A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

IL PORTO DI GIOIA TAURO, PORTA SUD PER L’EUROPA, UNA RISORSA STRATEGICA NEL CUORE DEL MEDITERRANEO TRA REALTA' E PROSPETTIVE.

Autore: Avv. Teresa Aloi – Dott.ssa Caterina Aloi

 

Il 90% del commercio estero dell’Unione europea ed il 40% di quello interno alla stessa UE segue le vie del mare. Tra i porti del Mediterraneo quello di Gioia Tauro è il più importante per collocazione geografica, infrastrutture ed efficienza; da solo genera il 72% del Pil calabrese.

Partiamo da questo dato per una ricostruzione storica delle vicende che hanno portato alla nascita ed allo sviluppo di questa grande opera.

La costruzione del porto ha avuto inizio nella prima metà degli anni 70, nell’ambito del progetto speciale per la realizzazione delle infrastrutture del territorio della provincia di Reggio Calabria (Delibera CIPE del 1974).

La realizzazione dell’opera si inserisce nella vicenda della c.d. “Rivolta di Reggio Calabria”, nell’estate del 1970, per l’attribuzione della sede degli organi regionali, quando, nell’ambito di una serie di provvedimenti denominati “pacchetto Colombo”, dal nome dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Emilio Colombo, erano stati assegnati alla Calabria 1.300 miliardi di vecchie lire per la costruzione di un centro siderurgico nella piana di Gioia Tauro ed altri 360 miliardi per una serie di interventi nel settore chimico e meccanico (la Liquichimica di Saline e la SIR di Lamezia Terme); “misure compensative” per la mancata assegnazione del capoluogo di provincia a Reggio, attribuito, invece, a Catanzaro.

Queste iniziative avrebbero dovuto dare lavoro a circa 15 mila persone ma l’obiettivo non può dirsi completamente raggiunto: alcune fabbriche sono state costruite ma non sono mai entrate in funzione. Nella piana di Gioia Tauro fu, inoltre, prevista la costruzione di una diga al servizio del polo siderurgico e nella zona dove oggi sorge il porto furono rasi al suolo 700 mila alberi (principalmente di ulivo e di agrumi) ed un intero paese, Eranova (situato a metà strada tra Gioia Tauro e San Ferdinando), composto da circa 200 famiglie.

Il dimensionamento e le caratteristiche strutturali del porto sono stati determinati dalla sua originaria destinazione funzionale a servizio degli insediamenti industriali pianificati dall’Autorità di Governo, che prevedevano, appunto, la realizzazione in Calabria del V centro siderurgico italiano.

Il 25 aprile 1975, Giulio Andreotti, all’epoca Ministro per il Mezzogiorno, è a Gioia Tauro per la posa della prima pietra e l’inaugurazione del cantiere che costruirà il porto. Andreotti diede prova del suo proverbiale senso dell’ironia commentando la sfiducia delle popolazioni locali nei confronti delle promesse del Governo “i calabresi hanno ragione a diffidare”, disse, “perché spesso alla prima pietra non segue la seconda”; ma questa volta non fu proprio così.

Il CIPE deliberò la costruzione del V centro siderurgico ed affidò alla Cassa per il Mezzogiorno l’esecuzione delle infrastrutture dell’agglomerato industriale di Gioia Tauro-Rosarno; nell’ambito dell’assetto del territorio la Cassa aveva finanziato la realizzazione del porto con uno stanziamento di 75 miliardi di lire.

Alla fine degli anni 70 erano già state realizzate le opere portuali principali (banchine, moli e bacini). Agli inizi degli anni 80, però, si era arrestato il programma dei lavori per la crisi del comparto siderurgico. Lo scalo era stato, quindi, riconvertito da porto industriale a polifunzionale con l’esigenza di rimodulare i programmi di infrastrutturazione, l’assetto operativo ed i piani di sviluppo.

La disponibilità di grandi spazi a ridosso delle banchine portuali, l’ampiezza degli accosti e la profondità dei fondali, riferiti alle dimensioni degli altri porti nazionali, hanno aperto la strada al nuovo assetto funzionale del porto. La prevalenza della tipologia del traffico container che si è affermata alla fine degli anni 80 ed il particolare favore conferitogli dalla sua posizione geografica mediana lungo la direttrice Suez-Gibilterra e baricentrica nel mare Mediterraneo, ne hanno orientato la futura caratterizzazione quale scalo di transhipment (ossia trasporto di merci da nave a nave) di contenitori e merci unitizzate in genere (merci divise in unità o blocchi di dimensioni tali da poter essere facilmente spostate).

