A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

IL DIRITTO A NON SOFFRIRE:

LA SEDAZIONE PROFONDA E CONTINUA

Autore:  Dott.ssa Elisa Gentile

 

  1. Introduzione

“Sempre il diritto alla salute dovrebbe comprendere il diritto ad una morte senza dolore. Respingo la sofferenza come una crudeltà inutile, che cancella misericordia ed umanità”. Queste sono le parole con cui il filosofo Remo Bodei si esprime sulla morte di Marco Pannella, il leader dei Radicali venuto a mancare il 19 maggio dello scorso anno dopo una lunga lotta a due tumori. La sua vicenda ha richiamato l’attenzione su un argomento oggi molto discusso, quello della sedazione profonda e continua; Pannella ha infatti trascorso le sue ultime ore senza soffrire, riposando grazie ad un’infusione continua di farmaci che lo ha accompagnato alla morte.Qualche mese dopo, il 16 luglio 2016, il decreto del Tribunale di Cagliari sul Caso Piludu ha nuovamente riportato l’attenzione sul tema della sedazione e dell’interruzione dei trattamenti. Con tale decreto il giudice tutelare ha autorizzato il distacco del respiratore artificiale al signor Piluduprevia sedazione, imponendo così ai medici di agire secondo le direttive impartite dal malato pur in assenza di una legge.Altro caso, più recente, quello del signor Dino Bettamin, malato di SLA, morto lo scorso 13 febbraio dopo aver espresso il suo rifiuto alla nutrizione artificiale e dopo essere stato sottoposto per poco più di una settimana alla sedazione profonda, per la prima volta somministrata,in Italia, ad un malato di SLA.

La sedazione profonda e continua è una pratica rientrante nel campo delle cure palliative, che sono quei trattamenti - indispensabili in una società sempre più attenta al bene del malato - atti ad alleviare il dolore da questi patito durante la malattia, rendendo più sopportabile la convivenza con la stessa. Tale pratica è tuttavia percepita come qualcosa di diverso da una mera cura, rappresentando un trattamento non sempre facile da accettare, soprattutto dal punto di vista etico. Essa consiste nel somministrare ad un paziente terminale, malato di tumore nella maggior parte dei casi, dei farmaci (benzodiazepine, barbiturici, oppioidi) per farlo “addormentare” e sottrarlo quindi alle incredibili sofferenze, fisiche e psichiche, che l’ultima fase della sua vita porta con sé. In alcuni casi, infatti, non solo la malattia è incurabile (una malattia terminale, appunto), ma anche ilsintomo, che è la spia di quella malattia, non riesce ad essere alleviato in alcun modo, da nessun farmaco: si parla allora di sintomo ‘refrattario’. È questa situazione di “insopportabilità” del dolore, e quindi della vita stessa, che legittima la pratica della sedazione, vista come l’unico ed ultimo ristoro alle sofferenze del paziente.

Affrontare la tematica della sedazione profonda è ancora difficile in Italia, dove i vari progetti di legge sulle questioni di fine vita sono stati accantonati per lasciare spazio soltanto alla discussione sulla proposta di legge su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (relatrice Donata Lenzi). La stessa è stata, tuttavia,soggetta a continui rinvii, il che lascia intravedere una strada ancora abbastanza lunga prima che si giunga ad una organica legislazione in materia.

La tematica della sedazione è stataaffrontata,in Europa, da alcuni documenti che hanno tentato di far chiarezza sul tema. In Italia il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), dietro la spinta di alcuni parlamentari, ha pubblicato nel gennaio 2016 un documento, che tuttaviapresenta ancora delle lacune e si limita ad esprimere delle speranze per una futura attività legislativa sulle questioni di fine vita, in generale, e della sedazione profonda, nello specifico. In ambito europeo, da ricordare è il White Paper pubblicato dalla European Association for Palliative Care (EAPC) nel novembre 2015, che contiene delle prese di posizione relativamente all’eutanasia, al suicidio medicalmente assistito e alle cure palliative, con riferimenti anche alla pratica della sedazione palliativa e profonda. Infine, per quanto riguarda la situazione in Francia, sono da sottolineare l’esistenza di un Avis del giugno 2013 - documento redatto dal Comité consultatif National d’éthique (CCNE), che tratta le tematiche già riferite per gli altri due documenti – ma, soprattutto,di una legge sul fine vita,emanata in seguito all’approvazione, il 27 gennaio 2016, della proposta di legge “Dormir avant de mourir pour ne pas souffrir”. Tale legge riconosce, in Francia, il diritto di tutti i malati terminali ad essere sottoposti, dietro loro richiesta, ad una sedazione profonda e continua fino al decesso e rende vincolanti le direttive anticipate espresse dai pazienti(soprattutto relativamente al rifiuto dell’accanimento terapeutico), le quali devono essere iscritte su un registro nazionale, pur restando revocabili in ogni momento.

È interessante poi notare come i tre documenti del CNB, della EAPC e del CCNE presentino, accanto ad alcune significative differenze, dei tratti molto simili, espressione di un “sentire comune” su argomenti che toccano diverse realtà territoriali: l’esigenza è infatti la stessa, ossia quella di tutelare il paziente e garantire il rispetto dei suoi desideri e della sua dignità anche negli ultimi momenti della vita, esigenza che non muta da Paese a Paese.

Per comprendere i cambiamenti realizzatisi nell’approccio alle questioni di fine vita è necessario però, prima di tutto, ripercorrere le tappe fondamentali dell’evoluzione della giurisprudenza che, in alcune sentenze-guida degli ultimi decenni, ha riconosciuto, tanto in America quanto in Europa, il diritto a decidere come morire. Vanno anche messi in luce i percorsi parallelamente intrapresi dalle legislazioni dei vari Stati nella legittimazione di tale diritto. Necessario è inoltre analizzare in cosa consistano le cure palliative e la legge che in Italia le disciplina (Legge n°38/2010), inserendo, nell’ambito della stessa trattazione, la tematica della sedazione terminale/palliativa e profonda, ed i requisiti che la legittimano.

 

  1. Le questioni di fine vita

2.1 I provvedimenti di fine vita

Negli ultimi anni, in seguito ai notevoli progressi fatti dalla scienza e dalla tecnologia, un’attenzione sempre maggiore è stata rivolta alle modalità con cui garantire le migliori condizioni a coloro i quali si trovano nella fase finale della loro vita, poiché affetti da una malattia che non lascia grandi margini alla speranza. La preoccupazione, pertanto, è stata quella di assicurare il rispetto del “diritto alla salute”, declinandolo come il diritto a concludere la propria vita senza sofferenza ed in maniera conforme ai propri desideri: si parla così di eutanasia, suicidio assistito, rifiuto delle cure. Tali pratiche, per quanto diverse, sono inquadrate entro il comune profilo dei “provvedimenti di fine vita”, espressione sotto la quale vengono raccolte le varie modalità di soppressione della vita in diverse condizioni di malattia. Accanto a questi, rilevanza fondamentale rivestono oggi le cure palliative, volte a garantire al malato un sollievo dalle sofferenze patite nella fase finale della vita.

Partendo dall’eutanasia, il documento della Congregazione per la dottrina della fede del 1980 la definiva come “un’azione o un’omissione che, di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare il dolore”. Di eutanasia esistono varie classificazioni, che individuano innanzitutto la differenza tra eutanasia attiva e passiva, definite anche diretta ed indiretta, a seconda che il decesso sia provocato dalla somministrazione di farmaci che inducono la morte od invece dall'interruzione o dall'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell'individuo; oggi tuttavia si preferisce distinguerla in volontaria, quando l’atto è compiuto con il consenso di colui che la richiede, ed involontaria,quando manca tale consenso. Nel nostro ordinamento le condotte eutanasiche, sia attive che passive, rientrano nei delitti contro la vita e le persone, e sono punite dagli Artt. 575-577 del codice penale se manca il consenso della persona (omicidio volontario), e dall’Art. 579 nel caso di condotte eutanasiche attive poste in atto con il consenso della vittima (omicidio del consenziente).

Insieme all’eutanasia, ugualmente punito dal nostro ordinamento è il suicidio medicalmente assistito (SMA), che si ha quando il paziente, giunto consapevolmente alla fase terminale, chiede al medico la fornitura di mezzi atti a provocare in modo indolore la propria morte: in questo caso, il medico si limita a preparare tutto ciò che occorre per la morte indotta del paziente, ma è quest’ultimo che compie l’atto ultimo e diretto che provoca la morte. Anche questa pratica è prevista dal nostro codicepenale come un reato: quello di istigazione o aiuto al suicidio (Art.580 c.p.).

Accanto ad eutanasia e suicidio assistito vi è un’altra ipotesi, inquadrabile nell’ambito della cosiddetta “eutanasia passiva od omissiva”: il rifiuto delle cure. In questo caso il paziente si lascia morire, autodeterminandosi nel senso di non voler più assumere liquidi ed alimenti e sottraendosi volontariamente alle terapie “salvavita” (ad esempio, l’applicazione di un respiratore artificiale in caso di insufficienza respiratoria, oppure la nutrizione parenterale od enterale con sonda naso-gastrica o cutaneo-duodenale). La Costituzione italiana non contiene una menzione diretta del “rifiuto di cure”, ma l’Art. 32, al secondo comma, afferma che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.Se combiniamo il disposto dell’Art. 32 Cost. con quello dell’Art. 13 Cost., secondo cui “la libertà personale è inviolabile”, sembra potersi affermare un diritto alla libertà di disporre del proprio corpo. In seguito a tale affermazione, parte della dottrina italiana ha ritenuto non punibile la conseguenza mortale derivata dalla non attivazione o dalla sospensione di cure sul malato consenziente[1]; possiamo quindi affermare che il principio ‘voluntas aegroti suprema lex’è stato fatto prevalere sul ‘salus aegroti suprema lex’. Nel nostro Paese manca ancora, tuttavia, una legge che regoli i rapporti assistenziali tra medico e paziente, sul modello di alcune legislazioni straniere (Spagna, Francia, Finlandia).

