A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA COMUNICAZIONE NELLE NEGOZIAZIONI INTERNAZIONALI

Autore: Avv. Prof. Marco Mastracci 

 

 

Il presente contributo invita a una breve disamina sulla risoluzione dei conflitti mediante l’uso di tecniche di negoziazione, con uno sguardo alla gestione dei negoziati internazionali. Partendo dal Metodo di Harvard, attraverso un raffronto dei diversi approcci e degli stili di comunicazione adottati a seconda dei contesti specifici, lo studio perviene alla definizione dei principi indefettibili che regolano un negoziato efficace. La trattazione si spinge oltre la teoria classica del negoziato per approdare a una visione più moderna, ovvero a una “negoziazione relazionale”.

 

All’inizio sii ritroso come una vergine; se il nemico apre un varco,

sii come una lepre che corre. Allora non potrà resisterti.

SUN TZU, L’Arte della guerra

 

Nell’era moderna, caratterizzata da una frenesia costante in cui l’impegno professionale permea ormai gran parte del tempo della vita, ben si comprende quale importanza rivestano le tecniche di negoziazione. Affermatasi come strumento dinamico nella conduzione degli affari, la negoziazione non è affatto estranea alla dimensione privata del vivere: essa si è rivelata particolarmente valida nel gestire conflitti relazionali, anche nella sfera emotiva. Possiamo dunque affermare che la negoziazione è consustanziale alla vita dell’uomo.

L’arte della negoziazione[1] può trovare un precedente storico nella Firenze del XV secolo, precisamente nella lettera di credito. Si trattava di un documento cartolare emesso dalle banche al fine di consentire la circolazione del denaro. Oltre a garantire la sicurezza dei trasferimenti, la lettera di credito consentiva al destinatario di riscuotere la somma ivi indicata. Naturalmente tale meccanismo era imperniato sulla fiducia, ovvero sull’affidabilità e integrità dei soggetti coinvolti (i messi a cui veniva affidato il documento). La lettera di credito veniva utilizzata nei commerci lungo la Via della Seta: i rapporti consolidati fra le famiglie in affari consentirono il mantenimento delle relazioni commerciali fra l’impero cinese e quello romano.

Le tecniche di negoziazione discendono delle strategie politiche e diplomatiche che regnanti euomini politici hanno utilizzato nel corso della storia, tanto da essere studiate nell’ambito delle relazioni internazionali. Esse rappresentano la moderna evoluzione di tali strategie e soggiacciono alla medesima logica: pervenire a un accordo che consenta la soddisfazione di tutte le parti in causa.

Certamente il cambiamento degli scenari storici ha influenzato profondamente la materia negli approcci, nelle finalità perseguite e nelle alternative praticabili al mancato accordo. Nei tempi odierni,in caso di fallimento dei negoziati internazionali non è più così scontato il ricorso al conflitto armato, considerato ormai la extremaratio, almeno dai paesi che hanno raggiunto una certa maturità giuridico-politica. Tuttavia, lo studio delle strategie di guerra[2] è molto utile al fine di comprendere i meccanismi che presiedono alle tecniche di negoziazione e di prevenirne le insidie.

Sotto il profilo etimologico il termine “negoziazione” deriva dal latino “negotium”, a sua volta composto dai termini latini “nec” e “otium”, dove “otium” si riferisce ai giorni devoluti alle attività ludico-ricreative in contrapposizione al tempo dedicato agli affari e agli impegni quotidiani, da cui “negozio”.

Il termine ha assunto una connotazione precisa all’interno dei moderni sistemi giuridici sotto la denominazione di “negozio giuridico”[3].

La negoziazione può essere definita come una trattativa tra due o più soggetti, finalizzata alla conclusione di un accordo. Quando la negoziazione avviene per mezzo di un soggetto terzo rispetto alle parti si parla di “mediazione”[4]. La negoziazione, pur concretandone la sostanza, si distingue dalla transazione[5] per la sua idoneità a gestire non soltanto uno o piùaffari bensì l’intero assetto di interessi intercorrenti fra le parti: se è vero che il negoziato può prevedere un insieme di transazioni finalizzate alla risoluzione del conflitto, è evidente come gli interessi in gioco nei negoziati mirino a stabilire un rapporto di lungo periodo. Le tecniche di negoziazione, inoltre, non si limitano alla pratica delle «reciproche concessioni» e presuppongono una competenza che va oltre la conoscenza del contesto giuridico e delle norme di legge, prestando attenzione anche agli aspetti relazionali e psicologici della vicenda, attraverso una valutazione a tutto tondo. In nuce la transazione è soltanto uno dei modi possibili di risoluzione dei conflitti[6].

La negoziazione presuppone l’esistenza di un disaccordo, di una divergenza[7] di interessi rispetto a una data questione. Poiché con il negoziato si vuole instaurare un processo di cooperazione, questa richiede un’interazione fra individui che miri, da un lato, a instaurare una relazione, dall’altro, a risolvere il conflitto in una direzione soddisfacente per tutte le parti in gioco[8]. Da ciò si evince che i risultati della negoziazione dipendono dalla comunicazione[9] a essa sottesa: una negoziazione efficace non può prescindere dall’adozione di una comunicazione competente, nel senso di una “comunicazione negoziale”, che presuppone a sua volta un ascolto attivo.

Comunicazione e negoziazione sonointimamente connesse. Entrambe risentono del contesto storico, filosofico e culturale in cui si sono sviluppate, mentre i risultati e i progressi ottenuti in tali ambiti hanno fatto emergere risvolti interessanti anche nelle discipline a esse tangenti, quali l’antropologia, lasociologia[10], la psicologia[11], le scienze politiche e le relazioni internazionali.

Gli approcci comunicativi, peraltro, mutano continuamente anche in relazione al contesto economico[12]. Da ciò si evince l’importanza assunta dal registro linguistico[13], mentre diversi sono i risultati a cui perviene la negoziazione a seconda dello stile di comunicazione prescelto.