L’attività operativa ha avuto inizio nel 1995 e si è sviluppata a ritmo elevato fino a far assumere allo scalo, in breve tempo, il ruolo di leader nel settore del transhipment suscitando l’interesse delle maggiori compagnie di navigazione; il 6 agosto 1998 il porto accoglie per la prima volta la nave Regina Maersk (Maersk colosso danese, principale armatore al mondo nel trasporto marittimo di container), all’epoca la nave portacontainer più grande al mondo.

Il territorio portuale che ricade nei comuni di Gioia Tauro e San Ferdinando è costituito dalle aree demaniali marittime, dai bacini portuali e dagli spazi acquei antistanti la circoscrizione territoriale dell’Autorità Portuale per come individuata dal D.M. 4 agosto 1998, nonché dalle aree acquisite successivamente al demanio marittimo. Il porto presenta una configurazione a canale, ha una superficie complessiva di 620 ettari di cui 440 destinati al terminal e 180 allo specchio acqueo. L’area del porto è servita da un sistema stradale composto dalla Statale 18 e dall’Autostrada A2 del Mediterraneo, collegato alla rete ferroviaria attraverso la stazione di Rosarno ed alla rete aerea attraverso gli aeroporti di Reggio Calabria e Lamezia Terme.

Situato nel cuore del Mediterraneo, punto d’incontro tra le rotte marittime Est-Ovest ed il corridoio 1 trans-europeo Helsinki-La Valletta, Gioia Tauro è il più grande terminal transhipment presente in Italia ed uno dei più importanti Hub del traffico container nel bacino del Mediterraneo. L’infrastruttura portuale, classificata categoria II-classe I di rilevanza internazionale, è dotata di infrastrutture e mezzi che le consentono di sviluppare ogni genere di servizi, di movimentare qualsiasi categoria merceologica e di accogliere le navi transoceaniche in transito nel Mediterraneo essendo dotata di avanzati e sofisticati sistemi computerizzati che assicurano una veloce rotazione delle navi.

Nel porto, di proprietà pubblica, è attivo un Terminal container, in concessione a MedCenter Container Terminal (MCT) che opera a nome del Gruppo Contship Italia,[1] (guidato da Cecilia EcKelmann Battistello che opera nei porti di La Spezia, Gioia Tauro, Cagliari, Ravenna, Salerno, Tangeri e nel centro intermodale di Melzo, movimentando più di 6,3 milioni di container all’anno) di proprietà di Eurokai, il più grande operatore terminalista indipendente in Europa.

I vantaggi che hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo dello scalo calabrese sono da ricercare, come in precedenza indicato, nella localizzazione baricentrica che permette al porto di servire l’intero bacino del Mediterraneo con una deviazione minima, soltanto 66 miglia marine, dalle principali rotte di navigazione da Oriente ad Occidente, dal Canale di Suez verso lo Stretto di Gibilterra, nell’elevato numero di connessioni feeder (relative a navi di piccole dimensioni) che collegano lo scalo a 50 porti del Mediterraneo, nonché in una (sia pure insufficiente) presenza di connessioni intermodali che gli consentono di servire sia il mercato interno che quello dell’Europa Centrale.

I fondali, profondi fino a 18 metri, consentono l’attracco di navi oltre i 20.000 TEU (Twenty Equivalent Unit, unità di misura standard di volume nel trasporto dei container ISO che corrisponde a circa 40 metri cubi totali).

Il porto di Gioia Tauro, tuttavia, soffre la precarietà di un regime commissariale dell’Autorità Portuale la quale, ancorchè istituita con D.P.R. del 16 luglio 1998 in ottemperanza alla Legge n. 84 del 1994, non vede ancora l’insediamento degli organi di gestione, il che impedisce la realizzazione di piani organici di indirizzo e di programmazione, compreso il Piano Regolatore Portuale.

Ma ulteriori nodi vanno sciolti se si vuole pensare ad uno sviluppo totale e reale del porto gioiese, da utilizzare al meglio, come vera grande risorsa dell’intera Calabria. Il problema della Piana di Gioia Tauro è stato ed è, infatti, quello di riuscire a fare interagire la realtà mondiale e vitale del porto con quella disagiata e stagnante dell’entroterra. In tale contesto diviene prioritario un adeguamento della rete infrastrutturale, oggi insufficiente sia nella componente su gomma, sia in quella ferroviaria, che in quella aerea, ma anche un rafforzamento delle sue strutture imprenditoriali.