Altro concetto da tener presente nell’affrontare le questioni di fine vita è quello di futilità delle terapie: tale concetto nacque negli anni ’80-’90 negli Stati Uniti d’America, e si basa sul fatto che, in taluni casi, quando i trattamenti condotti sul malato non sono più in grado di arrestare o far regredire il decorso della malattia, il medico curante può astenersi dal somministrare tali cure, scavalcando quell’obbligo di garanzia che su di lui incombe, poiché queste si rivelerebbero inutili. La problematica della futilità si è trasformata poi nel concetto del “migliore interesse del paziente”, e le indicazioni da seguire in tal caso sono state due: a)sospendere i trattamenti curativi, mantenendo però i sostegni di vita indispensabili e fruire al contempo di trattamenti palliativi, oppure b) sospendere i trattamenti curativi ed anche i trattamenti di sostegno vitale, dando inizio alla cosiddetta sedazione terminale.

Ecco che la pratica della sedazione si ricollega alle questioni di fine vita, nella fase avanzata e terminale della malattia. Tuttavia, nel valutare il“miglior interesse” del paziente si deve sempre tener presente la relatività di una tale espressione, ed evitare di cadere nello slippery slope (pendio scivoloso) che potrebbe portare alla diffusione dell’eutanasia su persona incompetente.

Diverso ancora è il concetto deldo not resuscitate (DNR), ossia la decisione pregiudiziale, presa dal medico, di non trattare il paziente che venga a trovarsi in particolari condizioni di gravità clinica suscettibili di evoluzione acuta e fatale (ad esempio, arresto cardiaco o respiratorio), di fronte alle quali non si ritiene giustificato né opportuno tentare la rianimazione. Ovviamente, in tal caso, il problema bioetico sta nello stabilire se il paziente sia informato o meno su tale decisione del medico: per il paziente cosciente vige la regola del consenso informato, per il paziente in stato di incoscienza invece si avrà una valutazione più delicata a seconda dei casi.

Con riferimento a tutte queste prassi che provocano la fine della vita resta comunque il fatto che “la distinzione fra la logica che presiede all’arresto delle cure e all’atto eutanasico attivo può divenire molto sfumata[2].

 

2.2 Da un lato all’altro dell’Atlantico, tra legislazioni e pronunce delle Corti

Nel corso degli ultimi decenni si è avuta una forte evoluzione delle discipline giuridiche volte a consentire la realizzazione dei desideri del malato terminale, nonostante rimanga innegabile la notevole differenza che ancora perdura tra le varie legislazioni, pur tutte inserite nel solco di una tendenza che aspira a garantire spazi sempre maggiori alla libertà di scegliere la propria vita, e quindi anche di optare per la propria morte.Un importante contributo a tale evoluzione è stato inoltre dato dalle pronunce delle Corti che, tanto in America quanto in Europa, hanno spianato la via all’affermazione e, in seguito,alla legittimazione più o meno diffusa, delle pratiche dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, fondamentale è la sentenza sul caso Cruzan[3], in occasione della quale la Suprema Corte sancì il diritto, poi divenuto federale, all’interruzione delle cure ed in particolare alla sospensione dei mezzi di sostegno vitale (primi fra tutti l’idratazione e l’alimentazione artificiali). Affermava la Corte che il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari (anche life sustaining) è ammesso e va anzi tutelato sulla base del XIV emendamento della Costituzione americana, che protegge il “liberty interest” dell’individuo, riconoscendogli il diritto di essere lasciato libero da interferenze dello Stato nelle scelte di carattere personale: la scelta sull’esprimere o rifiutare il consenso ad un trattamento è, infatti, “deeply personal”. Nel caso degli incapaci, inoltre, di fronte all’eventuale intervento di surrogate decision makers, la personalità della scelta va tutelata in modo ancora più forte, imponendo elevati standard di prova della volontà del paziente: pertanto, in mancanza di un quadro probatorio solido circa la volontà del paziente, non è possibile dare luogo ad un giudizio sostitutivo dei tutori.

Altra sentenza fondamentale, pronunciata anch’essa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, è quella sul caso Glucksberg[4], che comportò una battuta d’arresto rispetto a ciò che si era acquisito con la sentenza Cruzan. In tale sentenza, la Corte negò che il suicidio assistito fosse un “fundamental liberty interest” rientrante sotto la protezione del XIV emendamento. Se è vero, infatti, che il dovere del medico di curare trova una soglia insuperabile nel corpo del paziente, che non può essere violato senza il suo consenso (si configurerebbe, altrimenti, una bodily invasion), non si può affermare che tutte le decisioni di fine vita abbiano la medesima tutela costituzionale: nella decisione si affermava infatti che “la nostra assunzione dell’esistenza del diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non si fondava sulla premessa dell’esistenza di un diritto generale ed astratto ad accelerare la morte, ma del diritto, basato sulla tradizione, all’integrità del proprio corpo e a non subire interventi invasivi indesiderati[5]. Si affermò quindi che il divieto di suicidio assistito era perfettamente razionale ed idoneo a tutelare gli interessi più alti della Nazione, come la tutela della vita dei suoi cittadini e la protezione dei deboli e malati. Il timore principale, espresso chiaramente dalla Corte, era indubbiamente quello di spianare il terreno all’eutanasia volontaria ed involontaria, qualora si fosse configurato quello al suicidio medicalmente assistito come un diritto costituzionalmente protetto.

In tempi più recenti si è però avuto un mutamento del sentire comune nei confronti del suicidio assistito, come testimoniatoda una sentenza del New Mexico, pronunciata nel 2013, in occasione della quale il giudice Nash ha sancito che “this Court cannot envision a right more fundamental, more private or more integral to the liberty, safety and happiness of a New Mexican than the right of a competent, terminally ill patient to choose aid in dying[6], legittimando così il diritto all’assistenza al suicidio.

Come negli USA, anche in Canada un giudizio espresso dalla Corte della British Columbia nel 2012[7] portò i giudici ad affermare che, se da un lato non si può rispettare la vita dando la morte, d’altra parte non si può nemmeno ignorare che il prolungamento della vita spesso determina frustrazioni e sofferenze incompatibili con la tutela della persona. La Corte Suprema del Canada, nella stessa sentenza del 2012, ha inoltre affermato che il codice penale non ha l’autorità di proibire il suicidio assistito ad una persona maggiorenne capace che lo richieda espressamente, trovandosi in condizioni mediche di dolore irrimediabile che comporti una persistente sofferenza, intollerabile per l’individuo. Con un’ulteriore pronuncia sul caso[8], nel 2015 la Corte ha infine stabilito che i pazienti in condizioni di disperata sofferenza (e non quindi soltanto i pazienti terminali) godono di un diritto costituzionalmente garantito al suicidio assistito da parte di un medico.

Dall’altro lato dell’Atlantico, la prospettiva è in parte diversa, presentando l’Europa un’apertura all’eutanasia (sebbene limitata ad alcuni Paesi) moltosuperiore rispetto agli Stati americani. Già nel 1991 un dibattito al Parlamento europeo sull’eutanasia agì da stimolo per lo sviluppo di una discussione sul tema a livello europeo, ed in seguito la European Association for Palliative Care (EAPC) produsse un primo rapporto[9], per chiarire quale posizione l’Associazione stessa dovesse assumere nei riguardi dell’eutanasia. Un secondo documento fu pubblicato nel 2003[10], e successivamente si ebbero notevoli sviluppi nel campo delle cure palliative, accanto ad un’accesa discussione relativa ad eutanasia e suicidio assistito. L’eutanasia è stata legalizzata in Olanda(2001), Belgio(2002) e Lussemburgo (2009), mentre in Svizzera la legislazione ammette la pratica del suicidio assistito, tanto per i cittadini svizzeri quanto per gli stranieri che lì si recano proprio per portare a termine le loro vite (compreso un numero sempre crescente di nostri connazionali)[11]. Tuttavia, anche altri Stati europei mostrano aperture sempre maggiori alla tematica dell’assistenza al malato terminale, se non nelle forme di una legalizzazione dell’eutanasia in sé, quanto meno sotto forma di proposte volte ad ammettere un generalizzato diritto all’assistenza palliativa, e, più nello specifico, un diritto alla sedazione profonda e continua fino al decesso: esempio di ciò, la legge recentemente approvata in Francia (vedi infra).

Numerose sono poi state le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Prima fra tutte la sentenza sul caso Pretty[12], donna inglese affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che si vide negare la possibilità di essere aiutata a morire dal marito, dal momento che l’assistenza al suicidio non era contemplata dal diritto inglese. La ricorrente lamentò allora una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare degli Artt. 2, 3, 8, 9 e 14[13]: la Corte negò però l’esistenza di una tale violazione e, in particolare, con riferimento all’Art. 2 CEDU affermò che il diritto alla vita da esso tutelato non avrebbe potuto conferire il diritto diametralmente opposto, ossia un “right to die”, né per mano di un terzo né con l’assistenza della pubblica autorità. Per quanto riguardava poi il diritto della signora Pretty al rispetto della vita privata secondo l'Art. 8 CEDU, la Corte riteneva che un'interferenza in questo caso avrebbe potuto essere giustificata come "necessaria in una società democratica" per il rispetto dei diritti altrui. Pur negando le richieste della ricorrente, la sentenza sul caso Pretty ha avuto il merito enorme di affermare che, anche se un trattamento appare indispensabile ad evitare un esito fatale, tuttavia la sua imposizione, senza il consenso del paziente, viola la ‘physical integrity’ protetta dall’Art. 8, co.1 CEDU.

