A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

UNA INTERPRETAZIONE DEI CICLI FINANZIARI NEI MERCATI FINANZIARI. L’AIUTO DELLA FINANZA COMPORTAMENTALE

Autore: Dott. Enea Franza

 

  1. Premessa

I tentativi d’interpretazione delle fasi di sviluppo e d’improvvisa crescita delle quotazioni dei titoli sui mercati dei capitali che, generalmente, segue ad una fase di ottimismo sulle prospettive economiche di una qualche azienda in essa quotata o addirittura del Paese e, poi di un calo vertiginoso dei prezzi degli stessi titoli,a seguito di un’ondata di panico e disperazione,che periodicamente coinvolge i mercati finanziari, hanno impegnato le menti più brillanti dell’economia contemporanea[1].

Del fenomeno citato le spiegazioni fornite dalla teoria classica non hanno soddisfatto[2]. Il principio della scelta razionale e di razionalità, che informa i modelli dell’economia classica, ritiene in buona sostanza che le scelte poste in essere dagli agenti economici siano di buona qualità solo se sono razionali, se tengono in considerazione tutti gli elementi che entrano in gioco, se conoscono e rendono conto delle risorse disponibili, se prendono in considerazione e valutano in modo comparativo tutte le diverse opzioni possibili, disponendole su una scala gerarchica ed, infine, se scelgono, tra le varie opzioni disponibili, quella che minimizza i costi e massimizza i risultati (massimizzazione dell’utilità).

Il comportamento degli investitori nei confronti del denaro presuppone, in particolare, che ogni qualvolta il soggetto economico sia chiamato a prendere una decisione d’investimento, questa venga valutata scegliendo in base all’utilità, ovvero, tenendo conto delle componenti valore atteso ed avversione al rischio. Mentre per calcolare il valore atteso si utilizzano le formule di attualizzazione dei flussi finanziari, ponderati con la probabilità dell’evento, il rischio è misurato, invece, dalla volatilità dell’investimento finanziario intorno alla sua media. Tale misura, come noto, è la varianza e misura quanto di singoli risultati attesi dell'investimento siano lontani dalla media. Considerato che l’utilità marginale è normalmente decrescente, l’agente economico, presupposto soggetto razionale ed orientato al massimo profitto possibile,massimizzerà la propria utilità privilegiandole scelte che danno vantaggi certi, anche a costo di sacrificare investimenti capaci di dare rendimenti maggiori[3].

Tuttavia, come dicevamo all’inizio della nostra dissertazione, se tutti gli operatori sono perfettamente razionali ed il loro obiettivo è quello di massimizzare il guadagno minimizzando il rischio e gli stessi hanno immediata contezza di tutte le informazioni di mercato[4], non si coglie il motivo del formarsi delle bolle. Un prezzo inadeguato non dovrebbe formarsi e, soprattutto, non avrebbe alcun senso l’ineluttabile cambio di direzione, che porta gli operatori gli operatori del mercato a vendere tutti insieme ciò che fino ad un momento non tanto lontano era ritenuto prezioso e veniva comprato a caro prezzo, innestando di conseguenza un crollo vorticoso e rovinoso delle quotazioni. In effetti, a ben vedere, di fronte al formarsi di una bolla, non sfuggono all’operatore economico una serie di “anomalie”, che segnalano che sul mercato c’è qualche cosa che non va e che dovrebbero suggerire una maggiore riflessione ad un consumatore razionale o almeno attento. In primo luogo, un aumento repentino delle contrattazioni su un determinato titolo (o panieri di titoli), segno di una attenzione particolare del pubblico su quel bene (o paniere di beni). Poi, le variazioni di alcuni indici, noti anche ai meno esperti di questioni economiche, che quando sono tutti o in parte “sopra le righe” palesano valori alterati ed indicano la presenza di una qualche singolarità[5].

Ciò è, evidentemente, ha qualche cosa del tutto irrazionale e, tuttavia, è quello che possiamo osservare ciclicamente accadere sui mercati. Le analisi empiriche, dunque, sembrano avvalorare l’ipotesi di un agente economico che di fronte al fenomeno ben noto delle bolle, non massimizza in modo ottimale la sua utilità attesa, non aggiorna le sue informazioni sulla base di un approccio logico razionale, ed è soggetto a condizionamenti emotivi,per cui, la sua funzione utilità tiene conto anche dell’utilità di altri soggetti, ovvero, in altri termini ed in definitiva, ha un comportamento che non sempre sceglie la condotta più razionale[6]. Ne consegue che un modello che voglia spiegare la formazione delle bolle sui mercati finanziari e reali, deve essere supportato dalla scienza psicologica che con l’osservazione dei processi mentali, delle motivazioni, dei limiti nell’applicazione della razionalità che risiedono dietro le scelte può dare (e da’) un contributo utile a spiegare i comportamenti individuali[7].

In definitiva, nell’analisi comportamentale, potremmo avere situazioni in cui gli agenti economici si comportano razionalmente, altri in cui il loro agire è condizionato da preferenze interdipendenti e da emozioni(ma gli agenti, tenuto conto di tali limiti, si comportano razionalmente), casi in cui le scelte sono certamente non ottimali per il condizionamento di fattori esterni e di come gli stessi sono da loro interpretati e, infine -aspetto più importante dell’analisi-  situazioni in cui può essere messo in dubbio il comportamento razionale stesso degli agenti economici.

 

  1. Perché possono esistere le bolle

In primo luogo va osservato che, in generale, il risparmiatore non ha tutte le informazioni per determinare l’esatto valore di un bene e, quindi, esattamente non sa se l’eventualetrend positivo (o negativo) sia destinato a continuare o ad invertirsi. Come noto, il possesso di tutte le informazioni disponibili è il presupposto necessario per poter stimare il valore atteso del bene[8].

Gli studi fatti sulla condotta umana, demoliscono, infatti, l’ipotesi base della teoria tradizionale che si possano conoscere e confrontare tutte le informazioni sul bene e che, quindi, in definitiva nei mercati finanziari il prezzo delle quotazioni rifletta l’esatto valore dei titoli in esso negoziati.A conferma soccorrono due elementari osservazioni. La prima è che, con l’esplosione di internet, è praticamente impossibile avere anche solo il tempo sufficiente per acquisire ed elaborare tutte le informazioni disponibili, la seconda, invece, viene dalla scienza neurologica. Essa ci dimostra che per l’uomo è possibile elaborare solo pochi dati e, tra tutti, solo quelli solo quelli che ci colpiscono particolarmente, e che generalmente sono le informazioni più condivise nel gruppo di relazioni che si intrattengono.Va, peraltro, osservato che, poi, generalmente, sono coinvolti nelle bolle finanziarie beni di utilizzo comune (c.d. “di massa”[9]) caratterizzati da un elevato grado di novità e pervasività (di recentissimo vedi il caso dei c.d.bitcoin[10]) che rende particolarmente complesso l’identificazione dell’effettiva potenzialità del bene oggetto di bolla e, conseguentemente una valutazione reale.

Inoltre, questione non da poco, le decisioni prese sono anche influenzate da una generale incapacità di maneggiare gli strumenti matematici a disposizione[11]. In merito, solo per limitarsi al nostro Paese, i dati di un'indagine OCSE pubblicata nell'ottobre del 2013 ci ricordano che il 70%  della  popolazione adulta non  possiede  le competenze minime ritenute indispensabili per poter vivere da cittadini  consapevoli  nel  XXI  secolo e, che, siamo  all'ultimo  posto  tra  i paesi europei per quanto riguarda le competenze linguistiche ed al penultimo posto perquanto riguarda competenze numeriche-matematiche[12]Ne segue che, alla luce di tali vincoli, il comportamento di un investitore razionale sarà comunque condizionato dalla parziale conoscenza degli elementi informativi in gioco.