Poiché i comportamenti umani,oltre a un sistema variegato di culture[14], credenze e opinioni, riflettono tutta una serie di percezioni legate alla sfera cognitiva, psicologica ed emotiva dell’individuo, è bene comprendere quali tipi di approcci le parti possono avere rispetto al conflitto in essere e alla cui risoluzione è finalizzato il negoziato.

Si distinguono, pertanto, diversi stili:

a) cooperativo, cosiddetto di “problem solving”, ascrivibile agli individui che tendono a preoccuparsi per gli altri;

b) concedevole, in cui le azioni sono orientate al raggiungimento dell’approvazione sociale;

c) l’evitamento, il cui obiettivo è quello di aggirare situazioni fastidiose, generalmente adottato da personalità che assumono un atteggiamento di indifferenza rispetto alla possibilità di arrecare danni ad altri;

d) l’approccio transattivo, fortemente orientato al raggiungimento del risultato, ovvero alla conclusione di un accordo.

All’interno di tali stili la comunicazione può essere di tipo argomentativo, quando è finalizzata allo scambio di informazioni e valutazioni; impegnativa, se le parti vogliono rilanciare rinegoziando alcuni aspetti della trattativa[15].

La negoziazione appartiene al genere delle Adr, Alternative Dispute Resolution o Appropriate Dispute Resolution[16]. Si tratta di un ambito multidisciplinare che ricomprende al suo interno tutte le tecniche di gestione dei conflitti, siano esse di tipo aggiudicativo, come l’arbitrato, o non aggiudicativo, quali la negoziazione e la mediazione, cioè non devolute alla competenza di un giudice chiamato a esprimersi nel merito dell’accordo.

Sotto un profilo generale, esistono principalmente tre modi di condurre le trattative:

a) uno stile che potremmo definire “soft”, improntato alla collaborazione e a un atteggiamento di tipo recessivo e caratterizzato da un’alta propensione a fare concessioni alla controparte;

b) uno stile “duro”, in cui prevale l’aggressività e si tende a gestire la trattativa facendo leva su posizioni di potere;

c) uno stile intermedio fra il metodo soft e quello duro, che prevede la commistione di diversi elementi a seconda della fase negoziale in essere (proponendo, ad esempio, un approccio soft nella fase prenegoziale e dello scambio di informazioni per poi passare a un approccio “duro” in fase di trattativa vera e propria).

Una moderna teorizzazione della negoziazione è nota come “Metodo di Harvard”[17], sviluppatoalla fine degli anni Ottanta in seno allo Harvard Negoziation Project e particolarmente apprezzato in ambito internazionale, tanto da costituire il metodo maggiormente utilizzato nelle negoziazioni. Esso propone un approccio teleologico alla negoziazione, orientata al buon fine del negoziato. La principled negoziation propone un approccio «duro nel metodo, morbido verso le persone»[18].

Il Metodo di Harvard si fonda essenzialmente su quattro principi-cardine:

a) scindere le persone dal problema;

b) insistere sugli interessi e non sulle posizioni;

c) inventare soluzioni vantaggiose per entrambe le parti;

d) insistere su criteri oggettivi.

Il primo principio è quello di separare le persone dal problema, scindendo concettualmente lequestioni afferenti alla persona daquelle riguardanti l’oggetto del rapporto. Come si legge in Fisher, «Per trattare i problemi psicologici, usate tecniche psicologiche. Dove le percezioni sono imprecise, potete cercare modi per educarle. Se l’emotività sale, potete trovare modi attraverso i quali ogni persona coinvolta si scarichi. Dove ci sono malintesi, potete darvi da fare per migliorare la comunicazione»[19]. In altri termini, affinché si abbia una reale percezione del problema questa deve essere suffragata da una cognizione adeguata di essa.

Le tecniche utilizzabili per scindere la persona dal problema possono consistere nel tentativo di immedesimarsi nella controparte al fine di comprenderne i punti di vista. Tale atteggiamento, oltre a consentire un’apertura del partner e a favorire l’instaurarsi di una relazione fondata sulla fiducia, consente al negoziatore di valutare la situazione da un punto di vista più oggettivo.

Un buon negoziatore, inoltre, dovrebbe saper ignorare le proprie paure, che gli offrono una percezione distorta di fatti e persone, così come non dovrebbe tener conto dei pregiudizi che la controparte nutre verso di lui e di cui il negoziatore è a conoscenza; ancora, una strategia di avvicinamento consiste nel cercare di coinvolgere la controparte nel processo decisionale della trattativa, al fine di conoscere ciò che pensa e di costruire un rapporto attivo.

In un aneddoto riguardante Benjamin Franklin si narra che il Presidente, nel tentativo di avvicinare una persona con cui fosse interessato a costituire un rapporto, utilizzasse la tecnica di chiedergli in prestito un determinato libro. La manifestazione di una comunanza di interessi o di vedute è un metodo estremamente efficace per sperimentare una situazione di vicinanza.

Certamente la capacità di stabilire rapporti di prossimità con l’altro presuppone una comunicazione attenta e veritiera, in cui venga soddisfatta l’istanza di veridicità di quanto viene comunicato. Se, infatti, è probabile che un interlocutore sprovveduto cada nella trappola dell’Azzeccagarbugli, certo non è realistico pensare altrettanto quando si è di fronte a una controparte preparata e consapevole. Sfruttare le asimmetrie informative non è consigliabile, quanto più si miri a stabilire relazioni di lungo periodo.