Una seconda sentenza, quella sul caso Gross[14], tocca poi una tematica più delicata e controversa, quella del cosiddetto ‘distress esistenziale o psicologico’.La Corte EDU, ravvisando la presenza nell’animo della signora Gross di un “considerable degree of anguish”, sancì che, pur in mancanza di una patologia, una persona può nondimeno essere preoccupata di essere costretta, con l’avanzare dell’età, a vivere in uno stato di prostrazione fisica e mentale, contrastante con l’idea di dignità umana[15]. La particolarità del caso sta nelle remore ad inserire una situazione tale tra le giustificazioni al ricorso alla pratica della sedazione, pur non potendo essere il distress psicologico considerato meno grave di una sofferenza fisica.

Infine, non può non essere citata la più recente sentenza sul caso Lambert[16], particolarmente insidiosa data l’impossibilità di ricostruire la volontà del paziente, in stato vegetativo cronico a seguito di un incidente automobilistico, unita all’opposizione di alcuni familiari alla sospensione di idratazione e alimentazione artificiali, ritenute invece ormai futili e sproporzionate dai medici.Tale sentenza riconosce grande rilevanza al decorso del tempo (erano trascorsi cinque anni dall’evento traumatico) nella valutazione dell’accanimento terapeutico e della ‘obstination déraisonnable’.

 

2.3 Proposte di legge in discussione

Per quanto riguarda il nostro Paese, in Italia è ancora difficile prospettare un’approvazione a breve termine di una legislazione sulle questioni di fine vita. Al momento è in discussione in Parlamento soltanto la recente proposta di legge su “Norme inmateria di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (relatrice la deputata Lenzi), che ha riunito in sé 16 precedenti proposte di legge sul tema.Tale proposta mira ad inserire nel panorama normativo italiano una legge sul testamento biologico, o ‘biotestamento’, ed è composta da sei articoli, che percorrono le tematiche del consenso informato, della relazione assistenziale tra medico e paziente, ma soprattutto mirano ad affermare che la scelta espressa dal paziente nel suo testamento biologico sia vincolante per il medico. L’Art. 3 di tale proposta di legge prevede la possibilità per il malato di rinunciare, attraverso disposizioni anticipate, ad idratazione e nutrizione artificiali, ma non anche l’obbligo del medico di praticare la sedazione profonda e continua su richiesta del paziente.

 

2.4 Riferimenti costituzionali

Nell’affrontare le questioni di fine vita, non si può prescindere da un’analisi del disposto della nostra Costituzione alla luce di tali tematiche. Gli Artt. 2 e 3 Cost. affermano rispettivamente l’inviolabilità dei diritti dell’uomo ed il principio di uguaglianza, formale e sostanziale. Alla luce di tali principi si può sostenere che la salute non può essere vista come un bene in sé, ma deve essere tutelata di volta in volta come bene del singolo individuo che ne è titolare[17]: non ha senso perciò elaborare una versione assoluta di cosa la salute rappresenti e di come debba articolarsi la sua tutela, perché tale percezione varia inevitabilmente al variare del soggetto interessato. Si richiama poi l’Art. 13 Cost. sulla tutela ed inviolabilità della libertà personale, che è il fondamento di ogni Stato di diritto e la principale garanzia dell’intangibilità della persona, ad eccezione ovviamente dei casi indicati dalla legge (vedi il diritto penale ed i TSO). Il rispetto dell’intangibilità del corpo – tutelata nel diritto americano, in maniera diversa e più intensa rispetto al nostro reato di lesioni personali, tramite il reato di ‘battery’ - comporta serie difficoltà nel configurare un dovere di curarsi: da qui sorge quindi l’opposto diritto a rifiutare le cure, che ricomprende anche quelle salva-vita e gli atti di sostegno vitale, sia da parte del soggetto cosciente che incosciente (in questo secondo caso tramite il testamento biologico). Bisogna evitare però di mettere l’Art. 13 al servizio dell’Art. 32 Cost. il quale, sancendo la tutela della salute, potrebbe essere interpretato in maniera distorta qualora il 2° comma venisse letto in subordine al 1°: il comma 1, infatti, sottolinea il valore sociale della salute, che viene tutelata come “interesse della collettività”, mentre il comma 2 ne mette in luce la valenza individuale. Si deve evitare pertanto di guardare alla dimensione sociale della salute come al valore supremo e ci si deve mantenere lontani da una gestione pubblica della stessa, che inevitabilmente metterebbe gli interessi dei singoli in secondo piano, portando alla configurazione di un vero e proprio dovere di curarsi. Ciò violerebbe infatti il principio di libertà personale affermato dall’Art. 13 Cost. I limiti dell’autodeterminazione della persona sono poi tracciati dal codice civile che, all’Art.5, vieta gli atti di disposizione del proprio corpo[18]: ciò a riprova del fatto che la tutela della propria inviolabilità personale è cosa diversa dalla pretesa di soddisfare ogni volontà espressa sulla propria persona. Ciò comporterebbe la configurazione di un diritto a morire che, come noto, non è ammissibile nel nostro ordinamento.

 

  1. Le cure palliative e la pratica della sedazione terminale/palliativa

In Italia l’accesso alle cure palliative nella fase finale della vita è stato garantito dalla Legge 38/2010 (vedi infra), che ha comportato un importante passo in avanti nella tutela della salute del paziente. Le cure palliative sono dei trattamenti non idonei a far guarire il malato né a far scomparire la sua malattia, ma di grande aiuto nella riduzione del dolore e nel miglioramento della qualità dell’ultima fase della vita. La definizione di cure palliative data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è quella di “un approccio che migliora la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie di fronte ai problemi associati alle malattie che mettono a rischio la vita, attraverso la prevenzione e il ristoro dalle sofferenze mediante un’identificazione precoce e un’impeccabile valutazione e trattamento del dolore e altri problemi fisici, psicosociali e spirituali[19]. Secondo l’OMS, tale approccio sarebbe applicabile già nel corso della malattia, senza che sia necessario attenderne le fasi terminali, unito ai trattamenti che mirano a prolungare la vita, come la chemioterapia o la radioterapia. Fondamentale è la consapevolezza che, avendo il tumore raggiunto uno stadio avanzato (si tratta infatti prevalentemente di casi oncologici), non si potrà giungere alla guarigione, ma soltanto alla riduzione del dolore. Soprattutto per i pazienti anziani affetti da tumore, le cure palliative possono essere la scelta primaria, unica e razionale di terapia praticabile[20]. Per questo motivo le cure palliative vengono offerte prevalentemente negli Hospice, alcuni dei quali sono diventati dei veri e propri centri specializzati e residenziali per tale tipo di cure; se ne auspica tuttavia una diffusione presso il domicilio(oggi piuttosto rara) per consentire al malato di vivere in maniera più umana e dignitosa gli ultimi momenti della sua vita. Accanto alla scarsa diffusione dell’assistenza domiciliare, un altro problema è quello delle notevoli disuguaglianze cui ancora oggi si assiste nell’accesso alle cure palliative, solitamente riservato ai malati di cancro riceventi specifici trattamenti in sperimentazione grazie alle proprie risorse finanziarie, a discapito dei pazienti di basso livello socio-economico, addirittura molto spesso ignari delle possibilità offerte dalla medicina palliativa.

 

3.1 La sedazione terminale/palliativa

Una pratica di grande rilievo nel campo delle cure palliative è la cosiddetta ‘Sedazione terminale’ (ST), rispetto alla quale si rende come prima cosa necessario sottolineare il rapporto di somiglianza/differenza con l’eutanasia. Secondo la definizione della European Association for Palliative Care (EAPC) “nella sedazione terminale l’intenzione è di alleviare una sofferenza intollerabile, la procedura è quella di usare un sedativo per il controllo dei sintomi, ed il risultato positivo è il sollievo dal dolore. Nell’eutanasia l’intenzione è di uccidere il paziente, la procedura è quella di somministrare un farmaco letale ed il risultato positivo è la morte immediata[21]. La differenza è evidente poiché diversi sono quindi l’intenzione, i mezzi utilizzati ed il criterio di successo. Anche la sedazione terminale viene comunque ricompresa tra le EOLDs (End Of Life Decisions), definite come “tutte le decisioni prese dai medici concernenti corsi di azione intesi ad affrettare la fine della vita del paziente, o corsi di azione a proposito dei quali il medico tiene conto della possibilità che affrettino la fine della vita[22]. Tuttavia, permangono anche in questo campo dei contrasti tra autori che accostano tale pratica a quella dell’eutanasia - non potendocisi basare solo sulla diversa intenzione che sorregge le due per sancirne una effettiva differenza di contenuti né, tantomeno, di conseguenze - ed autori che, invece, sottolineando l’appartenenza della pratica della sedazione terminale al campo delle cure palliative, ne affermano vigorosamente la distinzione da eutanasia e suicidio assistito. Ciò sarebbe confermato dalla stessa OMS, secondo cui “le cure palliative non accelerano né pospongono la morte, ma si pongono come unico scopo l’alleviamento delle sofferenze dei pazienti che ad esse si sottopongono”. Lo stesso uso dell’aggettivo “terminale” per connotare la sedazione ha poi prestato il fianco a varie critiche da parte di chi lo interpreta come un richiamo all’inevitabile fine, ormai prossima, della vita. Pertanto, è oggi maggiormente utilizzata l’espressione di ‘Sedazione palliativa’ (SP): con tale termine si intende la “riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla completa perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta quindi refrattario[23]. All’interno di tale definizione rientra poi quella della ‘Sedazione palliativa degli ultimi giorni’ (SILD: palliative sedation in the last days), che si ha quando la morte è attesa nell’arco di ore o giorni.

