora hanno sperimentato solo in esplosioni sotterranee. 

La Convenzione per la Proibizione delle Armi Biologiche e Tossiniche (BWC), entrata in vigore il 26 marzo 1975 e già ratificata da 170 Stati Parte, proibisce lo sviluppo, produzione e immagazzinamento di armi biologiche e tossiniche e chiede agli Stati Parte di eseguire la loro completa distruzione. La Convenzione è stata il primo trattato di disarmo che proibisce un’intera categoria di armi di distruzione di massa. Purtroppo per dare integrale attuazione agli obblighi della Convenzione non è stato ancora approvato il sistema di verifica internazionale di monitoraggio e d’ispezione che esegua controlli internazionali sulla sua integrale applicazione negli Stati Parte, sistema di verifica che invece è stato adottato in altre convenzioni successive.

L’ipotesi d’impiego di armi chimiche in conflitti armati, già in buona parte vietato dal Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925 a seguito dell'elevato numero di vittime causato dall'impiego delle armi chimiche durante la Prima Guerra Mondiale,è stata proibita in via definitiva dalla Convenzione per la Proibizione delle Armi Chimiche (CWC).  Nella Convenzione è anche esplicitamente indicato che non è consentito impiegare legittimamente tali armi per rispondere a un precedente attacco con armi chimiche da parte dell'avversario, risposta che invece era consentita come diritto di ritorsione nel precedente Protocollo di Ginevra del 1925. È esplicitamente indicato anche che lo Stato che viola la Convenzione potrà essere deferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Entrata in vigore il 29 aprile 1997 e già ratificata da 190 Paesi,fino ad ora la Convenzione non è stata ratificata da 6 Paesi, Israele e Myanmar (che però hanno già firmato) Angola ed Egitto (che stanno manifestando un serio interesse) Corea del Nord e Sud Sudan(paese quest’ultimo che ha raggiunto l’indipendenza dal Sudan solo l’11 luglio 2011, dopo più di 50 anni di lotte interne e che si ritiene non abbia ancora preso in esame la ratifica di trattati internazionali di disarmo). La Convenzione ha già conseguito la distruzione sotto il controllo internazionale dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche de L’Aja (OPCW) di circa il 90% delle armi chimiche presenti negli Stati Parte che hanno dichiarato di esserne possessori (Albania, Libia, India, Iraq, Russia, Siria e Stati Uniti) e si prefigge di impedire la loro futura produzione e proliferazione con controlli internazionali effettuati dall’OPCW in tutti gli Stati Parte. I controlli si sviluppano mediante ispezioni ai magazzini e agli impianti di distruzione delle armi e alle industrie chimiche che producono sostanze chimiche tossiche o loro precursori che potrebbero essere impiegati in violazione della Convenzione per realizzare nuove armi. Per evitare la proliferazione, l’OPCW provvede inoltre al monitoraggio dei flussi d’import/export di molti prodotti chimici tossici di largo impiego in attività consentite attraverso il censimento dell’import/export svolte dagli Stati Parte.

Alla conseguente riduzione dei rischi che nei futuri conflitti armati possano essere impiegate armi di distruzione di massa nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche (NBCR) ottenuta con le Convenzioni e i Trattati in vigore, ha invece corrisposto un consistente incremento dei rischi per la popolazione, derivanti da un’espansione della conflittualità generata da forme di terrorismo di varia natura, che si avvale del traffico di armi di ogni genere, potenzialmente comprese le armi NBCR, oppure che, impiegando negli attentati le armi convenzionali, sono in grado di provocare danni a industrie o depositi a rischio di emissioni pericolose. A questi rischi si devono aggiungere eventuali incidenti che frequentemente avvengono nei siti industriali con attività NBCR, che sono in forte aumento in tutto il mondo a seguito dello sviluppo tecnologico e della mondializzazione, incidenti che avvengono nonostante tutte le misure preventive messe in atto nei vari paesi.  