Ilsecondo principio proposto dal Metodo di Harvardmette in luce la differenza che esiste tra la posizione che un soggetto assume di fronte a terzi, ovvero la sua interfaccia esterna, e il reale interesse che si intende soddisfare con la negoziazione. La posizione assunta può essere determinata da diversi fattori: alcuni sono di carattere interno e dipendono dalla personalità delle parti in causa, quali il bisogno di sembrare risoluti e irremovibili di fronte alla controparte o di non “perdere la faccia” per acquistare sicurezza; altri sono determinati dalle circostanze esterne, quali la necessità di assumere una data posizione per ragioni professionali nel rispetto degli accordi sottoscritti fra il negoziatore e il proprio datore di lavoro.

La scelta di trattare da una data posizione può essere collegata all’esercizio di un potere. Il potere, tuttavia, non deve essere confuso con l’influenza[20]: il primo si riferisce alla concreta possibilità di produrre un determinato cambiamento materiale nell’ordine dei fatti o nella sfera altrui (si pensi all’esercizio di potere autoritativo); il secondo, invece, misura l’attitudine di un soggetto a modificare le percezioni e le convinzioni di altri. Si può avere poco potere, pur esercitando una notevole influenza.

Esistono diverse tipologie di potere[21]:

a) un potere positivo, ovvero la possibilità di esaudire le richieste della controparte;

b) un potere negativo, dato dalla capacità di sottrarre ad altri ciò che essi possiedono attraverso le minacce;

c) un potere normativo, fondato sul principio della coerenza;

d) un potere dicoalizione, in cui la possibilità di soddisfare i propri interessi è amplificata dalla dimensione aggregata, ovvero dall’appartenenza a un dato gruppo o comunità.

Un esempio dell’utilizzo dei primi tre poteri ci è offertodai negoziati con i terroristi musulmani di Hanafi, risalente al marzo 1977[22].

In quell’occasione, dodici terroristi appartenenti a una setta religiosa occuparono tre edifici di Washington, uccidendo un giornalista, ferendo diverse persone e prendendone in ostaggio altre 134. Il capo dei sequestratori, Hamaas Abdul Khaalis, era stato, a sua volta, vittima di un altro crimine, in cui avevano perso la vita cinque figli e diverse mogli e per cui erano state arrestate e condannate solo cinque persone, tutte appartenenti a un’organizzazione musulmana estremista.

Khaalis, risentito per l’esito delle indagini, aveva deciso di intraprendere un’azione dimostrativa chiedendo il soddisfacimento di tre condizioni, pena l’uccisione degli ostaggi: la cancellazione dalle sale cinematografiche del film Mohammed, messaggero di Dio; la restituzione dell’ammenda di 750 dollari cui era stato condannato per cattiva condotta nel processo a carico degli assassini della sua famiglia; la consegna degli assassini.

Attraverso un sistema di graduali concessioni, fra cui la possibilità, effettivamente accordata, di incontrare l’ambasciatore del Pakistan, il negoziato si concluse positivamente senza conseguenze ulteriori per gli ostaggi e dietro assicurazione, da parte della Fbi, che Khaalis, dopo il rilascio dei prigionieri, avrebbe ottenuto la libertà potendo aspettare l’inizio del processo a suo carico a casa con la sua famiglia, come di fatto avvenne.

Se la posizione che una parte assume in una trattativa richiama il concetto di potere, l’interesse rimanda invece a ciò che le parti hanno realmente a cuore, ovvero al bisogno che esse intendono concretamente soddisfare. In questo senso si comprende come interesse e posizione possano, di fatto, divergere.

Quali sono gli svantaggi di una trattativa condotta avendo riguardo alle posizioni invece che agli interessi? Certamente tra gli effetti negativi vi sono un’inefficienza di fondo, che evidenzia l’irrazionalità dei mezzi impiegati rispetto allo scopo; la scarsa probabilità di stabilire relazioni di lungo periodo; l’incapacità di ragionare in termini di soluzioni alternative all’accordo inizialmente prefigurato.

Il terzo principio, inventare soluzioni vantaggiose per entrambe le parti, rimanda alla dimensione creativa dell’individuo.Il metodo si snoda lungo cinque sessioni:

a) attivare un ciclo di brainstorming[23];

b) pensare a un problema specifico;

c) analizzare una situazione concreta;

d) considerare una o più soluzioni possibili;

e) proporre suggerimenti.

Tale approccio postula una visione interdisciplinare al problema, ovvero la capacità di immedesimarsi in situazioni differenti e di valutare la situazione avendo riguardo a parametri attinti da altri settori disciplinari, come descritto dal seguente passo: «Nel progettare possibili soluzioni a una disputa, per esempio, sulla custodia di un bambino, considerate il problema come potrebbe essere visto da un educatore, da un banchiere, da uno psichiatra, da un avvocato dei diritti civili, da un ministro del culto, da un dietologo, da un medico, da una femminista, da un allenatore di calcio o da qualcuno con qualche punto di vista specifico»[24].

Il quarto e ultimo principio suggerito dal Metodo di Harvard è di insistere su criteri oggettivi. In altri termini, esso prevede che i negoziati vengano condotti secondo norme razionali, morali e di condotta, e non sulla base di semplici pressioni. Ciò non soltanto a garanzia della credibilità del negoziatore, ma anche al fine di produrre un risultato nel merito. Naturalmente gli stessi principi possono essere oggetto di accordo in quanto la regola eteroposta mal dispone la controparte a negoziare per il solo fatto di non aver contribuito al processo decisionale che ha portato all’enucleazione del principio.

La negoziazione sui principi, se da un lato realizza una funzione di autotutela, dall’altra rappresenta un limite interno laddove la parte manifesti una ritrosia a mantenere gli impegni assunti in sede di negoziato. Ancora, il negoziato sui principi favorisce un accordo che sia soddisfacente per entrambe le parti e ne consente la sostenibilità nel lungo periodo. Per tali ragioni è necessario tenere in considerazione anche gli effetti dei negoziati su eventuali partner che non prendono parte agli accordi ma i cui interessi potrebbero essere da questi intaccati.