Alla base delle osservazioni che seguiranno, peraltro, c’è una considerazione generale da fare, relativa alla percezione umana del rischio. In effetti, “l'avversione al rischio”, può spiegare in parte gli atteggiamenti anomali dell’operatore economico.

Tale avversione, implica la maggiore disutilità legata alla perdita di un bene o di una somma di denaro rispetto alla sua acquisizione, cosi che il guadagno e la perdita di una somma di denaro, non danno in valore assoluto la stessa utilità.A convalidare le distorsioni generate dall’avversione al rischio, non mancano test empirici che dimostrano che gli individui che hanno un determinato bene, giudicano il valore della sua perdita maggiore di coloro che non lo hanno[13]; più nel dettaglio, sembra addirittura potersi misurare il rapporto tra la perdita e la acquisizione nel rapporto di due a uno[14]. Questo causa, appunto, la divergenza tra disponibilità a comprare e disponibilità a vendere un determinato bene.

Dunque, c’è un atteggiamento psicologico che spiegherebbe (almeno in parte) la resistenza a vendere e, a gonfiare i prezzi verso l’alto. Il comportamento di un individuo nei confronti del denaro appare, inoltre, squilibrato nel senso che sembra influire sulle scelte che verranno fatte la funzione che ad esso riserviamo nel nostro “cassetto” mentale”[15].

Riassumendo: perdere una somma di denaro dà più dolore del piacere che ricaviamo dal trovare la stessa somma, e questo vale anche a livelli molto elevati di disponibilità economiche, tuttavia, il suo utilizzo, dipende dalla funzione attribuita alla somma di cui parliamo nella nostra contabilità mentale. Il nostro atteggiamento cambia, dunque,  se il denaro in nostro possesso arriva, ad esempio, da una vincita (cassetto del denaro disponibile) o dal lavoro (cassetto della sopravvivenza) e, nel primo caso, tale somma considerata spendibile la utilizziamo con maggiore leggerezza. Inoltre chi ha il bene ad esempio un titolo e vede aumentarne il suo valore sarà allettato alla vendita solo per valori sempre maggiori.

Tutto ciò, per inciso, naturalmente, è in aperta contraddizione con il principio di fungibilità del denaro, per cui i soldi non dovrebbero avere alcuna etichetta ed essere considerati esattamente nello stesso modo indipendentemente dalla fonte da cui provengono o dall'impiego cui sono destinati[16]. Ma occorre fare attenzione.

La presenza di un cassetto mentale in cui è stipato il denaro e che lo classifica come  denaro disponibile, è capace di spiegare quell’afflusso di denaro molto spesso ritenuto “sconsiderato” verso il mercato di borsa e divenire il motore che alimenta la bolla. In particolare - ritenuto a torto o ragione da sempre alla stregua di un gioco - il mercato dei capitali condivide l’idea comune di essere un luogo di facili guadagni e promettere la ricchezza facile per tutti. Ciò contribuisce all’afflusso di denaro fresco da parte di molti operatori tanto ingenui quanto inesperti e convinti di poter, con basso rischio, conseguire in breve tempo una certa ricchezza. Quando si alimentano le voci di forti guadagni provenienti da quel settore dell’economia, si arrivano a gonfiare gli acquisti anche con il denaro proveniente da tali soggetti.

Ma non basta, oltre alla facilità con cui l’operatore economico si “libera” del denaro presente nel cassetto del denaro disponibile, intervengano a decidere dei nostri comportamenti anche componenti legati al “rammarico” ed alla “delusione” per le scelte eventualmente da compiere. I decisorisanno  di  essere  inclini  al  rammarico  ela  previsione  di  quel  sentimento  doloroso ha  un  ruoloimportante in molte scelte.

In particolare, le intuizioni sul rammarico sono tendenzialmente uniformi ed inequivocabili: le persone si  aspettano di  provare maggior rammarico quando i risultati negativi scaturiscono dalle loro azioni piuttosto che dalla loro inazione[17]. Questa asimmetria, legata al timore di provare rammarico, favorisce le scelte convenzionali e distorce la percezione del  rischio[18]. Cosi, in presenza di denaro disponibile e di una uniforme e convinta preferenza dell’investimento nel mercato di borsa rispetto alle altre forme d’investimento, il timore di perdere tutto è assai spesso anestetizzato dall’idea del rammarico che si prova nel non partecipare all’eventuale abbuffata.

 

  1. Perché esse sono stabili

Come più sopra accennato, dalla situazione di crescita continua dei prezzi delle quotazioni dei titoli posseduti, l’agente economico non avrebbe davvero nessun interesse ad allontanarsi. Anzi, la condizione migliore, o meglio preferibile,è quella di un mercato in continua crescita. Le circostanze più interessanti che si manifestano in tale condizione d’incertezza e che evidenziano deviazioni dai criteri di razionalità, sono state ben studiate dall’economia comportamentale e possono essere sinteticamente applicate per l’analisi in discorso.

In primo luogo, il “contesto”(o framing), ovvero, dal modo in cui le possibili alternative vengono rappresentate all’agente economico[19], l’“impazienza”(o impatience) che porta a non considerare in modo corretto, o del tutto, i benefici futuri connessi ad un investimento[20], le “false aspettative“ (o overconfidence) in base alle quali individui credono, sulla base delle conoscenze disponibili nel momento della decisione, di sapere con certezza e senza giustificazione logica, quali saranno le conseguenze future[21].

Circa la rilevanza del framing si evidenzia, per inciso, l’importanza del ruolo della stampa (nel senso più ampio possibile), in particolare, circa le modalità secondo le quali le notizie vengono veicolate al pubblico. In questo contesto è particolarmente interessante il contributo di due professori dell’Università di Mainz, Oliver Quiring e Hans Mathias Kepplinger,  che hanno analizzato giornali e televisioni durante la crisi finanziaria del 2008/2009 e di Stefan Geissche si occupa dei modelli di interpretazione della crisi, nello specifico dei modelli che si sono affermati nei media e nella pubblica opinione.

Nello specifico, con riferimento alle analisi condotte sulla crisi successiva al 2008, si è constatato che questi frames sempre più raramente vengono dettati dai giornalisti, ma sono invece imposti da potenti gruppi di interesse e da attori, che grazie al loro status e alle loro risorse economiche, hanno accesso privilegiato all’opinione pubblica. Il pretesto molto spesso può essere usato anche da una correlazione tematica ad una discussione pubblica di attualità o dalla sensibilità degli attori per i punti culturali in comune e per la notiziabilità delle novità proposte[22].

Al framing ai fini della nostra analisi, che tenta una spiegazione della “bolla finanziaria”, si affianca il fenomeno noto con il termine di  “inferenza sbagliata”, cioè la caratteristica secondo la quale gli individui generalizzano erroneamente le informazioni desunte da un campione limitato e non rappresentativo, tendendo a sovrastimare l’importanza di campioni limitati. In altre parole, gli individui tendono a dare più importanza all’osservazione diretta piuttosto che ai dati statistici, commettendo così l’errore di decidere tenendo conto di una opinione non adeguatamente supportata scientificamente. Di tale questione avremmo occasione di parlare diffusamente più avanti, mentre affrontiamo subito la questione dell’overconfidence.