La sedazione presenta non pochi problemi: affermano oggi alcuni studiosi[24] che, se appare ovvio non somministrare, nel corso della sedazione, terapie invasive di sostegno vitale, diversa è la considerazione da farsi con riguardo ad idratazione e nutrizione artificiali, che possono essere proseguite pure nei confronti del paziente sedato. La necessità della nutrizione artificiale deriva dal fatto che, dal 40 all’80% dei casi, i pazienti affetti da malattia neoplastica presentano malnutrizione, sia per l’effetto diretto del tumore che per gli effetti indiretti esercitati dalle terapie (chirurgiche, radiologiche, etc) cui sono sottoposti[25]. Per questo motivo si procede all’alimentazione per via parenterale (somministrazione di soluzioni per via venosa) o per via enterale (tramite sondino naso-gastrico o sondino gastro-duodenale), che consente di riequilibrare o contenere la perdita di peso. Tuttavia, può giungere il momento in cui tale alimentazione artificiale si configura come “sproporzionata” allo stadio clinico del paziente, e viene sospesa. Questo è proprio il problema da affrontare nel caso in cui si proceda ad una sedazione: continuare a nutrire il paziente o sospendere tale trattamento? Anche con riguardo all’idratazione, che deve essere assicurata al malato anch’essa per via enterale o parenterale, si pone la medesima problematica. Tali trattamenti sono stati considerati, dalla Corte di Strasburgo, coerenti all’Art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 (“Diritto alla vita”), ma potrebbero anche cadere sotto il profilo dell’Art. 3 (“Divieto di tortura”), qualora si spingessero oltre il “migliore interesse del paziente” o qualora si insistesse oltre misura nel mantenerli. La decisione di limitare o sospendere i trattamenti è perciò una decisione distinta da quella di iniziare la sedazione palliativa: il paziente che voglia sottoporsi alla SP non è infatti tenuto a sospendere le terapie di sostegno vitale.

 

3.2 I requisiti della sedazione terminale/palliativa

Si fa ricorso alla sedazione per il controllo dei sintomi refrattari, ossia incontrollabili (specialmente dispnea e delirium) nelle fasi terminali delle malattie neoplastiche (tumori). Tale pratica può articolarsi in vari modi: bisogna infatti sottolineare la differenza tra una sedazione ‘occasionale’ (per il tempo necessario ad effettuare una manovra invasiva), una sedazione ‘intermittente’ o ‘continua’ (a seconda che si consentano o meno al malato momenti di risveglio) ed una sedazione ‘superficiale’ o ‘profonda’ (a seconda del livello di sedazione). È infatti molto importante che la sedazione venga applicata “proporzionalmente”, riducendo il livello di coscienza quanto necessario per alleviare i sintomi, e scegliendo con sapienza la combinazione ed il dosaggio dei farmaci, nonché la durata della somministrazione del farmaco stesso.

Solitamente è bene iniziare con una sedazione leggera intermittente e, solo quando questa risulti inefficace, procedere con una sedazione continua-profonda[26]. I requisiti per poter procedere alla sedazione nei pazienti terminali sono:

  • la presenza di una malattia in fase terminale, giunta ormai agli ultimi giorni di vita del paziente;

b) sintomi refrattari al trattamento o dolore persistente;

c) il consenso informato della persona, attuale o pregresso[27];

d) l’intenzione di alleviare i sintomi mediante la somministrazione di farmaci sedativi;

e) la proporzionale riduzione del livello di coscienza (la sedazione è infatti uno stato di sonno più o meno profondo, indotto e mantenuto farmacologicamente)[28].

Deve pertanto esistere un sintomo refrattario, che va distinto dal sintomo “difficile” ed è definito come “un sintomo resistente a stimoli orientati al cambiamento, incontrollabile tramite altri interventi terapeutici” e che perciò non lascia altro rimedio che quello di ricorrere alla sedazione palliativa. I sintomi refrattari sono in primo luogo dispnea e delirium, ma anche dolore, vomito incoercibile, stato di male epilettico, sofferenza totale[29]. Con riferimento invece al primo requisito (malattia in fase terminale, che lascia al paziente pochi giorni di vita) ci si interroga se la sedazione palliativa debba ritenersi valida appunto solo nel fine-vita, o se invece non debba essere estesa anche ai pazienti terminali con una aspettativa di vita di alcuni mesi: oggi, infatti, la durata media della SP è di 2.8 giorni, dato che essa viene praticata soltanto negli ultimi giorni di vita del paziente. A tal riguardo se, da un lato, non sembra ragionevole riservare la possibilità di alleviare le proprie sofferenze solo ai pazienti morenti, d’altro canto non pochi sono i dubbi circa una ammissibilità di procedere alla sedazione “indiscriminatamente”: a che stadio della malattia essa diverrebbe possibile? Ed ancora, perché dovrebbe limitarsi ai soli pazienti terminali e non anche a tutti coloro i quali soffrono di sofferenze giudicate intollerabili?[30]

 

3.3 La legge 38/2010 e gli altri riferimenti normativi

La dottrina giuridica si è più volte chiesta come inquadrare, da un punto di vista penalistico, la pratica della sedazione terminale, definita da alcuni ‘eutanasia indiretta’. Per anni si è fatto ricorso alla scriminante di cui all’Art. 51 c.p.[31] per legittimare l’operato del medico ed evitarne quindi la condanna. Un ulteriore sostegno alla liceità della terapia del dolore venne a seguito dell’emanazione della Legge 12/2001, che modificava il T.U. in materia di stupefacenti, e sosteneva che, per escludere l’illiceità della condotta del medico, si doveva sempre tener presente il bilanciamento tra la riduzione dell’aspettativa di vita (effetto collaterale) ed il recupero della qualità di vita, nel senso di un alleviamento delle sofferenze.

La legge che oggi individua il quadro normativo sulle cure palliative e la terapia del dolore è la Legge 38/2010“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”[32], il cui disposto garantisce per la prima volta l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore da parte del malato, legittimando l’operato, tra gli altri, dei numerosi Hospice presenti sul territorio italiano. Vengono infatti da essa istituite tre diverse reti assistenziali: la prima si occupa della terapia del dolore negli ambulatori dei medici di medicina generale (MMG); la seconda (di cui fanno parte gli Hospice) assicura la fornitura delle cure palliative ai malati terminali; l’ultima (formata da Centri ed Ambulatori di Terapia del Dolore) provvede all’assistenza dei pazienti con dolore cronico. Si prevede inoltre una semplificazione nella prescrizione dei medicinali oppioidi e, per la prima volta in Europa, viene affermato il diritto anche per i bambini di accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore. È altresì previsto che il Ministro della salute, entro il 31 dicembre di ogni anno, presenti una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 38/2010 (Art. 11). A partire dalle indicazioni contenute nella L. 38/2010, infatti, ciascuna Regione ha provveduto (sebbene parzialmente ed in maniera non uniforme sull’intero territorio italiano) all’attivazione di una rete locale di cure palliative, costruita secondo i criteri individuati dall’Accordo sancito in sede di Conferenza Stato-Regioni il 16 dicembre 2010, che definisce specifiche linee guida per la promozione, lo sviluppo ed il coordinamento degli interventi regionali nell’ambito della rete di cure palliative e della rete di terapia del dolore. La grande lacuna di tale legge sta, però, nel fatto che essa non ha preso posizione riguardo alla tematica della sedazione profonda, lasciando senza risposta i dubbi, soprattutto etici, che circondano tale pratica[33].

 

3.4 Le situazioni di distress esistenziale o psicologico

Accanto ai sintomi refrattari ed al dolore intollerabile, esistono altri casi in cui la richiesta di sedazione è legata alla sofferenza psichica nel corso di una malattia in fase terminale. Questa condizione viene definita ‘existential or psychological distress’, che il documento della Società Italiana di Cure Palliative (SICP)[34] definisce come: “Condizione d’angoscia, panico, ansia, terrore, agitazione, con caratteristica persistenza ed intollerabilità del malato per il proprio vissuto, con perdita del senso della vita e della morte, sensazione di dipendenza, ansia, panico, paura della morte, desiderio di controllare la propria morte, senso di abbandono”. Tale condizione esige uno studio approfondito, data la particolare delicatezza richiesta nel dialogare con problemi non fisici ma psicologici: si ammette infatti che, generalmente, la sofferenza psicologica del malato merita di essere considerata su un piano di parità con la sofferenza fisica della fase terminale e, quindi, se refrattaria ai trattamenti offerti al paziente (sostegno psicologico e spirituale, ansiolitici, antidepressivi, neurolettici), può costituire un’indicazione alla ST[35]. In una tale situazione è pertanto necessario il coinvolgimento e l’intervento di operatori appartenenti a diversi ambiti e l’approccio a tali sintomi con tutte le risorse disponibili.

Interessanti sono, a tal riguardo, i risultati di uno studio di Faisinger[36], dal quale è emersa una forte discrepanza nel ricorso alla sedazione per distress esistenziale in un centro appartenente alla cultura mediterranea rispetto ai centri dislocati altrove: si rileva infatti la tendenza, all’interno della cultura mediterranea, a fornire al paziente informazioni sulla malattia limitate e tardive.Il soggetto quindi, rendendosi conto dell’effettiva gravità della sua condizione soltanto in una fase molto avanzata della malattia, non avrebbe la possibilità di elaborare la sua sofferenza, ma si troverebbe al contrario travolto da un inaspettato peso troppo tardi, sviluppando così un distress crescente e poco elaborato nel tempo. Non a caso Cicely Saunders, la donna che negli anni ’50 pose molti dei principi fondamentali su cui oggi si basa il sistema degli Hospice, definisce tale situazione di sofferenza fisica ed esistenziale un “dolore totale”. Proprio per evitare situazioni come quella evidenziata dallo studio di Faisinger, si richiede oggi una efficace educazione degli operatori sanitari affinché sviluppino le abilità per condurre un onesto dialogo sulla morte fin dall’inizio, aiutando il paziente a ridare significato al proprio vissuto, con un approccio non meramente farmacologico ma, prima ancora, umano. È quello che Cochinov ha definito “la terapia della dignità[37].