Si pensi gli accordi siglati fra lo Stato di Israele e la Cina per la produzione dell’aereo da combattimento Falcon. Poiché l’aereo, che avrebbe dovuto essere prodotto nel paese asiatico, presupponeva la concessione di un know-how che gli Stati Uniti, i cui interessi non erano stati presi in considerazione, ritenevano pericoloso, essi manifestarono il loro disappunto facendo naufragare l’accordo.

Il Metodo di Harvard ha profondamente influenzato gli approcci al negoziato esercitando una notevole influenza sugli esperti di tecniche di negoziazione e sugli studiosi di Adr.

Seguendo l’impostazione del Metodo di Harvard, Kohlrieser[25] elenca i dieci passi della negoziazione:

1) instaurare un legame;

2) distinguere la persona dal problema;

3) individuare i nostri bisogni, desideri e interessi;

4) individuare i bisogni, desideri e interessi dell’altro;

5) instaurare un dialogo mirato;

6) creare un obiettivo e cercarne di comuni;

7) trovare alternative, creare proposte e fare concessioni;

8) contrattare per un reciproco vantaggio;

9) giungere a un accordo;

10) concludere o continuare il rapporto in modo positivo.

La principled negoziation è, peraltro, applicata in diversi contesti professionali. Essa è inclusa, ad esempio, fra le best practices delle procedure di conciliazione in seno ad alcuni ordini professionali[26].

I negoziati si inseriscono all’interno di diversi scenari strategici nei quali le parti possono decidere di adottare determinati comportamenti sulla base della previsione delle mosse della controparte. Fra queste vi sono il Dilemma del prigioniero[27] e la Teoria dei giochi[28].

Il Dilemma del prigioniero è considerata una strategia di tipo dominante. L’esempio riportato da tale aneddoto è quello di due complici in un reato che, tradotti in carcere, vengono interrogati separatamente dal Pubblico ministero. Costui, non avendo sufficienti prove, e sfruttando la circostanza che il prigioniero A non poteva conoscere la strategia adottata dal prigioniero B, riferisce a ciascuno dei due che, se avesse confessato il delitto più grave, allora sarebbe stato rilasciato. In tale contesto la strategia vincente, ovvero quella che consente di realizzare il payoff più alto, è quella di confessare.

Appare piuttosto evidente come tale tipo di strategia esprima un atteggiamento egoistico orientato al profitto personale. Tale situazione si verifica, ad esempio, nel caso in cui le parti si ispirino al gioco d’azzardo, ovvero utilizzando il buon vecchio bluff. Le tecniche utilizzate in caso di ricorso a espedienti scorretti vanno dall’inganno deliberato alla guerra psicologica[29], fino a sperimentare tattiche di pressione posizionale.

Quali sono i possibili esiti di un negoziato in condizione di disequilibrio fra le parti? Come ci si può difendere da una controparte che non rispetta le regole del gioco o in caso di partner che vanti una posizione negoziale più forte?

Nel primo caso il Metodo di Harvard suggerisce di adottare il «jujitsu negoziale»[30]: a una reazione immediata, tesa a respingere l’azione della controparte, dovrebbe sostituirsi un atteggiamento riflessivo, finalizzato a comprendere le motivazioni che si celano dietro al comportamento del partner. Concretamente, il risultato potrebbe essere raggiunto sollecitando consigli e ponendo domande, ovvero mediante l’adozione di un atteggiamento flessibile teso a sferzare la rigidità del partner in affari.

Quanto all’ipotesi di un negoziato in cui le parti vantino posizioni diverse, una tecnica efficace è quella di sviluppare una propria Mann, ovvero la Migliore Alternativa a un Accordo Non Negoziato[31]. In condizioni di disparità non è affatto detto che sia conveniente per la parte “debole” concludere l’affare, pertanto è bene pensare sin dal principio a quale potrebbe essere un’opzione vantaggiosa nel caso in non si pervenga a un accordo. Maggiore, infatti, sono le potenzialità espresse dalla propria Mann, maggiore è la possibilità di modificare le condizioni del negoziato a proprio vantaggio quando la controparte è più potente.

In presenza dicrisi internazionali il negoziato è il canale preferenziale adottato per il mantenimento delle relazioni diplomatiche con i paesi stranieri. Esso non è soltanto il mezzo più idoneo a prevenire le crisi, ma si rivela uno strumento molto utile anche quando la situazione degeneri verso un conflitto armato.

Nell’era del terrorismo internazionale, in cui la paura domina sulla razionalità, le tecniche di negoziazione sono quanto mai necessarie, pur non riuscendo spesso a evitare “effetti collaterali”.

La necessità di mediare costantemente tra istanze diverse, talora diametralmente opposte, tra civiltà distanti per cultura, religione, usi e costumi, induce a chiedersi se un negoziato sia sempre possibile o desiderabile. Pensiamo ai grandi dittatori della storia, Mussolini, Hitler, Stalin, Pinochet, o agli odierni leader dei movimenti terroristici come Shekau e al-Zawahiri: è possibile «negoziare con il diavolo»[32]? E a quale costo?

La strategia dell’appeasement da parte del primo ministro Chamberlain non impedì l’invasione della Polonia da parte di Hitler nel 1939. Tuttavia, nonostante l’esperienza della Seconda guerra mondiale e le evidenti analogie tra il nazionalsocialismo di Hitler e il totalitarismo di matrice staliniana[33], le circostanze politiche del momento e la corsa agli armamenti nucleari spinsero i paesi europei a evitare lo scontro diretto con Stalin: un atteggiamento di protesta morale verso il comunismo rappresentava, in quel particolare momento storico, la Migliore Alternativa a un Accordo Non Negoziato.

D’altro canto, la storia è anche ricca di esempi in cui il negoziato è stato sacrificato a principi ritenuti indefettibili, pur comportando costi elevati in termini di vite umane: la battaglia delle Termopili è la vicenda più eclatante di una civiltà che non poteva tollerare un’esistenza senza la democrazia e per la quale il sacrificio di trecento spartani rappresentava un costo assai minore rispetto all’avanzata incontrastata di Serse.