Tra gli eventi naturali, non determinati da azioni terroristiche, ma che hanno inciso sensibilmente sul fattore di rischio per la popolazione per l’emissione di sostanze radioattive, si ricorda la catastrofe nucleare di Cernobyl, in Ucraina, nell’allora Unione Sovietica, avvenuta il 26 aprile 1986, con emissione di quantità importanti di sostanze altamente radioattive da una centrale per la produzione di energia elettrica. L’incidente determinò lo sgombero di 350.000 persone, un numero imprecisato di vittime e ancora oggi provoca affezioni di vario genere nella popolazione locale.

Il più grave incidente nucleare dopo Cernobyl, è avvenuto l’11  marzo 2011 in Giappone a causa di un terremoto nell’oceano Pacifico e del successivo tsunami che ha investito molti paesi dell’area. Lo tsunami, che ha causato molte vittime, ha investito anche il Giappone e distrutto buona parte della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi vicino a Tokyo. La centrale, costruita molti anni fa a livello del mare, è stata investita in pieno dallo tsunami che ha in pratica distrutto l’impianto nucleare, con la fuoriuscita e dispersione di una grande quantità di materiale radioattivo. L’incidente ha provocato lo sgombero di 336.000 persone nel raggio di 30 km a causa delle radiazioni rilasciate dai reattori danneggiati, con effetti catastrofici ancora perduranti sulle infrastrutture, sul genere umano e sull’ambiente della regione. Il numero delle vittime da radiazioni non è noto, ma complessivamente le vittime dello tsunami indicate dal Giappone fino a ora sono di circa 18.000 tra morti o dispersi e circa 270.000 persone non sono ancora rientrate nelle loro abitazioni distrutte dallo tsunami o rese inagibili dalle radiazioni.

Incidenti in centrali nucleari nei 450 impianti attualmente presenti nel mondo potrebbero aumentare in futuro, a causa di eventi naturali,azioni terroristiche o guasti dovuti alla vetustà e nonostante tutte le misure di manutenzione o protezione in atto.

Un incidente importante in un sito industriale di prodotti chimici, è avvenuto a Bhopal in India il 3 dicembre 1984. Dovuto alla fuoriuscita di prodotti chimici molto pericolosi da un impianto per la produzione di fitofarmaci, l’incidente provocò il decesso di 15.000 persone e 3900 invalidi. La contaminazione delle 40 tonnellate d’isocianato di metile fuoriuscite dall’impianto continua a inquinare l’area circostante.

Un altro incidente rilevante in un sito industriale di prodotti chimici è avvenuto anche in Italia nello Stabilimento ICMESA di Seveso, il 10 luglio 1976, a causa dello scoppio di una valvola e della fuoriuscita di una nube contenente diossina (TCCD), prodotto compreso tra le sostanze chimiche pericolose. In tale occasione, dopo ben 14 giorni dall’evento, fu decisa l’evacuazione della popolazione in un raggio di 16 chilometri, magli effetti a lungo termine della diossina avevano già colpito la popolazione circostante, con intossicazioni e alterazioni ormonali neonatali, all’origine di difetti fisici e intellettuali durante lo sviluppo. L’evento di Seveso ebbe un effetto traumatico sulle popolazioni locali per il colpevole ritardo degli interventi e mise  in luce carenze legislative e organizzative per la protezione della popolazione da simili eventi. L’evento determinò una forte presa di coscienza per una migliore sicurezza degli impianti anche a livello Unione Europea che decise di dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione da grandi rischi industriali. In tal senso e dal 1982 la Direttiva Europea denominata “Direttiva Seveso” impone agli Stati dell’Unione di identificare i siti a rischio e predisporre un piano di emergenza per la protezione della popolazione delle aree circostanti agli impianti chimici a rischio. In seguito, anche a causa di altri due incidenti rilevanti, l'uno avvenuto il 13 maggio 2000 a Enschede nei Paesi Bassi in cui era esplosa una fabbrica di fuochi d’artificio con 22 morti e 1000 feriti e l’altro avvenuto a Tolosa in Francia, dove l’1 ottobre 2001 era esplosa una fabbrica di fertilizzanti a base di nitrato di ammonio e cloruro di potassio con ben note proprietà esplosive, causando 29 morti e più di 2000 feriti, avevano determinato una nuova riflessione a livello Unione Europea sulla prevenzione e il controllo dei rischi da incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze chimiche pericolose. In tal senso l’Unione Europea nel 2003 ha emanato la Seveso II che si applica a circa 10.000 industrie chimiche europee che operano su sostanze chimiche pericolose e impone alle singole industrie di dare attuazione a una politica di prevenzione e agli Stati di stabilire piani di emergenza per le aree circostanti agli impianti. La più recente Seveso III emanata dall’Unione Europea il 4 luglio 2012 e che entrerà in vigore anche per l’Italia l’1 giugno 2015, si applica agli stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose e contiene norme per prevenire incidenti rilevanti e per limitarne le conseguenze per la salute umana e per l’ambiente. La Direttiva introduce l’obbligo di valutare anche possibili scenari accidentali quali i terremoti, l’obbligo di una maggiore informazione per la popolazione civile accessibile anche in forma elettronica e dispone la definizione di un piano d’ispezione a livello nazionale, regionale e locale.