In merito il lavoro di Gysler[23] mostra come i soggetti che hanno una bassa abilità e conoscenza effettiva, sulla base di domande di cultura finanziaria, dimostrino un più alto grado di overconfidence. Inoltre Barber e Odean[24] evidenziano come la presenza di overconfidence nei mercati finanziari porti gli investitori a compiere scambi non profittevoli. In particolare, illustrano come questi ultimi in media, vendendo dopo diversi intervalli temporali, non riescano a coprire i costi sostenuti,ottenendo un guadagno minore del 6% (che è la percentuale media dei costi di transazione). La “miscalibration”, l’errata valutazione di una informazione, è solo una delle diverse manifestazioni di iper-sicurezza. Gli investitori tendono a tenere i titoli “perdenti” più a lungo di quelli “vincenti”, aumentano l’overconfidence in base alla natura e all’importanza delle mansioni affidate loro, movimentano eccessivamente il proprio portafoglio e sono particolarmente imprudenti (specialmente gli operatori di sesso maschile)[25].

Circa le tendenze conservative che si evidenziano prima ed immediatamente dopo lo scoppio della bolle, va segnalato anche l’agire di un c.d. “effetto disgiunzione”. Gli psicologi confermano che quando siamo di fronte a due (o più) situazioni delle quali non sappiamo ancora quale si avvererà in futuro (pur sapendo cheuna o l’altra si avvererà), ci blocchiamo e non riusciamo ad agire. Ci sembra di non avere una ragione sufficiente per farlo, e ciò nonostante l’azione che andremo a fare sarà la medesima a prescindere dall’alternativa che ci si proporrà.

L’alternativa “uno o l’altro”, che nel gergo della logica si chiama disgiunzione è che, in questi casi, dovrebbe bastare a farci agire, invece non ci basta con riferimento ad ipotesi di incertezza. Esplicativo è il quesito che è stato sottoposto a un gruppo di studenti, dove li si immagina di aver appena sostenuto un esame e gli si chiede di dover decidere se acquistare un pacchetto vacanze molto vantaggioso per le Hawaii. Il testo condotto ha dimostrato come conoscere l’esito dell’esame aveva impatto sulla decisione di aderire al pacchetto vacanze, indipendentemente dal costo dello stesso[26]. In altre parole, e più esplicitamente ai nostri fini, se il campione limitato di cui disponiamo ci suggerisce un dato comportamento, ad esempio di vendere subito o, viceversa, tenere salda la posizione, è molto verosimile che il nostro atteggiamento ne sarà fortemente condizionato e agirà seguendo il campione.

Il bias[27]  sopra descritto tuttavia è, particolarmente, penetrante su una posizione conservativa (aspettare a vendere) in quando va ad innestarsi sulla tendenza al c.d status quo, ovverosia, la tendenza a perseverare in una situazione individuata come standard, senza considerare tutti i costi ed i relativi benefici che potrebbero derivare dalla modifica del proprio comportamento o della propria scelta. Ciò spiegherebbe, anche in parte, la resistenza a vendere anche in un contesto ribassista.

Difatti, le informazioni aggiuntive che eventualmente contraddicano l’ipotesi di partenza possono essere addirittura ignorate (o interpretate male) dal soggetto economico e questo fatto sembra essere particolarmente vero quando la nuova informazione  presenta caratteri di ambiguità, come è nel caso in cui le informazioni aggiuntive che ci pervengano (vendere) contraddicano quello che si è fatto nel recente passato (acquistare e/o mantenere salda la posizione).

Nella sostanza sembra potersi affermare che gli individui, anche nel loro agire economico, attuino un filtro alle nuove informazioni sulla base delle ipotesi di partenza. Peraltro, un individuo che recentemente ha cambiato idea è generalmente poco sicuro rispetto alla nuova ipotesi proprio perché la stessa è in conflitto con la precedente credenza, per cui pur essendosi un soggetto convinto della bontà del cambiamento, tuttavia, è molto più incline al ripensamento rispetto a perseverare nella novità. Addirittura è possibile riscontrare che, in molti casi, è necessaria una notevole mole di evidenza empirica perché si contraddica la credenza errata, e ciò richiede molto tempo. Ancora è dato osservare la tendenza a non applicare ciò che si è appreso a contesti non molto dissimili, ovvero, a limitare ciò che si è appreso solo ad esperienze del tutto simili, se non identiche[28].

Inoltre, a perseverare in una posizione di stallo (vendo o non vendo?) contribuisce in modo pesante la presenza dei costi che sono stati eventualmente sostenuti in passato nell’acquisto dei titoli e che non possono comunque essere recuperati,in caso di smobilizzo della propria posizione, senza sostenere una perdita certa. Di certo, la presenza dei c.d. sunkcosts costituisce un importantissimo elemento di condizionamento con effetti spesso sorprendenti, come ben evidenzia l’esperimento del c.d. dollarauction, proposto da Shubik nel 1971[29], ma anche lo stimolo a continuare a tenere posizioni anche in un mercato che sia ribassista[30].

 

  1. Perché si producono ed esplodono.

Domandiamoci ora perché nasce una bolla e perché poi la stessa esplode. Di certo si tratta di un fenomeno dove le analisi comportamentali sopra svolte vanno a sommarsi e comporsi in fenomeno collettivo e che, di tal guisa, a nostro modo di vedere, va esplorato. Il risultato finale delle scelte singolarmente compiute dagli agenti economici, che come visto presentano caratteri comuni, infatti, dipende certamente dalla cooperazione o meno  dei soggetti economici presenti in campo.Anche su tale punto gli studi compiuti dall’economia comportamentale dimostrano che, in genere, l’atteggiamento dei soggetti economici è assai poco cooperativo ed anzi tende quasi sempre alla competizione[31]. Dunque, le pulsioni analizzate si sommano algebricamente, spingendo verso la conservazione (difesa delle proprie posizioni in titoli) ovvero verso il cambiamento (acquisto e/o vendita dei titoli).

Poniamoci la prima questione di se la nascita e la successiva esplosione di una bolla è unfatto necessitato ed interno alla propria fenomenologia o, invece, ha una causa esterna che come tale e non solo evitabile ma, in qualche modo gestibile. La nostra posizione al riguardo è duplice: I fatti esterni sono la ragione della nascita della bolla, che si alimenta con l’istinto di gruppo e di competizione dei soggetti.

Un’interessante ricerca condotta dal centro studi di scienze cognitive F.C. Donders[32], può aiutarci a comprendere. Nello studio si è analizzato in che modo il cervello di ciascuno compie scelte anticonformiste o, al contrario, si adatta alla realtà circostante. I volontari sono stati chiamati a dire la loro su alcune facce di persona. Mentre avveniva la fase di giudizio si attivavano nei volontari solo alcune zone del cervello, tra cui quella dell’apprendimento e del rinforzo positivo. Ne è risultato, che se al gruppo una scelta piace, il cervello ricorderà che quella scelta era un lasciapassare sociale e la rifarà, mentre se al gruppo la scelta non piace, il singolo (tranne soggetti particolari) la rifarà.