 

3.5 Raccomandazioni della SICP sulla sedazione terminale/palliativa

La Società Italiana di Cure Palliative (SICP) ha redatto, nell’ottobre 2007, un documento contenente le linee-guida da seguire nella pratica della sedazione, curate dal Gruppo di studio su cultura ed etica al termine della vita[38]. Innanzitutto, la decisione di iniziare una ST/SP viene presa al termine di un processo decisionale che coinvolge l’équipe curante, il malato (se cosciente) ed i suoi familiari e cari. Fondamentali sono quindi la condivisione delle decisioni e la chiarificazione delle responsabilità, per ridurre al minimo dubbi, incomprensioni, attriti e conflitti. È da sottolineare, tuttavia, che tale coinvolgimento decisionale non comporta un’assunzione di responsabilità per i familiari: la decisione di ricorrere alla pratica della sedazione è infatti una decisione terapeutica, di competenza esclusivamente dei sanitari, che, così facendo, se ne assumono le relative responsabilità. Resta fermo il fatto che, nel caso di soggetto cosciente, vale il criterio del consenso informato; se il soggetto si trova invece nell’incapacità di prender parte alle decisioni, o non vuole farlo, suppliranno le direttive o dichiarazioni anticipate, il giudizio sostitutivo o, in ultima ratio, il criterio del miglior interesse del malato[39].

La SICP ribadisce poi la differenza tra sedazione terminale ed eutanasia: a parte il riferimento a diversità di intenzione, tipo di farmaci, dosaggio e risultato finale auspicato, viene qui posto l’accento sul diverso approccio dell’équipe medica nei confronti del paziente da sottoporre a sedazione rispetto a quello cui praticare l’eutanasia.L’eutanasia ed il suicidio medicalmente assistito sono infatti tecnicamente molto più “semplici e veloci”, mentre la pratica della ST è tecnicamente complessa, richiedendo valutazioni particolari ed una vicinanza prolungata con il paziente, aggiustamenti terapeutici ripetuti ed un ingente supporto morale e materiale al malato, nonché alla sua famiglia[40]. La morte, infatti, non giunge immediatamente come nel suicidio assistito, ma in un breve arco di tempo, è una “morte preparata”[41]. Ecco perché, sotto un profilo etico, la ST è un trattamento non soltanto lecito, ma addirittura doveroso, nel rispetto dei principi di autonomia, beneficialità e non maleficialità: anche se con essa si realizzasse un’anticipazione della morte, non si intaccherebbe l’eticità intrinseca a tale pratica, determinata dall’intenzione di migliorare il benessere del malato e dal rispetto della sua autonomia decisionale.

 

3.6 La sedazione profonda

La sedazione profonda, detta anche sedazione terminale no-stop[42], è la pratica posta in essere nei momenti finali della vita del paziente, destinata a protrarsi fino al sopraggiungere della morte per arresto cardiaco-respiratorio. Essa è stata giudicata da alcuni autori più discutibile rispetto alle stesse pratiche di eutanasia diretta, per l’ambiguità che la caratterizza: da un lato si persegue l’esclusivo intento di abolire il dolore (effetto terapeutico della sedazione), ma d’altra parte si accelera, secondo alcuni, la morte del paziente. L’esecuzione della sedazione profonda, che determina la perdita definitiva dello stato di coscienza del paziente, richiede inoltre che il medico si faccia carico del sostegno delle funzioni respiratorie e cardiocircolatorie, poiché, in assenza di tale sostegno, la sedazione diverrebbe inevitabilmente concausa di morte(perché essa sia considerata una pratica lecita, la morte deve infatti essere provocata dall’evoluzione della malattia).

La differenza con la sedazione palliativa/terminale sta nel fatto che nella sedazione profonda la somministrazione di barbiturici, oppioidi e benzodiazepine è volta non ad attenuare, ma ad abolire del tutto la sofferenza, e ciò può ottenersi, secondo gli esperti, solo quando si realizza la perdita della coscienza del malato: si continua pertanto a mantenere il paziente incosciente fino a che sopravviene la morte. La sedazione profonda viene quindi vista come l’ultimo gesto professionale che spetta al medico, quando ogni altra misura presa per ridurre il dolore ha fallito[43]. Tuttavia, da più parti si sostiene la finalità eutanasica della pratica, intesa comunque come accelerazione di un processo ormai irreversibile, e volta al solo scopo di accompagnare il malato alla morte.

Uno dei problemi etici posti da tale pratica consiste poi nel fatto che, il più delle volte, si arriva alla decisione di procedere alla sedazione profonda senza averne preventivamente informato il paziente: ciò si verifica, ad esempio, quando questi sia già entrato nella fase agonica e non abbia più la capacità di partecipare alla decisione a causa della perdita di coscienza, oppure nel caso in cui i familiari o la stessa équipe medica abbiano preferito non avvisare il paziente dell’aggravarsi delle sue condizioni, preludio dell’agonia. Non può negarsi, in ogni caso, come il procedere ad una tale pratica senza il consenso del paziente sollevi numerosi dubbi circa l’ammissibilità della stessa, che, sebbene intrapresa per il bene del malato, è nondimeno realizzata per “scortarlo” alla morte.

 

  1. Come “leggere” la sedazione profonda?

Aspetto fondamentale delle cure palliative è la pratica che consente al malato terminale di trascorrere gli ultimi giorni, o le ultime ore, della sua vita, in uno stato di incoscienza indotto da una infusione continua di farmaci, che lo conduce alla morte senza che egli ne abbia percezione: la sedazione profonda e continua. Su tale pratica si sono espressi tre documenti redatti da Comitati bioetici appartenenti a diverse realtà territoriali. Il primo è il documento intitolato “Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte”, pubblicato dal Comitato Nazionale di Bioetica italiano (CNB) in data 29/01/2016, a seguito di una sollecitazione proveniente da un esponente del Parlamento. Il secondo è il White Paper pubblicato dalla European Association for Palliative Care (EAPC) in data 19/11/2015, che ha aggiornato il precedente documento pubblicato dalla stessa associazione nel 2003. L’ultimo documento è l’Avis n°121 del Comité consultatif National d’éthique francese (CCNE), pubblicato il 13/06/2013 ed arricchito, nella sua parte finale, dai pareri di alcuni studiosi. Nessuno dei documenti è andato esente da critiche, a testimonianza di come, ancora oggi, i temi della sedazione e della sua vicinanza all’eutanasia sollevino dei dubbi nell’animo di molti.

 

4.1 La sedazione profonda nel documento del CNB

A seguito dell’emanazione della Legge 38/2010[44], che, come visto, garantisce al malato terminale l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, sono sorte delle questioni sulla portata della legge stessa, ed in particolare sul modo in cui essa affronta la pratica della sedazione terminale, problema che non viene trattato compiutamente. L’art. 2 della legge fa infatti riferimento al “controllo del dolore in tutte le fasi della malattia” e quindi, si deduce, anche nelle fasi avanzate e terminali della stessa, ipotizzando così il possibile accesso a forme di sedazione profonda. Da alcune parti è stato conseguentemente sostenuto che l’approvazione della legge del 2010 avesse aperto la strada ad una recezione delle varie richieste di eutanasia avanzate da più parti, sulla scorta della tendenza in atto in Europa e nei Paesi d’oltreoceano. La risposta del Comitato Nazionale di Bioetica si è tradotta in un documento emanato il 29 gennaio del 2016, intitolato “Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte” (la più semplice dizione di “sedazione profonda” era stata infatti ritenuta inopportuna da alcuni). Nel documento si riconosce che la Legge 38/2010 non ha ancora avuto al giorno d’oggi piena realizzazione, tenuto conto del fatto che nell’ultimo decennio le cure palliative si sono sviluppate enormemente e sarebbe quindi doveroso promuoverne e garantirne un’applicazione più ampia e generalizzata. Risulta pertanto indispensabile che il diritto del paziente a ricevere un adeguato supporto nella fase terminale della vita sia concretamente attuato, non bastando il disposto dell’Art.2 della L. 38/2010 a garantirne l’effettività. Delle indicazioni al riguardo sono state fornite, nel 2014, da parte dell’OMS, che ha approvato un documento che riconosce le cure palliative come un ‘diritto umano fondamentale[45]e, pochi mesi dopo, ha pubblicato il “Global atlas of palliative care at the end of life[46], contenente una stima approssimativa delle persone che nel mondo necessiterebbero di cure palliative: oltre 19 milioni.

Il documento del CNB analizza inoltre la questione del consenso informato, espresso tramite le dichiarazioni anticipate di trattamento, utili nel caso in cui il soggetto si trovi in stato di obnubilamento della coscienza e si ritenga opportuno procedere alla sedazione profonda[47]. D’altra parte, la stessa Guida al processo decisionale nell’ambito del trattamento medico nelle situazioni di fine vita[48] ha sancito che “a prescindere dalla validità legale delle direttive anticipate in ogni sistema giuridico, esse avranno sempre più peso nel processo decisionale quanto più corrispondono alla situazione reale e sono redatte alla luce di uno specifico contesto medico”: pertanto, seppur prive di efficacia vincolante, bisogna comunque riconoscere valore alle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse dal paziente. A tal riguardo, si richiama l’attuale discussione presso la Camera relativa all’approvazione della proposta di legge di cui supra, che affronta proprio tale tematica, senza aver ancora raggiunto un punto di arrivo.