Il Parlamento Europeo il 18 dicembre 2006 ha inoltre approvato il Regolamento REACH, che sarà gestito direttamente dall’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (ECHA) che impone la registrazione dei processi industriali e un maggior controllo dei prodotti chimici pericolosi. Il Regolamento RACH prevede infatti di eliminare o sostituire nei processi produttivi le sostanze chimiche più pericolose indicate nel regolamento stesso che devono essere soggetti a specifiche autorizzazioni. In pratica l’industria chimica europea è tenuta a garantire la non pericolosità dei processi produttivi e dei suoi prodotti per la popolazione.

Incidenti meno clamorosi in industrie chimiche avvengono purtroppo molto frequentemente in tutto il mondo e in genere passano sotto silenzio oppure sono trattati con consistente ritardo. Pochi sono i Paesi che hanno adottato una legislazione restrittiva come quella dell’Unione Europea, che migliora la sicurezza della popolazione, ma che non manca di incidere sensibilmente anche sui costi di produzione.

Incidenti di carattere tossico/biologico pur meno frequenti, non sono tuttavia meno pericolosi. Si citano situazioni di emissioni di batteri da laboratori di ricerca ancora in funzione, oppure da laboratori abbandonati senza le necessarie bonifiche. In genere tali incidenti sono meno visibili e quindi sono trattati con minore rilevanza, benché abbiano effetti non meno rilevanti sulla popolazione e sull’ambiente.      

Incidenti accidentali relativi al trasporto di sostanze pericolose per nave, su ruote, treno e aereo sono in continuo aumento nel mondo anche a seguito dello sviluppo industriale e della mondializzazione. Un incidente accidentale durante il trasporto di prodotti pericolosi è avvenuto a Viareggio il 20 giugno 2009, in cui a seguito del deragliamento di un treno è esplosa una cisterna di GPL che ha provocato 33 vittime. Misure di prevenzione e di soccorso sono pur sempre in atto in ciascun paese, ma non riescono a impedire gli incidenti talvolta imprevedibili.

Materiali radioattivi possono essere all’origine della contaminazione di cibo, acqua e l’ambiente, possono agire attraverso ingestione o contatto e causare danni alla motilità o la morte. Gli effetti delle radiazioni dipendono dalla dose e dalla via di penetrazione dei materiali radioattivi. Storicamente dopo gli effetti dei bombardamenti con armi nucleari, episodi con effetti da radiazioni procurate dal terrorismo non sono stati frequenti. Nel 2006, la causa della morte del dissidente russo già agente dei servizi segreti russi Aleksandr Litvinenko fu attribuita all’ingestione di Polonio-210, un isotopo molto radioattivo. Secondo notizie di stampa del 10 dicembre 2014, il Califfato, per ammissione di Muslim al Britani che lo rivela via twitter l’8 dicembre 2014, avrebbe una bomba sporca che esplodendo spargerebbe radiazioni mortali e l’avrebbe fatta arrivare in Europa. Il materiale radioattivo sarebbe stato rinvenuto all’Università di Mosul, la seconda città dell’Iraq, ove l'ISIS si sarebbe impossessato di 40 chilogrammi di uranio impiegato per esperimenti scientifici che potrebbe essere utilizzato con un ordigno per contaminare una vasta area.