Nella sostanza imitare gli altri e conformarsi è un fatto legato all’apprendimento sociale, un processo del normale, non condizionato dal pensiero razionale, quanto piuttosto una reazione dell’inconscio di fronte alle situazioni che si pongono nelle scelte quotidiane, avvantaggiando chi fa la scelta più conforme al gruppo[33].

Ora, com’è noto, il tipo di comunicazione che più frequentemente si instaura in una folla è la voce (nel nostro caso, una notizia diffusa da soggetto ritenuto attendibile e, pertanto, degno di affidamento) ossia un’informazione che si diffonde con estrema rapidità perché soddisfa perfettamente alcune esigenze della folla in quanto da un significato comune ad una situazione che i singoli individui non capiscono o non sanno interpretare totalmente, corrisponde alle aspettative già presenti nella folla, in modo generico ma condiviso (es. prezzi troppi alti, o troppo bassi, e da troppo tempo) e la prepara all’azione fornendole poche ma basilari informazioni.Nel nostro caso la voce potrebbe essere, indifferentemente “è ora di acquistare” o, in caso di inversione di tendenza, “è ora di vendere”.

La condivisione da parte di tanti soggetti tende quindi a giustificarne i comportamenti di ciascuno, alleviano i sensi di colpa di una scelta sbagliata, e rendono possibile l’azione stessa.

Nel comportamento della collettività (o della folla)[34], infatti, si sviluppa una mentalità collettiva alimentata da elementi fondamentali che sono il senso di anonimato e di impunità (nel senso che il dolore per la perdita è alleviato dal fatto che ci si muove tutti per salvare il salvabile), la rapidità della trasmissione delle informazioni e, per quanto di maggior interesse ai nostri fini, il fatto che individui tendono a divenire suggestionabili e facilmente manovrabili agevolando l’attività degli speculatori, o leader.

Perché naturalmente si abbia un ciclo positivo e/o negativo è necessario, come cennato, la presenza di c.d. “fattori precipitanti”, ovvero, che la credenza venga rafforzata da uno o più accadimenti: in particolare, la gente si allerta e si organizza per agire procedendo ad attivarsi per ordini di acquisto se l’attesa e di guadagni o di vendita immediata, ed osserva il modo in cui gli altri soggetti e, soprattutto, le autorità preposte alla vigilanza dei mercati finanziari,reagiscono. Se si individuando elementi tali da far supporre che è il momento di acquistare e/o di alleggerire le loro posizioni, la corsa è inarrestabile e si autoalimenta di giorno in giorno.

Se risulta, in definitiva, abbastanza semplice comprendere la dinamica dell’accodamento, ovvero, come si diffonda tra gli operatori l’impulso a comprare e/o a vendere, ciò che ancora ci sfugge è il motivo scatenante degli ordini. Alcuni autori ritengono che si crea una bolla perché nasce una moda e si sgonfiano semplicemente perché cambia la storia che le ha originate. Nella sostanza si tratterebbe di un fenomeno equiparabile alle epidemie. Sostiene in un recente contributo[35] Robert Shiller, economista statunitense considerato uno dei padri della finanza comportamentale “Il caso dell’influenza ci insegna che può apparire all’improvviso una nuova epidemia proprio mentre un’epidemia precedente sta regredendo, se compare una nuova forma del virus o se qualche fattore ambientale accresce il tasso di contagio. Lo stesso succede con le bolle speculative: se emerge una nuova storia sull’economia e se questa nuova storia ha una forza narrativa sufficiente a scatenare un nuovo contagio nella mentalità degli investitori, allora entra in scena una nuova bolla speculativa”.

Se le cose stanno in tal guisa, le bolle speculative sarebbero, allora, creazioni umane che vedono alcuni soggetti leaders guidarne la crescita e poi deciderne la fine, tentando più volte di accendere la miccia e riuscendoci (o meno) a seconda della reazione dei “mercati”, che potrebbero non raccogliere la palla lanciata. Il mercato in tal caso sarebbe non più di “parco buoi”[36] che di volta in volta resta coinvolto nel gioco dei leaders. Ma per riuscire in ciò i leaders devono produrre idee contagiose cioè che abbiano la capacita di trasmettersi come unvirus tra le persone.

Quale caratteristica ha tale informazione? Ci aiutano in materia gli studi di Richard Dawkins[37]. Il biologo e saggista britannico nei sui scritti ne individua le particolarità ritenendo che l’informazione debba essere capace di penetrare tra la gente ed imitabile senza modificarsi durante il processo di comunicazione, inoltre, essa è dotata della capacità di riprodursi il più velocemente possibile e di garantire la longevità della informazione che viene riprodotta. Non tutti i messaggi prodotti dai leaders hanno tali caratteristiche, ma tra questi quelli che diventano meme, sono capaci di modificare il comportamento degli altri simili e quindi costituiscono la chiave si svolta capace di invertire il trend.

Ma, la questione non termina qui, come fenomeno sociologico, nella formazione della bolla e, quindi, nel successivo necessario esplodere, un ruolo fondamentale spetta, come accennato, ai mezzi d’informazione (stampa, tv, new media, ecc.). Essi, contribuirebbero costituendo il frames adatto a dare corpo alla fenomenologia, ponendo le basi per la crescita della bolla, almeno quando il fenomeno diventa degno di rilevanza e poi all’indebolimento della spinta propulsiva ed alla successiva esplosione e conseguente involuzione verso altre forme di impiego della ricchezza. In particolare, carte stampata e media e le relative trasmissioni televisive (e non sfuggono alla logica di cui diremo i c.d. new media[38]) sono alla continua ricerca di “esponenti di rilievo” in grado di supportare questa o quella tesi, più o meno estrema, di modo da polarizzare l’attenzione del maggior numero di lettori o telespettatori possibile.

Sostanzialmente, ciò che fanno i Media è raccogliere le informazioni anche se vaghe  di ciò sta verificando o di ciò che potrebbe accadere e trasformarle in opinioni[39], dopo di ché raccogliere i sentori generati da queste opinioni, filtrandoli[40] per farne opinioni ancora più precise, contribuendo con questo meccanismo a generare gli stessi fatti di cui fanno la cronaca.Anche qui, naturalmente, il gioco non sempre riesce e, non sempre, le opinioni espresse dalla generalità dei mass media riesce a coinvolgere e convincere le persone.

Tuttavia, riteniamo che, lo studio delle relazioni tra mass media e formazione dell’opinione pubblica, possa contribuire a aggiungere un ulteriore tassello per la formulazione definitiva di una teoria delle bolle finanziarie.

 

Dott. Enea Franza, Responsabile Ufficio Camera Conciliazione ed Arbitrato-Consob.

 

[1] Già a partire dalla crisi economica degli anni trenta vi è una letteratura sterminata sul tema delle bolle finanziarie ed i contributi elaborati forniscono interpretazioni del fenomeno variegate. Tuttavia, nel breve e nel medio periodo, secondo Barsky e Long (1993) si fa notare come siano principalmente tre le valutazioni che possono influenzare il prezzo dei titoli su un mercato:· il valore attuale dei dividendi futuri; · i movimenti inappropriati rispetto ai fondamentali attesi (gli investitori possono credere ad una crescita dei dividendi, anche se questo può non essere reale); · le manie, mode e bolle in cui la domanda è determinata in larga misura da aspettative di mercato di capital gains di breve periodo che sono in disaccordo con i fondamentali di lungo periodo e che vengono falsificati nel momento dell’esplosione della bolla. Il fenomeno delle bolle speculative viene visto come “un’anomalia di mercato” legata alla componente psicologica, di solito connessa con un nuovo oggetto di investimento che suscita molto interesse, o un rinnovato interesse per qualcosa di già esistente e consolidato, che già in partenza raccoglie in sé la componente speculativa. E’ l’elevato risalto dato al grado di diffusione del bene oggetto di speculazione a costituire l’elemento centrale dell’innesco della bolla, come dimostra che la gran parte delle volte nelle bolle sono coinvolti beni di utilizzo comune e caratterizzati da un elevato grado si pervasività.Per un approfondimento, “The  Economics  of  Great  Depression.  A  Twenty-First  Century  Look  Back  at  the Economics of the Interwar Era”, Edward Elgar, Cheltenham, Parker R.E. (2007).