Il Master Plan messo a punto nel 1997 dal Comitato interministeriale per l’area di Gioia Tauro costituiva un tentativo nella direzione dell’ottimizzazione delle potenzialità dell’area medesima quale infrastruttura di servizio polifunzionale. Le sue principali linee guida prevedevano:

  • un ampliamento dell’area destinata a terminal container che in prosecuzione delle banchine attuali, consentisse l’incremento degli accosti;
  • una zona commerciale-industriale dislocata su una vasta area retro portuale che, avvalendosi di un più favorevole regime doganale, potesse costituire il contenitore di una pluralità di iniziative produttive;
  • un interporto da realizzare in una zona di forte interscambio gomma-rotaia, nella quale potessero trovare allocazione magazzini, punti di stoccaggio, silos, aree di deposito e manutenzione, già assegnato a Gioia Tauro dal Piano Regolatore dei trasporti;
  • un polo traghetti/cabotaggio da localizzare nella zona est per accogliere navi Ro-Ro[2] e navi per traffico passeggeri e merci, con la possibilità di realizzare un terminal Ro-Ro anche per nuovi collegamenti sulla rotta Gioia Tauro- Milazzo, allo scopo di decongestionare il traffico gommato su Villa San Giovanni e Messina;
  • servizi portuali con un’area di raccordo con tutte le operatività tra banchine ed insediamenti esistenti con funzioni di supporto, integrazione, completamento.

Nei primi mesi del 2001 si era, inoltre, discusso della possibilità di realizzare un Terminal petroliere: il progetto, anche se dichiarato temporaneo dal Ministro dei Trasporti dell’epoca, era stato, tuttavia, accantonato a seguito di vivaci proteste sollevate dalla Contship Italia (gestore al 50% del porto) e dal suo principale cliente del tempo, la Maersk Sealand, i quali avevano fatto rilevare l’incompatibilità della coesistenza di un approdo di petroliere con l’attività peculiare del porto, specie con riferimento a motivi di sicurezza e di spazio (le petroliere avrebbero dovuto affrontare l’ingresso in un porto esposto sempre a vento “di traverso” ed ormeggiarsi ad una banchina che si affaccia sul bacino nel quale le grandi navi porta-container già faticano a manovrare).

Il porto ha avuto il merito di fare intravedere per Gioia Tauro e per tutta l’area locale e regionale una diversa visione dei problemi legati alle attività produttive ed alla commercializzazione; ha fatto intravedere, soprattutto, l’opportunità di svincolare le imprese della Regione da lacci e freni che, sul piano delle sfide competitive, costituiscono il più grave ostacolo per affrontare i mercati.

Nel segmento dei containers, sebbene rimanga alta la rappresentatività italiana all’interno del bacino del Mediterraneo, nel corso degli ultimi anni il nostro Paese ha perso notevoli quote di mercato per via dell’accrescersi della competitività degli altri Paesi costieri, in particolare, quelli della sponda sud ed est della Spagna con Algeciras che al momento rappresenta il primo porto del Mediterraneo (il peso del transhipment sul traffico container italiano è passato dal 43%  al 25%). Proprio qui si apre la sfida di Gioia Tauro: grande opera compiuta ma destinata a perire nelle sabbie mobili di un Sud abbandonato a se stesso o risorsa da potenziare per rilanciare economia, formazione, lavoro, non solo al sud ma nell’intero sistema Paese?

L’economia calabrese soffre. La crisi economica internazionale ha solo aggravato una situazione che dall’unità d’Italia ad oggi non è mai stata florida. La criminalità, lo sfruttamento del territorio, decenni di mala politica e malaffare hanno determinato oggi una situazione indegna per una regione che dovrebbe essere il ponte dell’Europa sul Mediterraneo. La Calabria si regge oggi su pochi deboli pilastri scricchiolanti.

Uno di questi è sicuramente il settore commerciale che dovrebbe vantarsi di quello che fu pensato e costruito come una delle più grandi infrastrutture del Mediterraneo: il porto di Gioia Tauro.

Molte navi provenienti dall’Oceano Atlantico trasferiscono le loro merci su cargo mediterranei; per cinesi, egiziani, tedeschi, norvegesi e svizzeri Gioia Tauro è un punto chiave nella geografia economica del Mediterraneo, ma quanti italiani conoscono storia, struttura, potenzialità di questo porto?

L’opinione pubblica identifica ancora Gioia Tauro come “porto della mafia”. E’ vero che la criminalità organizzata ha allungato le sue mani sul porto, in particolare per il traffico di cocaina, ma la quantità di stupefacenti sequestrata nel porto calabrese risulta nettamente inferiore, in termini percentuali, a quella di altri porti nazionali.

A Gioia Tauro ad un certo punto della sua storia si è assistito ad una situazione “particolare”: troppo bello e troppo efficiente, il porto andava in qualche modo frenato, a vantaggio di altri porti in altre regioni.