Quali sono gli stratagemmi per diventare un buon negoziatore? Shell[34] propone alcuni suggerimenti a seconda che la persona abbia una propensione alla collaborazione o alla competizione.

Un soggetto tendenzialmente cooperativo potrebbe aumentare la propria sicurezza attraverso le seguenti tecniche:

a) spostando l’attenzione dal punto di resistenza (cioè il punto di non ritorno) alla elaborazione di una strategia personale più ampia;

b) elaborando un piano di riserva in caso di fallimento del negoziato: esiste sempre un’alternativa;

c) delegando un rappresentante alla negoziazione;

d) negoziare guardando non ai propri vantaggi personali bensì a quelli della nostra famiglia: in questo modo non si incorre nella trappola del senso di colpa pensando di agireesclusivamente per un vantaggio personale;

e) negoziare immaginando di essere osservati: ciò rafforza le convinzioni del negoziatore;

f) ponendosi obiettivi di miglioramento per attutire la cedevolezza verso la controparte;

g) tentando di ottenere un accordo formale: onestà e fiducia sono spesso mal riposte.

Di contro, le persone tendenzialmente competitive dovrebbero prestare maggiore attenzione ai bisogni e agli interessi altrui, per cui potrebbero:

a) pensare a soluzioni eque per entrambe le parti;

b) imparare a fare domande per comprendere le necessità altrui;

c) sostituire l’uso della forza con il ricorso alle norme;

d) chiedere il consiglio di un esperto in management, per evitare di prendere decisioni basate sulla fretta e l’imprudenza,

e) mantenere la parola data: l’affidabilità è un’ottima credenziale e pone le basi per future negoziazioni;

f) adoperare una negoziazione integrativa, facendo grandi concessioni su questioni poco importanti e poche sui temi rilevanti;

g) non abusare del proprio potere avendo rispetto per la dignità della controparte.

Il Metodo di Harvard ha avuto il merito di valorizzare i risultati del negoziato suggerendo un approccio di tipo tecnico. Esso, tuttavia, presta il fianco a due obiezioni.

La prima riguarda lo scarso valore attribuito alla personalità del negoziatore: condurre proficuamente una trattativa non è questione legata alla sola applicazione di una strategia o di un mero expertise tecnico, è anche questione di propensione.

Il potere di gestire le proprie pulsioni, la duttilità, la prontezza di reazione di fronte all'“effetto sorpresa”, la determinazione, la capacità di persuasione, la compenetrazione negli stati d’animo altrui attengono alla dimensione psicofisica dell’uomo. Come possono essere il portato di un mero processo di apprendimento? Non sono, forse, anche manifestazione di un’attitudine?Paradossalmente, un negoziatore capace di attrarre a sé la controparte, sperimentando una situazione di vicinanza emotiva, ha più probabilità di successo di un negoziatore che si attenga a un vademecum di regole prestabilite.

In secondo luogo, il principio secondo il quale è necessario separare le persone dal problema non è applicabile in tutti i contesti culturali. L’impermeabilità non è sempre una via praticabile.

Guardiamo alle negoziazioni internazionali con partner cinesi e giapponesi[35]: qui valori come lealtà, onore e credibilità prevalgono sulle logiche affaristiche.

In questa tipologia di negoziazioni, in cui l’intuito[36]vince sulla tecnica, rivestono una grande importanza attitudini quali il self control, la capacità di trasmettere armonia, la pazienza, la chiarezza[37], e, soprattutto, la cura e le attenzioni riservate alla controparte[38].

In sostanza, ciò che una negoziazione di questo tipo mira a ottenere non è tanto la conclusione di un business ma l’acquisizione di un valido partner, ovvero di una relazione duratura.

Concludendo, il recupero di una dimensione collettiva del vivere suggerisce un ridimensionamento della spersonalizzazione a favore di una “negoziazione relazionale”.

 

Avv. Prof. Marco Mastracci, Professore supplente di Diritto Internazionale presso UNICLAM.

 

[1]. Per una panoramica generale sulla negoziazione v. d. kahneman, Thinking, Fast and Slow, Farrar, Straus and Giroux, New York 20132; g. kohlrieser, La scienza della negoziazione, ed. it. M. Picozzi, Sperling & Kupfer, Milano 2011; g.r. shell, Bargaining for Advantage. Negotiation Strategies for Reasonable People, Penguin Books, London 20062; ed. it. Adr Center, Il vantaggio di negoziare. Storie e strategie di professionisti della trattativa, presentazione di G. De Palo, L. D’Urso, Giuffrè, Milano 2005; t.c. schelling, The Strategy of Conflict, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 19802.

[2]. Citando un episodio di storia romana, la Prima guerra punica, nella Battaglia di Canne del 216 a.C. Annibale sconfisse i Romani, numericamente superiori, grazie all' “effetto sorpresa”. Usando il medesimo espediente uscì vittorioso anche dalla Battaglia della Trebbia (218 a.C.) e da quella del lago Trasimeno (217 a.C.). Si pensi ancora allo stratagemma di Sir Francis Drake, che nella guerra tra Francia e Inghilterra nel 1585 diede fuoco alle proprie navi al fine di incendiare quelle nemiche, riuscendo così a respingere la Grande Armata spagnola.Nella storia contemporanea piuttosto noto è l’esempio di Erwin Rommel, la cui abilità nella Campagna d’Africa gli valse l’appellativo di “Volpe del deserto”. V. e. Rommel, Memorie, Res Gestae, Milano 2014.