[2] Secondo Fama, principale sostenitore della «teoria del mercato efficiente», le bolle non esistono. In un’intervista rilasciata nel 2010 a John Cassidy del New Yorker diceva: «Non so nemmeno cosa vuol dire una bolla. Sono parole diventate di moda, ma che secondo me non hanno senso». Nella seconda edizione del mio libro Irrational Exuberance, ho cercato di dare una definizione migliore. Una «bolla speculativa», scrivevo, è «una situazione in cui la notizia di un incremento di prezzo stimola l’entusiasmo degli investitori, che si diffonde per contagio psicologico di persona in persona, ingigantendo storie capaci di giustificare l’incremento di prezzo». Tutto questo attira «un ventaglio sempre più ampio di investitori che pur nutrendo dubbi sul valore reale dell’investimento ci si lanciano ugualmente, in parte per invidia del successo di altri e in parte per il brivido dell’azzardo». Nella sostanza di tratterebbe sostanzialmente fenomeni sociopsicologici, e per tanto, proprio per  loro natura, difficili da controllare.

[3] Possiamo dimostrare quanto affermato con un semplice esempio. Supponiamo, infatti, di dover scegliere un investimento che, a scadenza, permetta un guadagno di 5 milioni, rispetto ad un altro che ha il 50% di probabilità di avere a scadenza 1 milione ed il 50% di probabilità di avere 10 milioni. Se si ragionasse solo in termini di valore atteso, di certo la scelta ricadrebbe sul secondo investimento capace di dare un risultato atteso di 5,5 milioni, quindi superiore al primo. In realtà, occorre calcolare, l'utilità connessa al risultato atteso. Ora l'utilità del primo investimento con risultato atteso di 5 milioni è 4,45. Quella del secondo investimento, invece, è la somma dell’utilità di 1 milione (che poniamo pari ad 1) ponderata per la probabilità di ottenere tale ammontare a scadenza e, quella, di 10 milioni (ovvero 6,4) ponderata per la relativa probabilità. Si ha quindi una utilità complessiva di 3,7 (0,5×1+0,5×6,4= 3,7) e,  quindi, inferiore a quella del primo investimento. Alla base dell'esempio c'è la costruzione di una tabella che mette in relazione  denaro, utilità ipotizza per ogni unità aggiuntiva, e  decrescita dell'utilità di 0,05 da 1 milione a 5 milioni mentre si ipotizza una molto più sensibile decremento da 5 a 10 milioni. Le ipotesi sono coerenti con la teoria dell’utilità marginale decrescente al crescere della somma, per cui unità aggiuntive di denaro danno utilità marginale sempre minore.

[4] Le grandi crisi finanziarie (prima fra tutte la crisi del 1929) connesse alla formazione di bolle azionarie sono state precedute da periodi di crescita esponenziale del priceearning. Il priceearning, ovvero, il rapporto tra il prezzo per azione e utile per azione costituisce un indicatore dell’euforia del mercato; tale indice esprime, infatti, in che misura gli operatori sono disposti a sostenere un esborso attuale per incassare in futuro un utile per ogni azione acquistata: al crescere della fiducia degli operatori aumenta il rapporto in oggetto, ossia aumenta l’entità del prezzo attuale che gli stessi sostengono per partecipare alla ripartizione degli utili attesi.

[5] L’elevarsi, ad esempio, del rapporto tra capitalizzazione e valore di libro, nonché del tasso di crescita degli utili, che se superiore al 30% diventa difficilmente sostenibile anche per un periodo non particolarmente lungo. Il rapporto superiore all’unità tra prezzo/utili e tasso di crescita atteso ed, infine, un rapporto squilibrato tra indebitamento ed utili (idealmente intorno a 1/3).

[6] In effetti, quando ci si trova all’apice di una bolla, il comportamento più razionale che il soggetto può assumere è quello di vendere. Tale scelta, però, quando seguita dagli altri, determina il crollo dei prezzi. Bene, viceversa, se tutti mantenessero la calma e conservassero le loro posizioni, il prezzo, molto probabilmente, rimarrebbe stabile con un vantaggio generale (e personale) certo.  

[7] La c.d. “economia comportamentale”, partendo dall’assunto della razionalità limitata, della possibilità degli agenti economici di considerare solo alcune tra tutte le alternative possibili e, dell’impossibilità di conoscere tutte le conseguenze delle loro scelte, tenta, appunto, di adattare i modelli della teoria tradizionale per tenere conto delle situazioni in cui le influenze esterne e le interazioni tra i soggetti sono importanti. Vedasi, Daniel Kahneman e Amos Tversky (1979) Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, Econometrica, 47(2), 263 – 291. Shlomo Benartzi; Richard H. Thaler (1995) Myopic Loss Aversion and the Equity Premium Puzzle, Quarterly Journal of Economics, 110(1).Matthew Rabin (1998) Psychology and Economics, Journal of Economic Literature, 36(1), 11-46. Shleifer, Andrei (1999) Inefficient Markets: An Introduction to Behavioral Finance, Oxford University Press. Barberis, Nicholas e Richard Thaler (2003) A Survey of Behavioral Finance, in Handbook of Economics and Finance, a cura di G.M. Constantinides, M. Harris e R. Stulz, Elsevier Sciencs B.V.Shefrin, Hersh (2002) Beyond Greed and Fear: Understanding behavioral finance and the psychology of investing. Oxford University Press. Camerer, C. F.; Loewenstein, G. & Rabin, R. (a cura di) (2003) Advances in Behavioral Economics.

[8] In effetti, la mancanza di tali informazioni non permette di costruire la distribuzione di probabilità su cui, poi, poter calcolare il valore medio e la relativa dispersione.

[9] Tanto per ricordare le principali: 1630: la tulipanomania olandese. E' la prima e più famosa bolla speculativa. Il prezzo di una specie di bulbo di tulipano, il SemperAugustus, sfondò la quotazione di un miliardo e mezzo di lire attuali. 1720: la Compagnia dei Mari del Sud. Le prospettive commerciali della compagnia inglese verso l'immenso Sudamerica erano eccellenti e tutti gli investitori vollero approfittare. La Compagnia emise una grande quantità di azioni la cui quotazione continuò a salire senza fine. Alla fine la bolla scoppiò anche perché si scoprì che, ad un certo punto, il management della Compagnia cominciò a vendere. Isacco Newton fu un investitore illustre che perse una fortuna. Egli commentò: "Posso calcolare i moti dei corpi celesti, ma non la follia della gente". Fine del XVIII secolo: la prima e grande speculazione terriera americana.  1800: i Mercati Emergenti. 1845: le Ferrovie Inglesi. 1923: la speculazione immobiliare in Florida. 1929: il crack di Wall Street. 1978: la speculazione sull'oro. 1979: l'ondata speculativa sui francobolli rari. 1982: la bolla speculativa immobiliare e della borsa giapponese. 1983: i junk bond statunitensi. 1985: peculazione sui semi di jojoba. 1986: speculazione sul mercato edilizio inglese. 1987: il Lunedì Nero. 1988: le polizze di riassicurazione dei Lloyds. 1991: i Mercati Asiatici. 1994: la Crisi Messicana. 1997: la svalutazione della moneta thailandese ed il crollo dei mercati azionari dell'Asia. 1998: LTCM. 2000: i Titoli Tecnologici.