Gioia Tauro è un porto di transhipment: si fa un’unica operazione, si scaricano i containers da navi enormi e si ricaricano su navi più piccole, destinate a giungere in altri porti, italiani, europei ed africani dove i prodotti vengono lavorati o commercializzati. Le semplici operazioni di carico e scarico sono in gran parte automatizzate; è chiaro che in questo modo il bacino occupazionale utilizzato è molto ridotto rispetto a quanto potrebbe esserlo in un porto propriamente commerciale con un indotto industriale alle spalle.

Nonostante le difficoltà il porto ha continuato ad attrarre containers; il picco più alto si è avuto nell’agosto del 2008 con 3,5 milioni di TEU e con quasi 2.000 persone occupate. Di queste quasi un migliaio dipendono direttamente da MCT, gli altri lavorano, invece, sull’indotto; numeri importanti in una realtà economicamente depressa come la Piana di Gioia Tauro, ma il porto non ha mai fatto il suo salto di qualità.

Le difficoltà iniziano alla fine del 2008 quando cominciano ad andare via i primi grandi vettori, le compagnie che formano Grand Alliance, che si spostano sul porto di Cagliari, un altro terminal di Contship Italia. Iniziano i problemi per i lavoratori portuali: si comincia riducendo quasi a zero le ferie residue per tagliare sui costi del personale. Nel 2010 comincia la Cassa Integrazione Ordinaria per 300 lavoratori per 26 settimane a rotazione. Nel 2011 la situazione peggiora perché altre compagnie abbandonano Gioia Tauro ma soprattutto il gruppo danese Maersk che cambia Hub per la maggior parte dei propri servizi mediterranei di transhipment spostandoli a Malta, Tangeri e Port Said.

Le criticità di Gioia Tauro in rapporto ai suoi concorrenti mediterranei (innanzitutto gli scali nordafricani) vanno ricercati oltre che nei maggiori costi fiscali e del lavoro anche nei problemi di produttività e di assenteismo (i costi per l’attracco sono da un quarto a cinque volte quelli della concorrenza, l’assenteismo è intorno al 15%). Di fronte alla situazione creatasi MCT convoca le parti sociali presentando la proposta di mobilità per 460 unità lavorative ma dopo le trattative condotte in sede ministeriale si ottiene la Cassa Integrazione Straordinaria per 412 lavoratori, a rotazione per cinque mesi ciascuno; il lavoro in più viene gestito a chiamata, secondo le necessità dell’attività ordinaria del porto.

Ci si chiede come sia possibile che in pochi anni si sia riusciti a mettere alle corde un colosso commerciale come lo scalo calabrese e pur constatando la fase di difficoltà che il transhipment sta attraversando non ci si spiega come mai questo è l’unico porto in crisi tra tutti quelli gestiti da Contship Italia. Che fine ha fatto il progetto Hannibal[3] che avrebbe dovuto garantire 6-7mila nuovi posti di lavoro sulla logistica ed il retro porto?

Di parole sul porto se ne sono spese tante negli anni, rimane il dato, incontrovertibile, che evidenzia tutti i limiti della politica che non è riuscita o non ha voluto trasformare questa straordinaria occasione di sviluppo in una solida realtà commerciale capace di impiegare un bacino occupazionale enorme e stimolare la nascita di nuove imprese nel contesto territoriale.

Il 2012 si apre con una novità: l’ingresso in MCT del secondo operatore al mondo nel trasporto container, MSC (Mediterranean Shipping Company) compagnia di armamento svizzera che si occupa di trasporto container e di navi da crociera, fondata dalla famiglia Aponte, il cui Presidente è Gianluigi Aponte.

L’ingresso di MSC nell’azionariato della società che gestisce il terminal container assume particolare rilevanza alla luce del fatto che lo scalo calabrese, pur vivendo da alcuni anni un periodo di crisi, resta ancora il primo in Italia per numero di container movimentati. Il pacchetto azionario del gruppo MCT viene così suddiviso in tre quote uguali tra la MCT, la MSC e la Maersk che continua a mantenere il 33% delle quote tramite la sua controllata Apm Terminals. Al secondo posto c’è Genova, primo porto gateway nel ranking nazionale (cioè porto di destinazione delle merci, a differenza di Gioia Tauro che è un porto di transhipment). L’ingresso di MSC consente l’apertura del porto calabrese verso strategiche vie di navigazione sull’asse Cina - America.

Ulteriore rivoluzione societaria in MedCenter Container Terminal si è registrata nel 2015 quando le azioni che deteneva la Maersk passano di mano verso Contship e MSC. Il porto di Gioia Tauro verrà così gestito al 50% da ciascuno dei due colossi.