[3]. Istituto di matrice borghese, fortemente connotato dai dettami economici ottocenteschi, il negozio giuridico è espressione del soggetto inteso come centro di imputazione della volontà. Se, in un primo momento, la Teoria del negozio giuridico emancipò l’istituto dallo strumento contrattuale, destinato principalmente all’affermazione del diritto di proprietà, soprattutto in ambito commerciale, l’attuale Codice civile italiano, pur non dando alcuna definizione di “negozio giuridico” contrariamente a quanto avviene per il contratto, descritto dall’art. 1321 del Codice, ha sostanzialmente ricondotto i due istituti a unità. Merito di tale impostazione è l’aver oggettivizzato i rapporti giuridici, contendo l’elemento volitivo entro confini determinati. V. in merito f. gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 200713, p. 771, il quale, con riferimento al termine “atto” di cui all’articolo 1324 del Codice civile, propone un’equivalenza dei termini “atto” e “negozio”, in quanto «deve ritenersi che il legislatore abbia utilizzato questa terminologia al solo fine di non prendere posizione in merito alla possibilità di dar vita alla categoria negoziale».

[4]. Ai sensi dell’articolo 1754 del Codice civile, il mediatore è colui «che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza». In ambito civile e commerciale la materia è regolata dal Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante «Attuazione dell’articolo 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», così come modificato dal Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella Legge 9 agosto 2013, n. 98. Il Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, ha rilanciato il ruolo della mediazione nel senso di strumento di conciliazione stragiudiziale delle controversie, in sostituzione del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal previgente Codice di procedura civile. L’articolo 1, lettera a), del Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, amplifica l’ambito definitorio delineato dal Codice civile qualificando la mediazione come «l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa», sottolineando la funzione propositiva e di impulso del mediatore, che vanta un ruolo propriamente attivo nella vicenda.

[5]. L’articolo 1965 del Codice civile sancisce che la transazione «è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti».

[6]. Il conflitto può essere tanto reale, quanto potenziale. Nel primo caso la divergenza delle parti in merito a fatti, opinioni e percezioni sussiste nella realtà oggettiva; nel secondo caso il conflitto si ingenera sulla base di percezioni distorte dei fatti. La conflittualità dei rapporti interpersonali chiama in causa la Teoria della dissonanza cognitiva, elaborata dal sociologo Leon Festinger nel 1957. Tale teoria si fonda sull’assunto che un individuo tende ad avere una situazione emotiva soddisfacente in presenza di comportamenti coerenti. Quando, invece, il comportamento non è conforme all’idea rappresentata, si sperimenta una fase di dissonanza, che genera a sua volta un disagio per eliminare il quale il soggetto può, in alternativa, produrre un cambiamento nell’ambiente circostante; modificare il proprio comportamento; modificare il proprio approccio cognitivo. Un esempio calzante di dissonanza cognitiva è offerto dalla fiaba di Fedro, La volpe e l’uva. Per approfondimenti v. L. Festinger, Teoria della dissonanza cognitiva, prefazione di Gustavo Iacono, trad. it. S. Zecchi, Franco Angeli, Milano 2001.

[7]. Se, da un lato, la diversità ingenera diffidenza, a ben guardare un negoziatore esperto è piuttosto abile nel trasformare le differenze tra gli attori coinvolti in un grande potenziale. La capacità di prevedere gli obiettivi dei diversi interlocutori e di avvalersi di una serie di parametri quali le stime di probabilità, il grado di propensione al rischio, le preferenze di ordine temporale, i valori di mercato, gli standard professionali e di efficienza, ecc., possono coadiuvare il negoziatore nell’elaborazione di strategie alternative rispetto a quelle che si possono presentare all’inizio di una negoziazione, aumentando in questo modo le opzioni disponibili per le parti in gioco.

[8]. Quando le parti intendono risolvere il conflitto con uno spirito cooperativo esse mirano a ottenere un esito di tipo win-win. V. G. Kohlrieser, op. cit., pp. 204-206.

[9]In re ipsa la comunicazione può essere definita come un sistema di segni, verbali e non verbali, finalizzato allo scambio di informazioni tra i membri di una data comunità e orientato al perseguimento di un interesse, ovvero alla soddisfazione di un bisogno. Se, da un punto di vista strutturale, lo studio della comunicazione umana presuppone la conoscenza del sistema linguistico attraverso l’analisi della sintassi, della semantica (che ha a oggetto il significato) e della semiotica (la Teoria generale dei segni e dei linguaggi), da un punto di vista strettamente pragmatico è importante valutare gli effetti dei diversi stili di comunicazione sul comportamento umano. La conoscenza di registri e usi linguistici permette al negoziatore di muoversi in diversi contesti, a fortiori quando le negoziazioni avvengono tra culture diverse, anche molto distanti tra loro. L’uso di una comunicazione competente, infatti,sarebbe utile colmare il gap che si può generare a causa della diversità dei valori di riferimento. Per approfondimenti sullo studio della Linguistica v. l’opera fondamentale di f. De Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1971; per una disamina degli aspetti semiotici della lingua cfr. U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 19973.

[10]. Si pensi, ad esempio, al contributo dato da Habermas allo studio della Logica del discorso attraverso il richiamo alla motivazione razionale. L’Autore, nell’esposizione della Teoria consensuale della verità, afferma che nell’interazione linguistica tra due o più soggetti, tutti capaci di parlare e di agire, la verità del discorso non è data da ciò su cui cade il consenso, bensì dalle condizioni in cui tale consenso è rilasciato. Ne consegue che «I compromessi sono risultati di comportamenti e di trattative accorte, non di discorsi», in j. Habermas, Agire comunicativo e logica delle scienze sociali, il Mulino, Bologna 19802, p. 333.

[11]. V. i recenti studi sull’intelligenza emotiva, in particolared. goleman, Emotional Intelligence, Bantam Books, New York 1995; trad. it. I. Blum, B. Lotti, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli, Milano 200920. Per la rivalutazione della dimensione emozionale nei processi decisionali della ragione alla luce dei progressi della neurobiologia si veda a.r. Damasio, Descartes’ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, Quill, New York 2000; trad. it. F. Macaluso, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 20092.