Dal documento del CNB si possono trarre alcune importanti indicazioni. Innanzitutto, si auspica la configurazione di un diritto come quello riconosciuto in Francia con l’approvazione del progetto sul fine vita “Dormire prima di morire per non soffrire[49]: tale proposta ha previsto un vero e proprio diritto per i pazienti in fase terminale a chiedere ed ottenere una sedazione profonda e continua. Questo passaggio manca in Italia, dove ancora non è stato sancito alcun diritto per il paziente a chiedere che gli si pratichi la sedazione, che resta, come visto, una ‘decisione terapeutica’, adottata soltanto quando l’équipe medica lo ritenga necessario: al paziente è solo consentito rifiutarla. Sempre prendendo spunto dalla legge francese, particolare attenzione deve essere rivolta alle direttive anticipate rese dal paziente, nel rispetto del principio etico di autonomia e soprattutto di dignità umana: grazie all’approvazione di tale legge, in Francia i pazienti possono infatti adesso manifestare le loro direttive sul fine vita (revocabili in qualsiasi momento), ed in particolare il rifiuto dell’accanimento terapeutico, direttive che verranno iscritte su un registro nazionale e dovranno essere rispettate dal medico, salvo “nei casi di emergenza vitale e per il tempo necessario ad una valutazione completa della situazione”. Non bisogna poi dimenticare che, nella valutazione di opportunità circa il procedere o meno alla pratica della sedazione, si deve dar peso anche all’eventuale situazione di distress psicologico, i cui sintomi sono spesso direttamente proporzionali alla gravità dei sintomi fisici ed alla residua aspettativa di vita.

 

4.2 Il White Paper della EAPC

Il secondo documento preso in analisi è stato redatto dalla European Association for Palliative Care, associazione che ricomprende, tra i suoi membri, esponenti di diverse nazionalità[50]. Il White Paper (espressione utilizzata per indicare un documento-guida che fornisce informazioni riguardo ad un determinato argomento) mira a fornire una struttura etica su eutanasia e suicidio assistito ai soggetti operanti nel campo delle cure palliative, puntando altresì ad instaurare una discussione sui principi etici collegati a tali tematiche,senza trascurare la pratica della sedazione. Tale documento riprende la posizione affermata nel precedente White Paper del 2003[51], dove già si era chiarita la differenza tra cure palliative (al cui interno viene considerata anche la pratica della sedazione) ed eutanasia e suicidio assistito, ribadendo che queste diverse pratiche non possono e non devono essere confuse tra di loro.

A tal proposito, il White Paper evidenzia il fatto che manca oggi un’adeguata informazione sul numero dei casi in cui le cure palliative vengono offerte ai pazienti che chiedono l’eutanasia o il suicidio assistito: ad esempio, in Belgio ed in Olanda il coinvolgimento di esperti in cure palliative non è un pre-requisito per poter procedere ad eutanasia e suicidio assistito, nonostante la legislazione belga sancisca che il paziente debba essere informato sulle possibilità offerte dall’assistenza palliativa. In un recente sondaggio su base nazionale, si è tuttavia registrata una percentuale di coinvolgimento degli esperti in cure palliative nel 73.7% dei casi nel 2013[52]. Bernheim ed altri hanno poi prospettato un’interazione tra cure palliative ed eutanasia, prendendo come esempio proprio il Belgio: è stato così elaborato un modello chiamato “integral palliative care”, nel quale l’eutanasia viene considerata come un’ulteriore opzione alla fine di un percorso di cure palliative[53]. In un altro articolo, esponenti della Federation of Palliative Care Flanders hanno posto in rilievo il crescente coinvolgimento degli esperti in cure palliative nel cosiddetto “accompaniment of euthanasia”: partendo dalla necessità di assicurare la continuità dell’assistenza, alcuni medici hanno deciso di non abbandonare i pazienti sotto trattamento palliativo che richiedessero l’eutanasia, di non affidarli ad altri professionisti, ma di continuare a fornire loro l’assistenza necessaria. Si è così affermata una nuova tendenza, secondo cui, nonostante eutanasia e cure palliative restino due pratiche distinte, esse possono “occasionally be considered together when caring for one and the same patient[54]. Tutto ciò è orientato al preminente interesse del paziente a non essere abbandonato e all’instaurazione di quella relazione di fiducia di cui tanto si parla nell’ambito della relazione paziente terminale - équipe medica.

Nel contesto dell’eutanasia, è anche stato discusso il rischio di scivolare in uno ‘slippery slope’, un pendio scivoloso, nel senso che spesso la legge si esprime in un certo modo ma nella pratica si affermano altre tendenze, che vanno oltre la lettera della norma: l’abuso della sedazione palliativa viene visto proprio come un indicatore di tale pericolo. In Olanda, ad esempio, si registra un simile abuso, e gli stessi medici dichiarano di aver, in molti casi, dato inizio ad una sedazione continua profonda con l’intenzione di velocizzare la morte del paziente, somministrandogli una dose eccessiva di farmaco[55]. Ecco che, come paventato da alcuni, la pratica della sedazione può abbandonare il sentiero del mero sollievo dalle sofferenze ed addentrarsi in quello dell’eutanasia vera e propria, può essere usata cioè per un fine che non è il suo proprio, distorcendo il suo compito. Il White Paper affronta anche un altro tema, quello del timore della perdita di autonomia da parte del paziente, che può essere affrontato tramite le direttive anticipate ed una pianificazione anticipata delle cure (ACP, ‘Advance Care Planning’): questi strumenti possono infatti rafforzare l’autonomia del paziente ed alleviare la sua angoscia, rassicurandolo che ogni trattamento medico avrà bisogno del suo consenso e che è intoccabile il suo diritto di rifiutare le cure indesiderate. Le direttive anticipate (‘living wills’) formano il cosiddetto ‘testamento biologico’, e l’ACP è l’ulteriore strumento dato al malato per documentare accuratamente tutte le sue future scelte nel campo dell’assistenza medica. Tuttavia, un’impalcatura giuridica per una pianificazione anticipata delle cure non è ancora stata predisposta da tutti i Paesi europei (vedi, Italia).

A concludere il documento, una significativa affermazione di ciò che le cure palliative rappresentano per l’EAPC: “Palliative care is based on the view that even in a patient’s most miserable moments, sensitive communication, based on trust and partnership, can improve the situation and change views that his or her life is worth living”.

 

4.3 Avis n°121: “fin de vie, autonomie de la personne, volonté de mourir”

In seguito al rapporto della Commission de réflexion sur la fin de vie en France[56], il Presidente della Repubblica francese ha posto al Comité consultatif National d’éthique pour les sciences de la vie et de la santé (CCNE) tre quesiti relativi alla possibilità per i singoli di manifestare la propria autonomia sulle questioni di fine vita: 1. come porsi nei confronti delle direttive anticipate espresse da una persona in piena salute o all’annuncio di una malattia grave; 2. come rendere più degni i momenti finali della vita di un malato in seguito alla scelta di interrompere i trattamenti; 3. secondo quali modalità permettere ad un malato terminale di essere accompagnato ed assistito nella sua volontà di porre termine alla propria vita. Tali questioni non sono nuove per il CCNE, che si è spesso trovato a confrontarvisi nel corso degli ultimi venticinque anni. Nel 1991 fu emanato infatti l’Avis n°26[57], con il quale il Comitato si espresse contro la possibilità che un testo legislativo o regolamentare potesse legittimare l’atto di dare la morte ad un malato. Nel 1998, con l’Avis n°58[58], si avvertì già un primo mutamento di direzione, poiché lo stesso Comitato insistette sull’importanza di una riflessione comune e pubblica sul problema dell’accompagnamento del malato in fin di vita, e quindi anche sulla tematica dell’eutanasia. Infine, nel 2000, l’Avis n°63[59] condusse una riflessione più completa, raccomandando una messa in opera risoluta delle cure palliative e condannando l’accanimento terapeutico. Furono altresì elaborate in tale documento le due nozioni di ‘engagement solidaire’ e di ‘exception d’euthanasie’: in particolare, la seconda permetterebbe ai giudici di risolvere ogni caso giudiziario tenendo conto delle circostanze e dei particolari motivi (giustificazioni) di un atto di eutanasia.

A questi documenti è seguito quello sotto esame, l’Avis n°121Fin de vie, autonomie de la personne, volonté de mourir[60], pubblicato dal CCNE nel giugno del 2013, in seguito ad un’esplicita richiesta del Capo dello Stato. Tale documento contiene una serie di raccomandazioni che esprimono in maniera unanime il pensiero dei membri del Comitato stesso. Si afferma in esso la necessità di rendere effettivo l’accesso alle cure palliative, diritto già riconosciuto dal legislatore da ormai più di quindici anni[61], nonché l’esigenza di rispettare le direttive anticipate espresse dal malato, che, al momento in cui il documento fu pubblicato (prima quindi dell’approvazione del progetto di legge sul fine vita, avutasi solo nel gennaio 2016), erano viste come niente più di semplici desideri e speranze, essendo la decisione vera e propria presa dai medici. Punto più importante, rispetto alla presente trattazione, l’accento posto sul rispetto del diritto della persona in fin di vita ad ottenere una ‘sédation profonde jusqu’au décès’, allorquando i trattamenti (come l’idratazione e l’alimentazione) siano stati interrotti su sua richiesta. Nonostante tale documento testimoni i passi in avanti fatti dalla prima volta in cui il CCNE si espresse sull’argomento (nel 1991), non poche sono ancora le resistenze opposte all’affermazione del diritto di una persona in fin di vita ad aver accesso, a sua richiesta, ad un atto medico volto ad accelerare la propria morte, o al diritto ad un’assistenza al suicidio. I membri del Comitato non si astengono dal rendere noti i loro timori circa la possibilità di modificare la legge attuale ed abolire così la distinzione, da loro ritenuta essenziale, tra laisser mourir e faire mourir. È loro opinione, infatti, che solo il mantenimento del divieto per i medici di provocare deliberatamente la morte sia idoneo a proteggere efficacemente i malati: questi ultimi potrebbero, qualora una tale autorizzazione venisse riconosciuta ai medici, vedersi negato il diritto ad essere accompagnati nella loro decisione di vivere fino alla fine.