Nonostante le novità la crisi del porto continua, secondo i dati dell’Autorità Portuale nel 2015 il traffico dei container è calato sensibilmente (-14,2%); sull’attività dello scalo continuano a pesare diversi fattori di debolezza che già negli ultimi anni ne hanno frenato lo sviluppo. Pur rimanendo tra i principali porti del Mediterraneo, Gioia Tauro ha perso il primato acquisito tra la metà degli anni Novanta ed i primi anni Duemila in termini di movimento di container. Nonostante l’aumento del traffico marittimo nel Mediterraneo (cresce di 6 volte il traffico container negli ultimi 20 anni; i primi trenta porti del Mediterraneo hanno raggiunto e superato di gran lunga la soglia dei 50 milioni di Teu, nel 1995 erano 9 milioni), alcuni cambiamenti strutturali hanno fortemente accresciuto la concorrenza con altri grandi porti specializzati nel transhipment presenti in Spagna, nel Nord Africa, a Malta, in Grecia e in Turchia.

Tra i fattori che hanno determinato la crisi del porto vanno individuati la scarsa presenza di attività di trasformazione delle merci nel retro porto, la distanza dai principali mercati nazionali ed internazionali, acuita dalla scarsa dotazione infrastrutturale, in particolare ferroviaria, e dalla mancata istituzione della Zona Economica Speciale[4] capace di offrire procedure agevolate ed incentivi fiscali per la realizzazione di nuovi investimenti o per il funzionamento delle piccole e medie imprese localizzate nell’area.

Anche l’intervento pubblico negli anni successivi non ha prodotto i risultati sperati.

E’ sembrato andare in tale direzione anche il comportamento del Governo precedente a quello attuale che si è impegnato ad ovviare a situazioni poco chiare che si erano formate attorno alla crisi del porto di Gioia Tauro, attraverso interventi mirati che avrebbero garantito la consolidazione finanziaria dello scalo. Da più parti si chiede che vengano rispettati gli impegni assunti a suo tempo dal Governo, che vengano rispettati i piani di investimento promessi in occasione della firma dell’Accordo di Programma Quadro, all’alba della costituzione della Port Agency nel 2016.

Questi provvedimenti insieme all’istituzione della ZES (Zona Economica Speciale) avrebbero dovuto far aumentare il volume dei traffici commerciali che invece sono calati (-8% dei container nel 2018 rispetto al 2017) favorendo i porti di Genova e Trieste che hanno strappato a Gioia Tauro il primato del numero di containers movimentati. Degli investimenti promessi dal Governo poche notizie e l’area portuale e retro portuale, senza l’intervento delle istituzioni e la fidelizzazione di MSC assieme all’attrazione di nuove compagnie, è destinata all’oblio.

Ripercorrendo la storia recente della travagliata riforma porti promossa dall’ex Ministro G. Delrio, la validità dello scalo calabrese non era da mettere in discussione. Si trattava di uno dei porti commerciali più importanti d’Europa, un’infrastruttura all’avanguardia con enormi prospettive di crescita. I porti di Messina e di Milazzo, invece, avrebbero dovuto “piegarsi” al colosso di Gioia Tauro ed essere accorpate ad esso in un’unica Autorità di sistema. Inoltre, questo stesso Governo aveva sostenuto che le armi chimiche provenienti dalla Siria[5] dovessero essere movimentate proprio nel porto calabrese che non aveva rivali in Italia in termini di esperienza e capacità nel monitorare la movimentazione di merci pericolose. Poteva contare su attrezzature efficienti e perfettamente funzionanti all’interno di una realtà portuale che doveva essere particolarmente solida; un centro di eccellenza in poche parole.

Quella decisione a tutti era apparsa “strana” soprattutto alle popolazioni locali: perché mai armi chimiche dovevano giungere in Calabria quando del porto di Gioia Tauro fino ad allora il Governo non si era molto preoccupato?

Quale “ricompensa” per aver affrontato l’ingresso e l’uscita (si spera nella loro totalità) delle armi chimiche siriane, il Governo aveva promesso interventi a favore del porto, come la ZES (ma analoghi provvedimenti erano stati presi anche per i porti del Nord), come l’Accordo Quadro ed il Piano di investimenti (ma a distanza di mesi a Gioia pare non sia arrivato molto), come l’accorpamento di Messina e Milazzo previsto con la riforma porti.

La domanda che da più parti si solleva è: cosa si può fare per scongiurare i licenziamenti di massa e la chiusura dopo 23 anni di attività?