[10] Dal suo lancio, nel 2009, il prezzo di ogni bitcoin è salito a 25 dollari, a 35, poi 90. Per essere oggi scambiato a oltre 104 dollari, facendo gridare gli analisti alla bolla speculativa.  Vedi, “Anche la moneta è un tweet: cosibitcoin sfida l’euro e il dollaro” di Federico Fubini, il Corriere della Sera,  “…  L’esempio più dirompente, benché niente affatto l’unico, è bitcoin: sta al dollaro, e all’euro, come Skype sta a Tim o a Vodafone. Esiste una mappa (online) dei beni e dei servizi che oggi si possono pagare in bitcoin, una quasi- moneta che esiste solo in forma elettronica ed è prodotta da un algoritmo crittografato anziché da una banca centrale. Si può comprare una notte alle Urban Living Suites di Toronto, Ontario, o al B&B Del Corso in Corso Garibaldi 340/c a Napoli; si può cenare al Carena Bar di Cefalonia, pranzare a Manhattan o a Brooklyn, o prenotare una vacanza con l’agenzia di viaggi ufficiale della Corea del Nord. Sul sito (criptato) Silk Road, con bitcoin si può comprare un chilo di eroina, una partita di hashish e poi dare un voto sulla qualità e i tempi di consegna come su Amazon e eBay. (…) «Anche i pionieri erano gente che non si faceva la doccia tutti i giorni — commenta Denis Roio, in arte Jaromil —. L’uso iniziale di bitcoin da parte di soggetti marginali è normale. Ma non si proibiscono i coltelli da cucina perché ci si può uccidere una persona». (…) Tra le qualità che Satoshi Nakamoto ha infuso nel sistema di bitcoin due spiccano e ne fanno un potente mezzo «peer-to-peer», proprio come Skype o Twitter. La prima è che la rete bitcoin è estremamente resistente agli attacchi degli hacker: Satoshi deve essere un grande professionista di software e crittografia con esperienza nella finanza, capace di costruire un enigma matematico quasi inattaccabile. La seconda qualità vitale di bitcoin è che le transazioni in questa «critpo-moneta» sono verificabili e non falsificabili: in sostanza, come non si può pagare lo stesso euro a due persone diverse, così non si può trasferire loro (elettronicamente) lo stesso bitcoin. (…) Bitcoin abita una zona grigia ai margini della legge, sul filo di una sfida «P2p» alla sovranità degli Stati. Ma non è il solo».

[11] Astraiamoci, a questo punto, dal considerare una questione importante, connessa all’ipotetico ruolo giocato dai consulenti finanziari. Sul punto si rinvia al Quaderno di Finanza della Consob n. 66  del  gennaio  2010, di N. Linciano che segna il  percorso  logico  della  consulenza, nelle seguenti sintetiche tappe: l’investitore ha dei limiti cognitivi che determinano sistematici errori; questo fatto è noto al consulente che, nello svolgere il proprio  ser vizio,  deve  tenerne  conto,  nell’interesse  del cliente;il consulente deve far riconoscere al cliente i suoi limiti,affinché maturi in lui una chiara esigenza di consulenza; il  consulente  deve  stimolare  le  «difese  naturali»  del cliente contro la sua emotività. Il consulente deve guidare il cliente verso soluzioni condivise che siano il più possibile «protette» dai fattori emotivi. Sull’argomento ci ripromettiamo di intervenire a breve.

[12] Da “Senza sapere: IL COSTO DELL’IGNORANZA IN ITALIA”, Giovanni Solimine, Laterza Editori, 2014

[13] Un esempio ci può aiutare. Due  accaniti  fan  sportivi  decidono  di  andare  in  una  città  a  65  km  di  distanza  per  accedere ad una  partita  di  pallacanestro. Antonio ha comprato il biglietto con i suoi soldi, pagandolo 100 euro; Marco lo ha ricevuto come regalo da un amico. E’ annunciata una bufera di neve la sera della partita. Secondo te, quale dei due amici è più probabile che sfidi la tempesta per andare a vedere la partita? La maggioranza indica Antonio, perché resterebbe con meno soldi e senza partita;  Marco resterebbe solo senza partita. La situazione è la stessa, ma il punto di riferimento è diverso.

[14] Illuminante il c.d. esperimento delle tazze, condotto da Kahneman, Knetsch e Thaler (1991). Essi hanno suddiviso in due gruppi le matricole di una università americana. A  ciascun  membro  del  primo  gruppo  hanno  regalato  una  tazza,  accompagnata  da  un  biglietto  che  spiegava  che,  se  lo studente avesse voluto acquistarne altre, avrebbe potuto trovarle allo spaccio universitario al costo di 4 dollari. Al secondo gruppo non venne dato nulla. Poco dopo chiesero agli studenti che avevano ricevuto la tazza di scrivere su un biglietto a quale prezzo sarebbero stati disponibili a venderla, indicando un prezzo compreso tra 0 e 9,25 dollari, mentre agli studenti che non avevano ricevuto nulla venne  chiesto di  indicare  a quale prezzo sarebbero stati disponibili ad  acquistare le stesse  tazze dai  loro colleghi, anche in questo caso indicando un prezzo compreso tra 0 e 9,25 dollari.La media del prezzo stabilito da coloro che avevano ricevuto la tazza in dono (i venditori) era di 7,12 dollari. La media del prezzo stabilito da coloro che non avevano ricevuto la tazza in dono e che avrebbero dovuto comprarla (gli acquirenti) era di 2,87 dollari. La differenza tra le due stime era oltre il doppio. Inoltre, ¾ del gruppo dei venditori dichiarò che avrebbe rifiutato la vendita, perché si sarebbero tenuti la tazza.

[15] I “cassetti mentali” sono  categorie  mentali  in  cui  suddividiamo  il  nostro  patrimonio  e distinguono il denaro posseduto a seconda degli obbiettivi che gli assegniamo Gli studi condotti dall’analisi comportamentale, ci segnala che si tende a suddividere mentalmente il nostro patrimonio in (almeno) tre diverse categorie:-il  denaro corrente, tra cui i conti correnti ed i contanti , questa è la parte del nostro patrimonio, sulla quale abbiamo la propensione al consumo più alta;-la ricchezza corrente, che comprende i beni che abbiamo sotto forma di azioni, obbligazioni, quote di fondi; mal volentieri tendiamo ad intaccare questa parte dei nostri averi; -la ricchezza futura o gli investimenti per la pensione, in questa categoria tipicamente rientrano la casa gli investimenti previdenziali come i fondi pensione e le polizze vita; solo in condizioni di necessità pensiamo di “toccare” questa parte del nostro benessere.

[16] Vedi, Thaler, R. H., 1985, "Mental accounting and consumer choice," Marketing Science. La parte centrale della teoria della contabilità mentale a cui facciamo riferimento,  riguarda il sistema di conti mentali con cui le persone tendono a suddividere il denaro, sia creando differenti budget per le spese, sia categorizzando la propria ricchezza e il proprio reddito.