[12]Si pensi al Boom economico degli anni Ottanta e Novanta in cui il miraggio della crescita rappresentava l’imperativo del momento. Questa continua pressione verso l’alto ha generato il mito della vendita e dell’iperproduttività, obiettivi da raggiungere a tutti costi: non è un caso che proprio quegli anni possono essere considerati come l’Età dell’Oro della pubblicità, mentre contemporaneamente si assiste allo sviluppo della Programmazione Neurolinguistica (Pnl), con significativi risvolti nell’ambito della comunicazione. Si veda al riguardo m. lombardi (a cura di), Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie. Il senso e il valore della pubblicità, Franco Angeli, Milano 199810, mentre, per quanto riguarda lo studio della Pnl, si rimanda a P. Watzlawick, J. Helmick Beavin, don d. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, trad. it. M. Ferretti, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971; D. Gordon, Metafore terapeutiche. Modelli e strategie per il cambiamento, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1992. Se oggi gli scambi commerciali e le trattative d’affari sono maggiormente improntate alla componente relazionale, ciò è avvenuto in ragione di un mutato sentire, non più orientato (rectius, non soltanto) alla logica del profitto ma pure alla costruzione e al mantenimento di rapporti di lungo periodo con la clientela. Manifestazioni di tale atteggiamento sono le campagne di marketing di diversi brand di abbigliamento, che propongono una scontistica dietro il rilascio di una card su cui accumulare punti; ancora, si pensi alle campagne pubblicitarie di molte aziende telefoniche, come Wind e Vodafone, promotrici di contratti con la clausola “per sempre”. Al di là dell’ammissibilità giuridica e della veridicità di tali iniziative, esse sono comunque orientate alla fidelizzazione del cliente più che al profitto in sé, nella presa di consapevolezza che stabilità della clientela e guadagno possano essere obiettivi non necessariamente antitetici e, soprattutto, di lungo periodo.

[13]. I registri linguistici sono oggetto di studio della Retorica. Disciplina millenaria, la Retorica è nata come l’arte della persuasione e la sua conoscenza era di fondamentale importanza nell’ars oratoria. Pensiamo a quanti discorsi pronunciati da Cicerone nell’antica Roma o da Demostene e Licurgo in Grecia hanno l’influenzato l’azione degli uomini politici o l’opinione pubblica. Le opere classiche più note in materia sono la Rhetorica ad Herennium, il cui autore è sconosciuto, il De Inventione di Cicerone e la Institutio Oratoria di Quintiliano.

[14]. Si noti in, proposito, lo scarto esistente tra la cultura occidentale e quella orientale, in particolare cinese e giapponese, ad esempio nel diverso valore che esse attribuiscono al tempo: nella concezione occidentale il tempo è considerato un bene raro, da cui l’importanza dei programmi e della componente organizzativa; in quella orientale, ove il tempo è maggiormente dilatato, l’aspetto relazionale è preponderante, per cui saranno particolarmente apprezzati valori quali l’umiltà, il rispetto per le tradizioni e le gerarchie, la lealtà, l’onore. Ne consegue che nel primo caso si avrà una comunicazione diretta e incalzante, finalizzata a raggiungere un risultato in tempi ristretti; nel secondo, il negoziatore sarà invece orientato alla cura della relazione interpersonale. Nella cultura orientale prevale, dunque, una visione «fortemente olistica dell’esistenza», in cui «nulla è concordato sino a quando non si è raggiunto l’accordo su tutto», come rileva f. de sanzuane, L’arte della negoziazione nelle trattative con partner cinesi e giapponesi, in http://www.filodiritto.com/documenti/2016/francesco-de-sanzuane_larte-della-negoziazione-nelle-trattative-con-partner-cinesi-e-giapponesi.pdf, pp. 8 e 15.

[15]. E. Biliotti, Teorie e tecniche della negoziazione. Ausili didattici per la formazione sindacale 2007, Centro Studi Nazionale Cisl, in http://www.centrostudi.cisl.it/attachments/article/11/Quaderni_6.pdf, p. 30.

[16]. V. h. Raiffa, The Art of Negoziation. How to Resolve Conflicts and Get the Best Out of Bargaining, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1982.

[17]. Cfr. r. fisher, w. ury, B. Patton, Getting to Yes, Arrow, London 1987; trad. it. A. Giobbio, L’arte del negoziato. Per chi vuole ottenere il meglio in una trattativa ed evitare lo scontro, Corbaccio, Milano 20085.

[18]. R. Fisher, w. ury, B. Patton, op. cit., p. 22.

[19]. Ivi, pp. 48-49.

[20]. Cosìg.r. shell, op. cit., pp. 123-126; g. kohlrieser, op. cit., pp. 218-224.

[21]. La classificazione è proposta da g.r. shell, op. cit., pp. 116 e ss.

[22]. Ivi, pp. 108 e ss.

[23]. Le tecniche di brainstorming nascono in ambito pubblicitario. Si tratta di un momento che precede la presentazione di proposte commerciali o di marketing e che consente la stimolazione dei processi creativi, oltre alla visualizzazione di tutte le opzioni idonee a soddisfare le esigenze del cliente. Si veda in proposito m. lombardi, op. cit., p. 30.

[24]. Cfr. R. Fisher, w. ury, B. Patton, op. cit., p. 102.

[25]. G. Kohlrieser, op. cit., p. 199.

[26]. Cfr. E. Biliotti, Teorie e tecniche della negoziazione. Ausili didattici per la formazione sindacale 2007, Centro Studi Nazionale Cisl, in http://www.centrostudi.cisl.it/attachments/article/11/Quaderni_6.pdf; f. Vircillo, c. Caravati, s. Scartabelli, Il metodo del negoziato di Harvard nel modello di mediazione Geo-Cam ovvero: abbiamo visto giusto?, Geo-Cam, Associazione Nazionale Geometri e Consulenti tecnici, Arbitri e Mediatori, in http://www.geo-cam.it/newgeo/libreria/sklib.php?IDLibro=9.