Innanzitutto, procedere davvero con gli investimenti statali promessi e rendere di nuovo competitivo il porto. Alcuni sostengono che, una chance per garantirne il futuro potrebbe essere quella di abbandonare la privatizzazione ed istituire una società a capitale pubblico che gestisca lo scalo calabrese. Se, infatti, MCT che ha gestito fino ad adesso il porto, sta dando prova del fatto che il privato in un territorio difficile come quello della Piana di Gioia Tauro non riesce a garantire il futuro di un certo numero di lavoratori sarebbe completamente inutile puntare su un altro soggetto privato che dovrebbe necessariamente scontrarsi con le “diverse realtà” che operano sul territorio e che negli anni sul porto hanno fatto sentire la propria presenza; lo Stato mantenga gli impegni assunti nel tempo e scenda in campo in prima persona per il rilancio del porto e dei traffici commerciali del Sud.

Divenire attrattivi con un’Area ZES, puntare sulla logistica, sull’apertura e sulla lavorazione dei containers, comporterebbe il pagamento dei dazi o dell’iva esistenti sulle merci in loco e, di conseguenza, la ricchezza prodotta verrebbe distribuita sullo stesso territorio.

La stragrande maggioranza dei containers che sbarcano a Gioia Tauro provenienti dai Paesi extraeuropei, invece, sono solo di passaggio, ossia transitano da Gioia verso altri porti italiani con un modello denominato T1 (Transito comunitario: modello utilizzato quando è necessario spostare merci originarie di Paesi terzi, non comunitari, da un punto all’altro dell’Unione europea senza riscossione dei diritti doganali; il modello T2, invece, viene utilizzato per le merci comunitarie, nei pochi casi in cui siano ancora soggette a formalità doganali nella circolazione da un Paese comunitario ad un altro) per poi essere sdoganati nei vari porti ed interporti del nord Italia, per cui la vera ricchezza viene trasferita altrove.

Si ritiene, pertanto, sia indispensabile che il Governo predisponga un Piano nei confronti dell’Unione europea, in grado di far pagare i dazi doganali in Calabria nell’ottica di far si che il porto di Gioia Tauro divenga un punto di forza nel Mediterraneo, ruolo che spetta di diritto a tale regione.

Triste ed amara è, infatti, la situazione che ormai da troppo tempo vive questa grande opera. Di proprietà pubblica, ma da oltre 25 anni in concessione a gruppi privati, oggi MSC e MCT, che forse non hanno fatto abbastanza affinchè il porto decollasse (non è mai stata istituita una mensa per i lavoratori del porto e delle navi che in esso sbarcano. Inoltre, solo nel novembre 2018, si è parlato della riattivazione di un presidio medico sanitario di primo soccorso all’interno del porto. L’Autorità portuale ha raccolto il grido d’allarme lanciato dai sindacati visti i molti incidenti all’interno del terminal e la non tempestività dei mezzi di soccorso che devono arrivare dagli ospedali vicini e ha annunciato lo stanziamento di 492 mila euro per tre anni al fine di garantire la copertura h24 del servizio medico, con mezzi di soccorso sempre presenti e con la presenza di defibrillatori nei punti di maggior afflusso di persone).

E’ chiaro che sussistono interessi privatistici ma è altrettanto chiaro che il perseguimento di tali interessi stia compromettendo il futuro della realtà portuale; è necessario, quindi, che gli interessi privati incontrino gli interessi pubblici in un’attività di mediazione. Se, per esempio, MSC dovesse scegliere di trasferire il suo traffico marittimo di containers in altri scali, come è già avvenuto nel porto di Taranto, quando la società Evergreen ha deciso di deviare le sue navi altrove, lasciando le banchine vuote e gli operai a casa, il porto calabrese sarebbe a rischio chiusura. E’ chiaro a tutti che non è ammissibile che questo accada (per inciso, i primi dipendenti assunti a Gioia Tauro, in virtù di un Accordo interconfederale stipulato agli inizi degli anni 90 si erano “tassati” lo stipendio per consentire l’avvio delle attività portuali; Protocollo 23 luglio 1993).

Ci si chiede perché Gioia Tauro non sia rientrata nella c.d. “Via della Seta”, situazione naturale vista la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e perché non si intrattengono rapporti con la vicina Piraeus Port Autority (Grecia). Esemplare è il caso della cinese Cosco Pacific che ha comprato per circa 370 milioni di euro il Piraeus Container Terminal diventato il centro della distribuzione dei container cinesi diretti in Europa meridionale ed orientale a discapito dei porti di Taranto e di Cagliari. La funzione di transhipment, che ha rappresentato per anni un elemento di forte alimentazione di traffici lungo i porti delle dorsali tirreniche ed adriatiche del Mediterraneo centrale in proiezione nord europea, è stata fortemente ridimensionata dalle politiche delle grandi compagnie di shipping che tendono a crearsi basi di transhipment direttamente controllate e dedicate alle grandi mega-navi con capacità fino a 20.000 TEU; Gioia Tauro potrebbe accogliere navi di tale stazza ed avere un ruolo strategico tra Asia ed Europa.