Azioni terroristiche con impiego di armi chimiche o biologiche non abbastanza frequenti. Azioni recenti d’impiego di armi chimiche sono riferite anche in Siria e hanno causato numerose vittime. Un episodio importante dell’impiego di armi chimiche da parte del terrorismo è avvenuto in Giappone, dove una setta religiosa, l’Aun Shinrikyo il 20 marzo 1995 ha compiuto un attacco terroristico contemporaneamente su tre linee della metropolitana di Tokyo, impiegando il sarin, un gas letale prodotto dalla setta stessa. L’attacco terroristico uccise 12 persone e ne intossicò circa 6000, con perdita della vista in 20 casi. Un precedente attentato era stato compiuto dalla stessa setta un anno prima nella città giapponese di Matsumoto con 7 vittime. Il capo della setta e altre 4 persone che avevano compiuto i due attacchi terroristici furono condannati a morte e altri membri furono condannati all’ergastolo. La setta aveva anche acquisito direttamente in Africa campioni del virus Ebola che si accingeva a impiegare in altri atti terroristici. L’attentato terroristico della setta mise in luce la debolezza e l’inadeguatezza del Giappone, sempre ben organizzato in tutti i settori, per affrontare un’emergenza derivante da attentati terroristici con armi chimiche. In tale occasione emerse che molti medici intervenuti negli ospedali per le prime cure, non erano a conoscenza delle modalità per il soccorso e la cura dall’intossicazione di gas nervini e che negli ospedali mancavano gli antidoti previsti per il trattamento dei colpiti (normalmente atropina e ossime). I gas nervini colpiscono il sistema nervoso con effetti talvolta irreversibili e con la paralisi dei centri nervosi che porta alla morte. L’antidoto riduce o annulla gli effetti paralizzanti, ma deve essere inoculato entro brevissimo tempo dall’esposizione per cui è difficile difendersi dai suoi effetti ed è per questo che gli antidoti necessari normalmente sono nelle dotazioni operative del personale militare.

Attacchi con impiego di agenti biologici per fini terroristici non sono stati molto frequenti anche in quanto in genere gli effetti non sono immediati. Nei primi momenti che seguono il bioterrorismo in genere non si conosce la natura dell’evento. Il bioterrorismo ricorre a virus, batteri o tossine in attentati terroristici contro la popolazione. Gli agenti biologici come peste,vaiolo, colera, ebola, encefalite equina venezuelana, botulismo, salmonella e antrace normalmente possono essere recuperati anche in natura e il loro eventuale impiego nel bioterrorismo rappresenta un grave problema per la sanità pubblica poiché in genere, senza un sospetto specifico, dai primi sintomi non si è in grado di riconoscere immediatamente la natura dell’agente patogeno. La maggior parte degli agenti biologici ha una grande efficienza letale e solo poche particelle possono bastare per ottenere grandi risultati; un grammo di tossina botulinica è tre milioni di volte più efficace del gas nervino sarin. La tecnologia richiesta per il loro sviluppo è molto inferiore ad altre armi di distruzione di massa e l’agente patogeno può essere sviluppato anche in spazi molto limitati. E’ quindi facile da realizzare, ma difficile da controllare. Mentre nel passato le armi biologiche erano state impiegate per aggredire gli eserciti nemici, oggi è la popolazione civile a essere il bersaglio più probabile del bioterrorismo. Episodi d’impiego di agenti biologici per diffondere epidemie storicamente è avvenuto molto tempo prima del ricorso a prodotti chimici tossici. In tempi più recenti, nel settembre del 2001 l’antrace è stato impiegato negli Stati Uniti, dove buste contenenti antrace sono state inviate per fini terroristici ai membri del Congresso. L’infezione da antrace non avviene per contagio ma per inalazione delle spore e, se non è curata in tempo, può portare alla morte in 7-10 giorni nel 20% dei casi. Dopo l’impiego dell’antrace avvenuto negli Stati Uniti, che hanno avviato uno specifico programma di bio-difesa, anche in Italia sono state prese misure per la gestione delle emergenze da attacchi del bio-terrorismo. Contro l’antrace esiste un vaccino, ma in genere è utilizzato solo su individui ad alto rischio e non sulla popolazione.