D’altra parte, secondo alcuni esponenti del CCNE, il confine tra laisser mourir e faire mourir è, nei fatti, già stato abbattuto: le leggi del 2002 sui diritti dei malati[62] e del 2005 sul fine vita[63], nel riconoscere il diritto di una persona di chiedere al medico di interrompere i trattamenti vitali, o l’alimentazione e l’idratazione, hanno già sancito il diritto del medico a far morire il malato, o quantomeno ad aiutarlo in questo suo desiderio. È allora che la chiara distinzione tra astensione dalle cure (omission) e suicidio assistito (commission) diviene sempre più difficile da continuare a sostenere. Prima di allora, la Legge del 9 giugno 1999 sulle cure palliative aveva garantito il diritto all’accesso alle stesse ad ogni persona le cui condizioni lo richiedessero, e questo era stato configurato come un diritto che il malato o i suoi cari potevano far valere in giudizio. La già citata Legge del 4 marzo 2002 aveva poi riconosciuto al malato il diritto ad una scelta libera ed informata in tutto ciò che concerne la sua salute. A tali diritti sanciti in capo al malato corrispondono tre doveri previsti per il medico: alleviare la sofferenza, evitare ogni obstination déraisonnable e rispettare la volontà del paziente.

Tornando alla tematica della sedazione, l’Avis n°121 suggerisce di rivalutare tale pratica nella fase terminale della vita dei pazienti. La sedazione viene definita come “la recherche, par des moyens médicamenteux, d’une diminution de la vigilance pouvant aller jusqu’à la perte de conscience. Son but est de diminuer ou de faire disparaître la perception d’une situation vécue comme insupportable par le patient, alors que tous les moyens disponibles et adaptés à cette situation lui ont été proposés sans permettre d’obtenir le soulagement escompté”. Riguardo alla sedazione profonda e continua, viene qui espressa la stessa opinione analizzata negli altri due documenti, ossia che essa deve essere riservata ai pazienti con un’aspettativa di vita da poche ore a pochi giorni e che si trovano in fase terminale.

Prima che la proposta di legge “Dormir avant de mourir pour ne pas souffrir” venisse approvata (ricordiamo che l’Avis n°121 è stato emanato due anni e mezzo prima di tale approvazione, il 13 giugno 2013), il Comitato si era già interrogato sulla possibilità di modificare la legge, permettendo così al paziente di domandare ed ottenere, indipendentemente dalla volontà del suo medico curante, una sedazione continua fino al decesso. La conclusione è che, ad opinione del Comité consultatif National d’ethique, un paziente deve avere il diritto a chiedere ed ottenere una sedazione continua fino alla morte allorquando si trovi nella fase terminale della propria malattia, diritto che verrà ad aggiungersi a quello di rifiutare i trattamenti e a godere delle cure palliative quando ne ricorra la necessità. Due anni e mezzo dopo la pubblicazione di questo documento tale diritto è stato sancito, come detto sopra, dalla legge francese sul fine vita approvata nel gennaio 2016. Importanza fondamentale è riconosciuta anche alle direttive anticipate, alle quali si dà efficacia vincolante nei confronti dei medici, nonché all’eguale accesso alle cure palliative, non soltanto in fin di vita ma in ogni caso in cui si presenti un bisogno di alleviare la sofferenza. È in ciò che la legge francese costituisce, per molti Italiani, un punto di riferimento fondamentale nella lotta per il riconoscimento dei diritti del malato, che oggi è nel nostro Paese ancora rimesso all’apprezzamento del giudice (nei casi più fortunati), senza poter contare su una base giuridica.

 

  1. Conclusioni

La domanda fondamentale da porsi, arrivati a questo punto, è se quello a ricevere una sedazione profonda possa o meno configurarsi, nei vari ordinamenti, come un vero e proprio diritto. Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica italiano ne lamenta l’attuale inesistenza, esprimendo la speranza che anche in Italia venga introdotto un diritto simile a quello recentemente riconosciuto in Francia in seguito all’approvazione della proposta di legge “Dormire prima di morire per non soffrire[64]. Al giorno d’oggi, infatti, in Italia l’opportunità di procedere alla sedazione profonda è riservata alla valutazione dell’équipe medica, che, qualora la ritenga necessaria, la propone al malato, al quale spetta solo il diritto di accettarla o rifiutarla. Il White Paper della European Association for Palliative Care pone invece l’accento su un distinto diritto del paziente, quello a rifiutare le cure indesiderate e a veder rispettate le proprie direttive anticipate (living wills): tuttavia, non si specifica se all’interno di queste, accanto al rifiuto di ricevere futuri trattamenti indesiderati, il paziente possa anche esprimere una preferenza per la sedazione profonda, qualora questa si rendesse necessaria in un momento futuro di incapacità. Per quanto riguarda la Francia, già con l’Avisn°121 (pubblicato nel giugno del 2013) il Comité Consultatif National d’éthique aveva auspicato l’affermazione di un diritto per il malato in fase terminale a chiedere ed ottenere una sedazione continua fino alla morte, insieme ad un diritto a rifiutare le cure e a godere delle cure palliative (l’accesso alle quali era già garantito a tutti dal 1999, ma non ancora effettivo). Come abbiamo visto, la Francia è oggi uno dei Paesi in cui un diritto alla sedazione profonda è stato finalmente sancito, ad opera della legge sul fine vita approvata nel gennaio 2016.

Prescindendo dall’analisi dei tre documenti, sonoinfine opportune alcune considerazioni generali sulla pratica della sedazione profonda. È ormai chiaro che sull’argomento si fronteggiano le opinioni più disparate che, partendo da premesse e da teorie diverse, giungono inevitabilmente a soluzioni contrapposte le une alle altre. È anche vero che una tematica come quella della sedazione, nella quale primaria deve essere l’attenzione riservata ai desideri e alle aspettative del singolo paziente, difficilmente può essere cristallizzata in opinioni comuni ed oggettive, condivise da tutti. Proprio per questa ragione è a mio parere imprescindibile arrivare all’approvazione di chiare indicazioni di legge in proposito. Solo in tal modo si potrà infatti impedire che delle convinzioni soggettive e personali possano comportare un trattamento diversificato da caso a caso, solo così si riuscirà a dare certezza giuridica alla pretesa del paziente di veder realizzato il suo “miglior interesse”, senza più la preoccupazione di cercare il medico che non si opponga moralmente a tale pratica, rifiutandosi di dare al malato ciò che dovrebbe spettargli di diritto. A tal riguardo, non posso che guardare con ammirazione alla legge francese più volte richiamata, che, per la prima volta, dà una voce a chi troppo spesso non viene ascoltato, garantendo l’accesso alla sedazione profonda e continua al malato terminale che ne faccia richiesta.

Se la sedazione profonda e continua è vista come una zona grigia, troppo vicina al suicidio assistito, una simile considerazione non può esser fatta per la sedazione superficiale ed intermittente, volta a dare sollievo al paziente per un breve lasso di tempo, necessario a sottoporlo ad un intervento o a farlo riposare la notte: una diffusione di tale pratica è quindi doverosa. A tal proposito, già nel 1957 Pio XII affermava che, in alcune condizioni, “la narcosi che importa una diminuzione o una soppressione della coscienza è permessa dalla morale ed è compatibile con lo spirito del Vangelo (…) se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali.” Il tema fu poi ripreso dalla Lettera enciclica Evangelium Vitae del 1995, nella quale Giovanni Paolo II espresse un’opinione aderente a quella di Pio XII. Allo stesso modo non dovrebbe essere difficile accettare come moralmente lecitaanche la pratica della sedazione profonda e continua, quando si pensa che i farmaci utilizzati sono dei sedativi per il controllo dei sintomi refrattari, ben diversi dai farmaci letali somministrati al paziente su cui vuole compiersi un atto eutanasico. Tali sedativi sono attentamente calibrati sulle esigenze del singolo malato, tenendo conto delle sue condizioni fisiche e del livello di sofferenza da questi patito. Perché riservargli una tale attenzione, se l’unico intento fosse quello di porre termine rapidamente alla sua vita? Talvolta, per trovare il discrimine tra volontà omicida e volontà palliativa, si fa riferimento alla teoria dell’intenzione, che analizza il comportamento del medico per indagarne ilreale intento: ma come si può leggere la mente del medico e verificare se la sua intenzione è quella di alleviare il dolore del paziente od invece ucciderlo? L’Italia ha bisogno di risposte certe sull’argomento, che non possono giocarsi sull’analisi di un elemento prettamente psicologico.

Ogni anno nel nostro Paese avvengono un migliaio di suicidi da parte di malati terminali: garantire l’accesso alla sedazione profonda e continua potrebbe rappresentare, al giorno d’oggi, l’unica soluzione percorribile per combattere tale fenomeno (essendo la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito ancora ben lontana). Ovviamente il compito del nostro legislatore, se e quando deciderà di affrontare l’argomento, sarà particolarmente delicato, dovendo riuscire la norma a conciliare i desideri del singolo con la necessità di non generalizzare eccessivamente la possibilità di accedere alla sedazione profonda anche in situazioni che non la giustificherebbero. Misura ed equilibrio sono infatti necessari, tuttavia resta il fatto che non è facile accettare una scelta compiuta, sulla nostra vita e sul nostro corpo, da parte di altri.La vita è un bene che ci viene donato, ma che trova un senso per il suo titolare solo se vista come degna di essere vissuta; in caso contrario, non è rispettoso della dignità umana insistere con trattamenti invasivi ed indesiderati da parte del paziente. Un’imposizione proveniente dall’esterno non può che essere vista infatti come qualcosa di intollerabile e crudele in una società come la nostra, che pone il valore della Libertà tra i più alti, ed al primo posto della parte della Costituzione relativa ai diritti e doveri dei cittadini.