Il Prof. Adriano Giannola, Presidente dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, un ente privato senza fini di lucro, istituito nel dicembre del 1946), commentando gli ultimi dati sul Mezzogiorno e pensando che la prevedibile contrazione della domanda estera possa abbassare i ritmi di crescita del nostro Paese e del Sud, ritiene che lo sviluppo del porto di Gioia Tauro possa essere un elemento risolutivo. In particolare, afferma che, sottrarre traffici a Rotterdam e ad Amburgo in un momento di decrescita diffusa potrebbe costituire un’ancora di salvezza.

Per recuperare il ruolo di “porto dei miracoli” degli anni 90 occorre rilanciare una politica di logistica ferroviaria-industriale che coinvolga la produzione ferroviaria presente sul territorio ed il lancio di un parco rotabile per il trasporto delle merci di ultima generazione. In uno studio del 2016 CONFETRA (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica) ha stimato che per ogni TEU lavorato si realizza un fatturato di 2.900 euro con un utile di impresa di 250 euro ed un beneficio per lo Stato di 1.450 euro. Un tale servizio genera 42 posti di lavoro per ogni container prodotto.

Dell’istituzione della ZES a Gioia Tauro si parla da tempo. La Zona Economica Speciale ha l’obiettivo di attrarre nuovi investimenti nella regione anche dall’estero. L’offerta dei servizi di un retro porto/ZES deve essere vista in una dimensione che supera quella modesta regionale e riguarda, invece, l’intera area meridionale; è in questo contesto che le nuove attività del porto possono contribuire a fare da volano per lo sviluppo e la crescita dell’economia calabrese. Le nuove strutture logistiche in area retro portuale dovranno, infatti, essere sfruttate per creare valore nell’interscambio commerciale con i Paesi partners commerciali del Mediterraneo quali Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria e Turchia; quest’ultima occupa il primo posto negli scambi commerciali con il Mezzogiorno d’Italia.

La Giunta regionale calabrese, finalmente, ha approvato il Piano di sviluppo strategico della ZES, che prevede incentivi, agevolazioni fiscali, deroghe normative, così come previsto dal Decreto Sud (D.L. 91/2017) varato dal Governo.

Un progetto pronto da mesi che ha ispirato la norma generale ed ha orientato in materia la Commissione europea. Questo Piano costituisce, insieme ai contratti di sviluppo ed al regime di aiuto previsto nelle aree di crisi dalla Legge 181/1989 (Legge per l’attrazione degli investimenti: da aree di crisi ad opportunità di investimento)[6] un sistema poderoso per recuperare il divario storico della Regione con il resto del Paese. E’ il momento di far sapere alle imprese che si può scommettere sulla Calabria, come ha fatto Hitachi Rail Italy S.p.A. ( società del gruppo Hitachi Rail Europe, specializzata nella costruzione di materiale rotabile, dall’alta velocità alle metropolitane senza conducente), ad esempio, firmando un accordo di sviluppo di rilevanza strategica, “Inspire the future”, che prevede la crescita dello stabilimento di Reggio Calabria e 50 nuove assunzioni.

Incentrata su Gioia Tauro, la ZES integra ulteriori aree della Calabria: sono coinvolte le aree portuali di Vibo, Crotone, Corigliano, Villa San Giovanni e Reggio Calabria, quelle aeroportuali di Lamezia, Crotone e Reggio Calabria e le aree industriali vocate. Complessivamente 2.476 ettari che saranno organizzati secondo il modello delle aree produttive ecologicamente attrezzate (APEA), con infrastrutture e sistemi in grado di garantire la tutela di salute, sicurezza ed ambiente.

“Dopo decenni finalmente”, dichiara il Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, “la Calabria si dota di uno strumento di sviluppo che aprirà concrete opportunità per il sistema  delle imprese, l’occupazione ed il territorio”. L’obiettivo è attrarre capitali, soprattutto esteri, e favorire l’insediamento delle imprese, in particolare, quelle che operano nei settori dell’agroalimentare (comparto che caratterizza l’area della piana di Gioia Tauro e di Cosenza), del manifatturiero (Vibo Valenzia), dei trasporti e del magazzinaggio (Reggio Calabria).

La ZES dispone “incentivi per la realizzazione degli investimenti iniziali, disponibilità di infrastrutture, di immobili e terreni a canoni di locazione ridotti ed allaccio di utenze a tariffe agevolate; agevolazioni o esenzioni fiscali e deroghe alla regolamentazione ordinaria dei contratti di lavoro; semplificazione amministrativa, attraverso la costituzione di un apposito Sportello Unico e l’assicurazione di procedure snelle, certe e celeri”. Si calcola, una crescita dei livelli occupazionali, dell’upgrading industriale e del trasferimento tecnologico, atteso, anche, un forte impatto indiretto sui territori.