La gestione della crisi derivante dagli incidenti della tipologia suindicata, è normalmente prevista da un’adeguata pianificazione preventiva, spinta fino ai minimi livelli, anche in quanto la dimensione del sinistro è imprevedibile, la dinamica dell’evento è sempre molto rapida e i dati di situazione durante l’incidente arrivano con rapidità e, prima di intervenire, richiedono un’attenta valutazione di esperti, in quanto generalmente i dati sono ancora incerti e contradditori. Per prendere rapidamente, come necessario, decisioni adeguate, in tali situazioni si ritiene che sia sempre opportuno disporre al più presto di dati attendibili, di personale direttivo ed esecutivo preparato ad affrontare anche queste situazioni a rischio e di una rete estesa fino a livello locale che abbia le necessarie capacità di raccogliere e valutare dati di situazione e di eseguire un primo intervento, subito mirato per intervenire nella situazione specifica.

Ovviamente nella realtà è molto difficile assicurare una soluzione confacente per tutte le esigenze, anche nel caso di eventi non convenzionali. Le strutture previste dovrebbero essere in grado di adeguarsi molto rapidamente alla situazione, acquisire e valutare dati disponibili e impiegare correttamente le forze di primo intervento che dovrebbero essere preparate a gestire anche situazioni a rischio CBRN. I primi a intervenire sarebbero naturalmente Polizia, Carabinieri e Vigili del Fuoco, che dovrebbero essere in grado di eseguire un primo intervento, seguito dal primo soccorso di personale sanitario, che provvede alla determinazione del triage per lo sgombero su strutture sanitarie adeguate, da predisporre a distanza di sicurezza, in grado di ospitare eventualmente anche quantità elevate di colpiti. Nel nostro paese sono le Prefetture,chiamate a coordinare localmente gli interventi, che sono in grado di far intervenire il personale qualificato per un primo intervento con materiali di rilevamento e d’intervento adeguatamente predisposti per tutti i casi prevedibili. Qualora il personale di primo intervento non fosse adeguatamente preparato e protetto, cadrebbe tra le vittime stesse dell’azione terroristica. Ad esempio, in caso di attacco terroristico con cause ancora imprecisate, ma con evidenti effetti immediati sulle vittime, il personale di primo intervento, dopo essersi adeguatamente protetto, dovrebbe essere in grado di determinare con le attrezzature in dotazione le cause che hanno determinato le vittime e intervenire subito e con competenza per fornire soccorso ai sopravvissuti.  Nell’eventualità che sia rilevata la presenza di sostanze chimiche tossiche come i gas nervini, indicati dai mezzi di rilevamento,il personale di primo intervento dovrebbe essere in grado di utilizzare antidoti adeguati (sirette monouso di Atropina oppure di Ossime), da iniettare attraverso gli indumenti prima su se stessi e quindi sui colpiti entro 15 minuti dall’attacco; interventi tardivi del personale di primo intervento, come nel caso d’impiego del Sarin nell’area di Damasco in Siria dichiarato nell’agosto del 2013 e su cui hanno indagato anche ispettori delle Nazioni Unite, hanno consentito al personale di soccorso solo di sgomberare le vittime.