L’unico valore che possiamo mantenere intatto, quando tutto il resto ci è stato portato via, è la possibilità di decidere per noi stessi, in una parola proprio la nostra Libertà. È in quanto persone libere che dovremmo avere il diritto di accedere alla sedazione profonda e continua fino alla morte, se è questo il nostro desiderio, per poter trascorrere almeno gli ultimi giorni della nostra vita in maniera serena, avendo già affrontato un lungo e travagliato percorso nella lotta, poi rivelatasi inutile, alla malattia terminale. Siamo davvero pronti a negare quest’ultimo atto di compassione a chi ha l’unico desiderio di addormentarsi e giungere inconsciamente alla morte, avendo già patito ogni dolore umanamente immaginabile?

 

Dott.ssa Elisa Gentile, Dottore in Giurisprudenza.

 

RIFERIMENTI

[1]Mantovani F., “Aspetti giuridici dell’eutanasia”,in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 31, 1988

[2]Mathieu B., Le droit à la vie, Editions du Conseil de l’Europe, Strasbourg, 2005

[3]Cruzan v. Director, Missouri Department of Health, 497 U.S. 261 [1990]

[4]Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702 [1997]

[5]Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702 [1997], commi 84 e 88

[6]Morris, Mangalik and Riggs v. Brandenberg and King,D-202-CV 2012-02909 [2013]

[7]Carter v. Canada (Attorney General) BCSC 886 [2012]

[8]Carter v. Canada (Attorney General) SCC 5[2015]

[9]Roy D.J., Rapin C.H. and EAPC Board of Directors, “Regarding Euthanasia”,inEuropean Journal of Palliative Care, 1:1, 1994

[10]Materstvedt L.J., Clark D., Ellershaw J., et al., “Euthanasia and physician-assisted suicide: a view from an EAPC Ethics Task Force”, in Palliative Medicine, 17:2, 2003

[11]Recente l’esperienza di “Dj Fabo”, italiano recatosi in Svizzera per sottoporsi alla pratica del suicidio assistito

[12]Pretty v. the United Kingdom,ECHR App. n° 2346/02 [2002]

[13]Art. 2 CEDU “Diritto alla vita”; art. 3 CEDU “Proibizione della tortura”; art. 8 CEDU “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”; art.9 CEDU “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”; art. 14 CEDU “Divieto di discriminazione”.

[14]Gross v. Switzerland, ECHR App. n° 67810/10 [2014]

[15]Amato S., Eutanasie, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015

[16]Lambert and others v France, ECHR App. n° 46043/14 [2015]

[17]Amato S., Eutanasie, G. Giappichelli Editore, Torino, 2011

[18]Art. 5 c.c. “Atti di disposizione del proprio corpo. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.

[19]World Health Organization, National cancer control programmes: politic and managerial guidelines, WHO, New York, 2002

[20]Bompiani A., Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia, Centro editoriale dehoniano, Bologna, 2008

[21]Materstvedt L.J., Clark D., Ellershaw J., et al., “Euthanasia and physician-assisted suicide: a view from an EAPC Ethics Task Force”, in Palliative Medicine, 17:2, 2003

[22]Bonito V. et al., “La sedazione nelle cure palliative neurologiche: appropriatezza clinica ed etica”in Bioetica: rivista interdisciplinare, 18, 2010

[23]Bonito V. et al., “La sedazione nelle cure palliative neurologiche: appropriatezza clinica ed etica”in Bioetica: rivista interdisciplinare, 18, 2010 che richiama Morita T., Tsuneto S., Shima Y.,“Definition of sedation for symptom relief: a systematic literature review and a proposal for operational criteria”, in Journal of Pain and Symptom Management, 24:4, 447-453, 2002

[24]Sangalli L., Turriziani A., “Sedazione palliativa: temi caldi”in Medicina e morale, 62:1, 2013

[25]Nixon D.W. et al.,“Clinical symptom and lenght of survival in patients with terminal cancer”, inArchives of Internal Medicine, 148, 1586-1591, 1988

[26]Carassiti M., De Benedictis A., Comoretto N. et al.,“Proposta di un percorso decisionale ed assistenziale per la sedazione palliativa”in Medicina e morale, 62:1, 2013

[27]Si fa riferimento, oltre al consenso informato che può essere reso dal malato mentalmente capace, alle direttive o dichiarazioni anticipate nel caso in cui tale capacità sia venuta meno, od ancora al giudizio sostitutivo basato sulle volontà ed i desideri espressi in precedenza dal malato in assenza di specifiche disposizioni anticipate, ed infine al criterio del migliore interesse del malato, nel caso in cui tali volontà e desideri non possano essere ricostruiti od in caso di situazioni d’emergenza

[28]Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Firenze “Osservazioni sulla sedazione terminale”in Bioetica: rivista interdisciplinare, 12:1, 2004

[29]Raccomandazioni della SICP sulla Sedazione Terminale/Sedazione Palliativa, ottobre 2007, in www.sicp.it

[30]National Ethics Committee, Veterans Health Administration,“The ethics of palliative sedation as a therapy of last resort”in American Journal of Hospice and Palliative Medicine, 23:6, 2007

[31]Art.51, co.1 c.p.: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo dell’autorità, esclude la punibilità”.

[32]Legge 15 marzo 2010 n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010

[33]Persano F., “La sedazione palliativa tra etica e diritto: la situazione italiana”in Medicina e morale, 62:1, 2013

[34]Vedi nota 29

[35]Bonito V. et al., “La sedazione nelle cure palliative neurologiche: appropriatezza clinica ed etica” in Bioetica: rivista interdisciplinare, 18, 2010

[36]Faisinger R.L., Walzer A., Bercovici M. et al.,“A multicentre international study of sedation for uncontrolled symptoms in terminally ill patients”in Palliative Medicine, 14:4, 257-265, 2000

[37]Chocinov H.M., Hack T., Hassard T. et al.,“Dignity therapy: a novel psychotherapeutic intervention for patients near the end of life”in Journal of Clinical Oncology, 23:24, 5520-5525, 2005.

[38]Raccomandazioni della SICP sulla Sedazione Terminale/Sedazione Palliativa, ottobre 2007, in www.sicp.it

[39]Vedi nota 27

[40]Hawryluch L., Harvey W. et al.,“Consensus guidelines on analgesia and sedation in dying intensive care unit patients”, in BMC Medical Ethics, 3:3, 2002

[41]Amato S., Eutanasie, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015

[42]Bompiani A., Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia - Rassegna del dibattito bioetico, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 2008

[43]McStay R., “Terminal sedation: palliative care for intractable pain, post Glucksberg and Quill”, in American Journal of Law and Medicine, 29:1, 45-76, 2003

[44]Legge 15 marzo 2010 n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010

[45]World Health Organization,“Strengthening of palliative care as a component of integrated treatment within the continuum of care”, in Journal of Pain and Palliative Care Pharmacotherapy, 28:2, 2014

[46]Worldwide Palliative Care Alliance, World Health Organisation, Global atlas of palliative care at the end of life, London, 2014

[47]Questione peraltro già trattata dal Comitato: CNB, Dichiarazioni anticipate di trattamento, 2003

[48]Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa (DH-BIO),Guida al processo decisionale nell’ambito del trattamento medico nelle situazioni di fine vita, 2015

[49]Dormir avant de mourir pour ne pas souffrir, proposta di legge avanzata dai deputati Claeys e Leonetti ed approvatadefinitivamente dall’Assemblea Nazionale francese il 27/01/2016

[50]Radbruch L., Leget C., Bahr P., Muller-Busch C., Ellershaw J., De Conno F., Berghe P.V. on behalf of the board members of the EAPC, “Euthanasia and physician-assisted suicide: A white paper from the European Association for Palliative Care”, in Palliative Medicine, 30:2, 2016

[51]Materstvedt L.J., Clark D., Ellershaw J. et al., “Euthanasia and physician-assisted suicide: a view from an EAPC Ethics Task Force”, in Palliative Medicine, 17:2, 2003

[52]Chambaere K., Vander Stichele R., Mortier F. et al.,“Recent trends in euthanasia and other end-of-life practices in Belgium” in New England Journal of Medicine, 372, 1179-1181, 2015

[53]Bernheim J.L., Distelmans W. et al.,“Development of palliative care and legalisation of euthanasia:antagonism or synergy?”, in British Medical Journal, 336, n. 7649, 864-867, 2008

[54]Berghe P.V., Mullie A., Desmet M. et al.,“Assisted dying - the current situation in Flanders: euthanasia embedded in palliative care”, in European Journal of Palliative Care,20:6, 266-272, 2013

[55]Rietjens J., Van der Heide A., Vrakking A.M. et al.,“Physician reports of terminal sedation without hydration or nutrition for patients nearing death in the Netherlands” inAnnals of Internal Medicine, 141:3, 178-185, 2004

[56] Sicard D.,Penser solidairement la fin de vie- Commission de réflexion sur la fin de vie en France, La Documentationfrançaise, 2012

[57]Comité Consultatif National d’éthique, Avis n°26,“Avis concernant la proposition de résolution sur l'assistance aux mourants, adoptée le 25 avril 1991 au Parlement européen par la Commission de l'environnement, de la santé publique et de la protection des consommateurs, 24/06/1991

[58]Comité Consultatif National d’éthique, Avis n°58,“Rapport et recommandations sur le Consentement éclairé et information des personnes qui seprêtent à des actes de soin ou de recherche”, 12/06/1998

[59]Comité Consultatif National d’éthique, Avis n°63, “Fin de vie,arrêt de vie,euthanasie”, 27/01/2000

[60] Comité Consultatif National d’éthique,Avis n°121, “Fin de vie, autonomie de la personne, volonté de mourir”, 13/06/2013

[61]Loi n° 99-477 du 9 juin 1999 visant à garantir le droit à l'accès aux soins palliatifs

[62]Loi n° 2002-303 du 4 mars 2002 relative aux droits des malades et à la qualité du système de santé

[63]Loi n° 2005-370 du 22 avril 2005 relative aux droits des malades et à la fin de vie(Loi Leonetti)

[64]Vedi nota 49.