[27]. Il Dilemma del prigioniero deve il suo nome all’aneddoto utilizzato dal matematico A.W. Tucker per illustrare la strategia. V. r.h. frank,Microeconomics and Behavior, McGraw Hill-Irwin, New York 19973; ed. it. M. Grillo, Microeconomia. Comportamento razionale, mercato, istituzioni, McGraw-Hill Libri Italia Srl, Milano 19982, pp. 241-2.

[28]. Cfr. id., op. cit., pp. 471 e ss. La Teoria dei giochi è stata sviluppata da John von Neumann e Oskar Morgenstern negli anni Quaranta. Essa prevede che ogni gioco sia caratterizzato da tre elementi principali: i giocatori; le strategie di cui essi dispongono; i risultati, ovvero i payoff associati a ogni combinazione di strategie. Si deve al celebre matematico John Nash, cui è ispirata la pellicola A Beautiful Mind, l’applicazione di modelli matematici alla Teoria dei giochi in economia. Da qui l’espressione “equilibrio di Nash”, a significare un assetto di strategie che i giocatori non sono disposti a cambiare uti singuli e di modo che nessuno di essi possa migliorare la propria posizione attraverso una modificazione unilaterale del gioco. Un altro concetto importante elaborato dalla Teoria dei giochi è quello dei giochi “a somma zero”. Si definiscono tali i giochi in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è compensato dalla perdita o dal guadagno di un altro partecipante. Vedi in proposito t.c. schelling, op. cit., pp. 83 e ss., per il quale i giochi a somma zero rappresenterebbero, all’interno della Teoria dei giochi, «a limiting case rather than a point of departure». L’Autore propone un ampliamento dell’ambito di applicazione della teoria suddetta attraverso due linee interpretative: «One is to identify the perceptual and suggestive element in the formation of mutually consistent expectations»; «The other […] is to identify some of the basic “moves” that may occur in actual games of strategy, and the structural elements that the moves depend on; it envolves such concepts as “threat”, “enforcement”, and the capacity to communicate or to destroy communication», ibidem. Cfr. pure e. biliotti, Teorie e tecniche della negoziazione. Ausili didattici per la formazione sindacale 2007, Centro Studi Nazionale Cisl, in http://www.centrostudi.cisl.it/attachments/article/11/Quaderni_6.pdf, pp. 15-18.

[29]. Fra queste vi è la commedia del buono e del cattivo, tipica dei film polizieschi, in cui uno dei poliziotti mostra un atteggiamento irreprensibile, mentre l’altro tende a fare concessioni. Il risultato è che il sospettato collabora, in r. fisher, w. ury, b. patton, op. cit., pp. 179-180.

[30]. Ivi, pp. 147-8.

[31]. Ivi, pp. 135 e ss.

[32]. L’espressione è di g.r. shell, op. cit., p. 260.

[33]. V. Z. Bauman et al., Nazismo, fascismo, comunismo. Totalitarismi a confronto, a cura di Marcello Flores, Bruno Mondadori, Milano 1998.

[34]. V. g.r. Shell, op. cit., pp. 278 e ss.

[35]. Cfr. f. De Sanzuane, L’arte della negoziazione nelle trattative con partner cinesi e giapponesi, in http://www.filodiritto.com/documenti/2016/francesco-de-sanzuane_larte-della-negoziazione-nelle-trattative-con-partner-cinesi-e-giapponesi.pdf.

[36]. Per una rivalutazione dell’elemento intuitivo si veda, ex multis, il contributo di d. kahneman, op. cit., pp. 234 e ss.; a.r. damasio, op. cit., pp. 187 e ss.

[37]. Sotto un profilo tecnico, il registro linguistico italiano non appare particolarmente adatto alla conduzione di negoziati internazionali, sia a causa della sua complessità sintattica sia per l’uso frequente di figure retoriche che, interrompendo la linearità logica del discorso, compromettono la corretta ricezione del messaggio da parte dell’interlocutore. Inoltre, se un registro lessicale ricco e forbito può impressionare l’interlocutore inesperto, di fronte a un partner meno suscettibile agli orpelli linguistici il rischio è quello di uno stile barocco e autoreferenziale, che genera una comunicazione controproducente.

[38]. Questo breve passo, intitolato “La Via suprema” e tratto dal Codice Segreto dei Samurai, esprime mirabilmente lo spirito dell’antico e moderno Oriente e la sua visione etica dell’esistenza: «È cosa difficile odiare l’ingiustizia e amare la giustizia. Infatti, pur considerando come bene supremo il mantenimento della giustizia, si finisce per fare degli errori nel praticarla. C’è una Via che sta al di sopra della giustizia. Raggiungerla è molto difficile e impossibile per degli uomini normali. Vista da questa altezza, anche la giustizia è di un grado inferiore. Questa Via non può essere capita, se non viene sperimentata con tutto l’essere, ma anche se non viene realizzata del tutto, è possibile arrivare ad attuarla in un certo grado. Questo avviene attraverso il dialogo. Anche se uno non arriva ad entrare nella Via, può guardare ad essa stando a lato. Come avviene per il gioco degli scacchi, chi osserva vede meglio di chi gioca. È importante conoscere i propri difetti attraverso la meditazione, ma è ancora meglio attraverso il dialogo. Ascoltare gli altri e leggere libri, mettendo da parte le proprie vedute, sono i mezzi per acquistare la saggezza degli antichi», in y. tsunetomo, Hagakure. Il Codice Segreto dei Samurai, introduzione e traduzione di Luigi Soletta, Editrice Ave, Roma 1993, pp. 41-2.