La pianificazione per gestire queste emergenze costituisce pertanto un aspetto importante della politica di sicurezza. Certamente anche alla luce delle direttive dell’Unione Europea, è richiesta una pianificazione a livello nazionale e locale in grado di attivare con immediatezza le strutture previste ai vari livelli e intervenire per fornire il necessario contributo nelle situazioni di emergenza che richiedono il successivo primo soccorso. Un evento di natura chimica o biologica provocato da un incidente o da un attacco terroristico non gestito rapidamente e in modo adeguato, potrebbe avere implicazioni più ampie sulla salute pubblica, riflessi sociali, economici e politici a tutti i livelli.

Per le crisi derivanti da episodi importanti legati all’impiego di sostanze NBCR, è disponibile comunque anche un concorso esterno di altri Paesi, nell’ambito della solidarietà e della competenza fornito dagli accordi internazionali, Trattati e Convenzioni. Per situazioni in cui sono state impiegate sostanze chimiche tossiche, è disponibile l’intervento internazionale dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche de l’Aja, attivabile attraverso il Ministero Affari Esteri, Autorità Nazionale per l’attuazione della Convenzione, che prevede espressamente interventi di assistenza e di protezione della popolazione in simili casi.

Anche per crisi derivanti da episodi importanti legati a incidenti con emissioni di prodotti radiologici o biologici, il Ministero Affari Esteri può chiedere l’intervento delle Nazioni Unite ove è presente un settore specializzato in grado di coordinare gli interventi internazionali. 

Negli ultimi anni il rischio emergente d’incidenti industriali, di azioni terroristiche con impiego di sostanze chimiche tossiche e il rischio di diffusione di materiali radioattivi o di prodotti biologici destinati a provocare epidemie, ha promosso la ricerca a livello globale, rivolta a realizzare nuovi metodi di protezione contro questi rischi non convenzionali. A tal fine le industrie specializzate hanno sviluppato e prodotto molti materiali in grado di fornire soluzioni idonee a intervenire nella maggior parte delle situazioni a rischio. Tra essi, sono particolarmente efficaci soluzioni realizzate più recentemente con le nanotecnologie, che hanno fornito nuove capacità nel rilevamento, protezione e decontaminazione contro queste minacce.  I nano sistemi sono sostanze chimiche molto piccole, delle dimensioni da 1 a 100 nanometri (cioè di un miliardesimo di metro), che possono svolgere un ruolo rilevante nella prevenzione, rilevamento e decontaminazione da agenti chimici tossici e da agenti patogeni.

Le nanotecnologie sono impiegate anche nello sviluppo di nuovi sistemi di protezione individuale e nei metodi di distruzione degli aggressivi. Ad esempio, alcuni nano materiali sono già disponibili per minimizzare gli effetti degli aggressivi chimici con creme protettive e polveri decontaminanti, con il trattamento preventivo di indumenti protettivi (che si decontaminano automaticamente in brevissimo tempo) e con filtri autopulenti per le maschere antigas. I nanosistemi sono in grado di convertire rapidamente e in condizioni ambientali prodotti chimici tossici in prodotti non più tossici.

 Lo sviluppo di queste nuove tecnologie consente quindi di minimizzare la vulnerabilità non solo del personale militare ma anche del personale di pronto intervento e della popolazione dai rischi derivanti da incidenti o da un impiego di mezzi di offesa non convenzionali da parte di terroristi.   

In tutte le situazioni a rischio naturalmente è auspicabile pertanto che il personale destinato al primo intervento sia stato adeguatamente preparato, sia in grado di riconoscere la natura della minaccia da affrontare, di impiegare con immediatezza adeguati mezzi di protezione individuale e di intervenire rapidamente per soccorrere e sgomberare i colpiti sull’organizzazione sanitaria di ricovero e cura. Le nanotecnologie sviluppate solo recentemente hanno contribuito a ridurre anche la vulnerabilità del personale di primo intervento e di fornire promettenti sistemi di protezione e di decontaminazione.  

Dott. Gianfranco Tracci,