[17]Un esempio: Paolo possiede azioni dell’azienda A. L’anno scorso ha riflettuto se venderle per  comprare invece azioni dell’azienda B, ma ha poi deciso di non farlo. Ora ha saputo che se l’avesse fatto, avrebbe guadagnato 1200 euro. Giorgio possedeva azioni dell’azienda B. L’anno scorso le ha vendute per comprare azioni dell’azienda A. Ora ha saputo che avrebbe guadagnato 1200 euro se si fosse tenuto le azioni dell’azienda B Chi prova maggior rammarico? 8%  ha  indicato  Paolo;  il  92%  Giorgio.  Eppure,  le  situazioni  dei  due  investitori  sono  obiettivamente  identiche;  ma  la differenza  è  che  Giorgio  è  arrivato  alla  situazione  attuale  scegliendo  e  agendo.

[18] Ad esempio, i consumatori a cui si ricorda che potrebbero provare rammarico a conseguenza delle loro scelte mostrano un’aumentata  preferenza per  le  opzioni  convenzionali, preferendo i prodotti di marca a quelli generici.

[19] Un esperimento assai esemplificativo di come il contesto modifichi il comportamento è quello classico dell'acquisto di beni caratterizzati da una alta differenza di prezzo. Nel nostro esempio ipotizziamo un frigorifero, poniamo 700 Euro e delle cuffie per lo smartphone, supponiamo 20 Euro. Ed ipotizziamo che in un negozio in periferia, tempo stimato per raggiungerlo 15 minuti,  è possibile acquistare entrambi i prodotti con una sconto uguale e pari a 10 Euro. I test empirici dimostrano che la percentuale delle persone disposte a cambiare negozio sono in percentuale significativamente maggiore quelle che vogliono acquistare le cuffie per lo smartphone.

[20] Un esempio, di decisioni prese in tale contesto, è quello della preferenza tra avere € 100 oggi o € 101 fra una settimana. L'analisi statistiche condotte dimostrano che la maggior parte degli individui sceglie € 100 di oggi se si domanda cosa si preferisca tra € 100 tra un anno esatto e di € 101 tra un anno e una settimana, la maggior parte degli individui opta per la seconda ipotesi. Ciò è evidentemente incoerente atteso che entrambe le scelte ipotizzano di rimandare l'incasso della somma di una settimana. Un altro esempio di decisione legata all'impazienza è il comportamento di possessori di carta di se più divertente dare su credito che preferiscono pagare gli interessi sul debitoaccumulati con gli acquisti, procrastinandolo invece di liquidarlo immediatamente.

[21] SvensonSvenson 0., “Are wealllessrisky and more skillfulthanourfellow drivers?”, Acta Psychologica, illustra come l’82% di un campione di studenti degli Stati Uniti, con una età media di 22 anni, si ritenga appartenere ad livello alto di abilità nella guida, ed interrogati sulla probabilità di aver dato una risposta corretta ad una qualsiasi domanda, essi generalmente tendono a sovrastimare la probabilità di aver risposto correttamente. In altri termini, l’iper-sicurezza porta a fissare degli intervalli di confidenza troppo stretti, in cui si tende a sottostimare la probabilità di risultati superiori e a sovrastimare la probabilità di risultati inferiori a quelli previsti.

[22] Geiss fa degli esempi concreti di “Frames”, che da un lato sono tra loro in concorrenza, dall’altro si completano a vicenda. Tra questi  “spronare l’economia”, “salvare la Opel”, “togliere il potere alle banche” o anche “salvare le banche”. Nessuno di questi modelli interpretativi è sparito completamente durante il periodo osservato. “Proprio l’economia della finanza, la Opel e i sostenitori del pacchetto di sostegno alla congiuntura sono riusciti a raggiungere il dominio delle news quando si trattava di prendere la decisione politica che riguardava questi temi” afferma Geiss. Nel caso specifico della finanza il giochetto non è perfettamente riuscito, perché  “salvare le banche” si è scontrato con  “togliere il potere alle banche”.Vedi, Neue Zürcher Zeitung, 5.3.2013

[23] Gysler M., Kruse J. B. e Schubert R., “Ambiguity and gender differences in financialdecision making: an experimental examination of competence and confidence effects”, SwissFederal Institute of Technology, Center for Economic Research, 2002.

[24] Barber B. M. e Odean T., “The courage of Misguided Convictions: the trading behaviour ofindividual investor”, Financial Analyst Journal, pp. 41-55, 1999 e,  Gervais S. e Odean T., “Learning to be overconfident”, Review of Financial Studies, 2001.

[25] Da segnalare che l’iper-sicurezza riguarda, in particolare, la categoria degli agenti presenti sul mercato. Gli operatori di giovane età che hanno sperimentato performance relativamente brillanti aumentano la confidenza nelle loro abilità fino a diventare iper-sicuri. In media, l’overconfidence assume un andamento crescente e poi decrescente durante la vita di un agente. I trader più anziani, più esperti, riescono in genere a mantenere un atteggiamento più oggettivo davanti alle informazioni, mostrandosi meno confidenti. Poiché nel mercato entrano continuamente nuovi trader, Gervais e Odean sostengono che il grado di iper-sicurezza presente nei mercati finanziari sia necessariamente elevato.

[26] Se gli studenti immaginavano di aver superato l’esame, si dichiaravano disponibili ad acquistare il pacchetto vacanze; Se  gli  studenti  immaginavano  di  non  aver  superato  l’esame,  in  buona  parte  erano  ancora  disponibili  ad  acquistare  il pacchetto vacanze; Se al momento dell’acquisto il risultato dell’esame non era ancora conosciuto, due terzi degli studenti preferiva aspettare  di conoscerne l’esito prima di decidere, eventualmente anche pagando una penale per mantenere la prenotazione. In  altre  parole,  il  risultato  finale  dell’esame  di  per se   stesso  non  aveva  alcuna  influenza  sulla valutazione  costo-beneficio,  eppure  i  risultati  di  questo  test  dimostrano  che  quando  la  decisione  avviene in condizioni di incertezza, i soggetti violano l’assioma della indipendenza (principio della cosa certa).

[27] E. Pronin et al (2004), “Objectivity in the Eye of the Beholder: Divergent Perceptions of Bias in Self Versus Others”, cosi li definisce: “Osservazioni quotidiane confermano l'esistenza di pregiudizi [bias] nella percezione umana. Noi troviamo che i nostri avversari, e a volte anche i nostri colleghi, vedono eventi e problemi attraverso il prisma distorcente della loro ideologia politica, della storia e degli interessi individuali o del loro gruppo, e del loro desiderio di vedere se stessi in una luce positiva. Quando tuttavia riflettiamo sulla nostra visione del mondo, generalmente rileviamo poche prove di questi pregiudizi. Abbiamo l'impressione di vedere problemi ed eventi "obiettivamente", come sono in realtà. Vorremmo concedere, forse, che alcune delle nostre opinioni sono state modellate dalla nostra esperienza personale e dall'identità di gruppo, ma sentiamo che nel nostro particolare caso questi fattori hanno condotto ad aumentare la conoscenza piuttosto che il pregiudizio”. Vedi anche Amos Tversky, D. Kahneman (1974) –“Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”.

[28] In altre parole, lo studio della storia economica e delle crisi finanziarie serve a poco o nulla ...

[29] Il gioco prevede che sia messo all'asta un dollaro (ad esempio) e che lo stesso se lo aggiudichi chi alla fine avrà fatto l'offerta più alta. Tuttavia però deve pagare senza ottenere nulla, anche chi avrà fatto la seconda miglior offerta. Tale condizione fa sì che, per chi si trova nel corso dell'asta ad essere il secondo miglior offerente, la sua offerta rappresenti un costo irrecuperabile. Ciò può portare all'attivazione di un meccanismo "irrazionale" di offerta al rialzo, nel tentativo di recuperare, almeno in parte, questi costi. L'effetto è che, usualmente, il dollaro viene aggiudicato a fronte di un pagamento complessivo dell'ordine di alcuni dollari. Shubik, Martin (1971). "The Dollar Auction Game: A Paradox in Non cooperative Behavior and Escalation".

[30] Per dimostrarlo poniamoci ora la seguente domanda. È meglio una perdita certa del 5% oppure lanciare una moneta: se viene testa -10% se viene croce 0%? Mentre la perdita certa ci chiude ogni speranza, il lancio della moneta lascia aperta la prospettiva di non perdere soldi. E’ probabile che lanceremo una moneta. E, se siamo un poco sfortunati, al primo lancio viene testa. Usciamo dal gioco o lanciamo moneta? Ovviamente giochiamo. E se siamo un poco sfortunati… Insomma, la nostra propensione al rischio genera i micidiali (e negli ultimi dieci anni ben noti) drawdown del nostro portafoglio., ovvero, una successione di perdite che a un certo punto diventa irrecuperabile. L’obiezione dell’investitore, disperato a causa del ripetersi dell’evento negativo, è che la moneta è truccata e esce dal gioco con perdite rilevanti.

[31] Un primo semplice caso di gioco di coordinamento è tradizionalmente quello rappresentato dalla battaglia dei sessi. Si immagini una copia che deve decidere dove passare la serata. Entrambi andranno ad un evento sportivo uomo avrà utilità pari a due e la donna un'utilità pari a uno. Risultati si metteranno nel caso in cui andranno a vedere un film scelto dalla donna. Se ognuno per suo conto, nessuno dei due avrà un vantaggio. È fondamentale dunque il coordinamento perché in sua assenza nessuno dei due trarrà beneficio.

[32] Da, “Evidenziate le basi neurologiche del conformismo”, F.C. Le Scienze, 15 gennaio 2009.

[33] Kahneman spiegherebbe, invece, tali comportamenti i imputandoli ai neuroni-specchio, cioè di neuroni che ci fanno imitare i comportamenti più adottati dai nostri simili. Essi portano ad imitare i comportamenti dei nostri simili che non necessariamente si comprendono ma che sembrano sulla base dell’esperienza sortire effetti per noi positivi. Si tratta cioè di una generalizzazione del “comportamento del gregge” (herdbehaviour), per cui una massa di soggetti consapevoli della limitatezza delle loro informazioni o degli strumenti di analisi tendono a seguire coloro che prendono una certa strada, confidando che se questi hanno intrapreso un percorso ciò sia dovuto in forza di più precise informazioni e capacità di analisi. Quindi vedendo qualcuno costruire una casa in una disastrata New Orleans è lecito pensare che questo abbia una qualche informazione a supporto che noi non abbiamo, e questo spinge qualcuno ad imitarlo (in un certo senso, l’esempio ci dà coraggio);  man mano che si aggiungono persone la forza di “attrazione” di questo comportamento imitativo incrementa, trascinando infine una massa tale da ricostruire la città. Quindi se accettiamo una tale spiegazione, è possibile addirittura spiegare il moto di una bolla come un comportamento imitativo razionale.

[34] VediPsychologiedesFoules (1895), Gustave Le Bon. Réédition: Paris, Pressesuniversitaires de France, Collection "Quadrige", 1988. Le Bon elabora la” c.d. teoria del contagio”, secondo la quale l'individuo all’interno della folla si sente deresponsabilizzato e viene privato dell'autocontrollo, e le folle tese alla conservazione e orientabili da fattori esterni, e in particolar modo dal prestigio dei singoli individui all'interno della massa stessa.

[35] “Le bolle finanziarie sono come le epidemie”,Robert Shiller, Project Syndicate, 19 luglio 2013. Vedi anche sulla nuova bolla delle dott.com, “10 Ways This Tech Boom Isn’t At All Like 1999”, di Matt Rosoff.

[36] Espressione propria del gergo degli operatori di borsa italiana, usata per indicare la zona riservata al pubblico che assisteva allo svolgimento delle contrattazioni alle grida, finito per assumere il significato di folla, massa rappresentato da quell'insieme degli investitori privati, piccoli e medi, sostanzialmente sprovveduti, che cercano facili guadagni nei mercati, ma incontrano solo delusioni.

[37] Vedi, Richard Dawkins, ne “Il gene egoista”  (The Selfish Gene), 1976.

[38] "Il mercato pubblicitario italiano tramite Tv, Stampa, Radio, Internet Media e Sms (adv e contenuti pay di infotainment e voting) nel 2015 vale 7,4 miliardi di euro, in leggera crescita (+3%) rispetto al 2014. Di questo, l’Internet advertising (pubblicità su internet) ha raggiunto i 2,15 miliardi di euro (+11%), rafforzando così la sua posizione di secondo mezzo pubblicitario italiano con una quota del 29% (rispetto al 27% nel 2014), alle spalle della Televisione, che continua a valere il 49% (50% nel 2014) ma sempre davanti alla Stampa che scende al 17% (18% nel 2014) e alla Radio (stabile al 5%). Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano. Edizione  2015/2016.

[39] In particolare, l’opinione è un  tipo  di  pensiero  che  ha  dentro  di  sé  le  altre  due  dimensioni, quella  del  consenso e quella della condivisione, dunque, a ben vedere,  l’opinione non  è  solo  probabile  e  non  vera, ma  anche deve anche essere condivisa per diventare opinione pubblica. Le  forme  di  interazione  tra  media  ed  opinione  sono sostanzialmente l’ospitalità  e l’influenza.  Ospitalità significa essere  luogo  in  cui  si  forma  l’opinione  pubblica, mentre l’influenza  è  il modo  in  cui i media agiscono per orientarla. Sono, dunque, due le modalità  diverse e complementari del gestire il rapporto  opinione pubblica-media. I  media  non  solo  suggeriscono i temi  su  cui  esprimersi,  ma  contribuiscono  alla  formazione dell’opinione  pubblica  tramite i dibattiti. Tra i tanti testi vedasi,Adriano Zanacchi, Opinione pubblica, mass media, propaganda, LAS (Libreria Ateneo Salesiano), Roma, 2006.

[40] Per“gatekeeping” si intende l’insieme (o il meccanismo) dei “cancelli” (gates, in inglese) attraverso i quali filtra il processo dell’informazione e dei “guardiani” che hanno il potere di aprirli o chiuderli, cioè di far passare le notizie o di bloccarle e, anzitutto, di aprire il primo “cancello”, quello che trasforma un fatto in una notizia. Se questo primo “cancello” non si apre, il fatto non entra in quel gigantesco insieme di messaggi che leggiamo sui giornali o ascoltiamo o vediamo alla radio e alla televisione. Whithe, D.M. (1950), the gatekeeper: A case study in the selection of news, journalism quarterly.