Le nuove prospettive avevano spinto Gianluigi Aponte, Presidente di MSC, seconda compagnia di gestione di linee cargo nel mondo, presente a Gioia Tauro con il 50% delle azioni, a rinnovare l’interesse all’acquisizione del 100% del porto calabrese per raddoppiarne i volumi. Nel 2017 sono stati movimentati nello scalo gioiese il 23% dei complessivi 10,67 milioni di TEU dei porti italiani.

Il 12 luglio 2018 nel porto di Gioia Tauro ha fatto il suo ingresso la nave portacontainer “Maya” della compagnia MSC. Partita dai porti del Far East, dopo alcune settimane di navigazione, l’ultra large container della flotta Mediterranean Shipping Company, passando per il Canale di Suez, ha attraccato alla banchina dello scalo calabrese. Si tratta di un vero e proprio gigante del mare dotato di una stazza di 200.000 tonnellate, con una capacità di trasporto che ha superato i 19 mila TEU. Tra gli elementi che hanno indirizzato la scelta del porto di Gioia Tauro hanno, senz’altro, contribuito le caratteristiche tecniche dello scalo. Grazie, infatti, all’attività dell’Autorità Portuale, attenta a mantenere alte le performances infrastrutturali, ai suoi profondi fondali, all’ampiezza del canale ed alla disponibilità dei suoi piazzali, il porto è in grado di ricevere e lavorare contemporaneamente tre navi di ultima generazione, come ha già fatto in passato.

Pronto a dare risposte alle richieste di mercato, per il porto calabrese si tratta di un’ulteriore conferma dei suoi ottimi standard, pienamente riconosciuti dal circuito mondiale dei trasporti marittimi. Soddisfazione è stata espressa dal Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro, Andrea Agostinelli, che ha definito l’arrivo in porto della MSC Maya “una importante attestazione di merito verso il nostro scalo. Vantare così elevati livelli qualitativi significa essere uno tra i porti più importanti di settore a livello internazionale in grado di ottenere la fiducia delle linee marittime mondiali”. Dopo aver concluso le operazioni di sbarco ed imbarco di circa 1.000 containers, la MSC Maya si è diretta verso i porti del Nord Europa, passando per il Canale di Gibilterra.

Sempre nel luglio 2018, il Commissario Agostinelli ha incontrato i vertici del Gruppo Big Logistic, che attraverso la società Auto Terminal Gioia Tauro, gestisce il trasporto delle autovetture nello scalo calabrese, con una capacità di stoccaggio di 18.000 auto. Considerata la spiccata crescita dei volumi, i vertici della società tedesca sono giunti a Gioia Tauro per illustrare il loro piano di sviluppo intorno allo scalo. Nel corso dell’incontro sono state descritte le future prospettive di investimento che puntano a concentrare su Gioia Tauro un maggior incremento dei traffici nel settore delle autovetture. Dal canto suo, il Commissario Agostinelli ha manifestato interesse per la crescita di tali traffici che, negli ultimi anni hanno fatto registrare su Gioia Tauro sviluppi esponenziali. Nello stesso tempo, ha tenuto a sottolineare la necessità di seguire precise procedure pubbliche che diano forma e chiarezza ad ogni possibile progetto di ulteriore incremento dello scalo.

I Presidenti rispettivamente di Unindustria Calabria e Confindustria territoriale di Reggio Calabria, in una dichiarazione congiunta dell’agosto 2018, evidenziano come gli imprenditori calabresi stanno compiendo un grande sforzo per mantenere il porto al centro dell’agenda del Paese. Lo stanno facendo perché sono consapevoli che questa grande infrastruttura è di vitale importanza per il futuro non solo della Calabria ma dell’intero Mezzogiorno. Inoltre, dichiarano di apprezzare l’impegno assunto dall’attuale Ministro per il Sud, al fine di accellerare la nomina del Presidente dell’Autorità Portuale, che dia una prospettiva più stabile e duratura a Gioia Tauro, fermo restando il lavoro svolto dal Commissario Agostinelli. In questi anni, sostengono i Presidenti, si è investito una parte consistente dell’impegno confindustriale sul porto. Una questione sulla quale si sono messe in campo tutte le energie possibili, consapevoli del fatto che il porto è il principale sistema economico della Calabria, in grado di spostare da solo diversi punti percentuali del Pil del Sud Italia. L’impegno ha riguardato diversi temi: dalla ZES, antica battaglia avviata nel lontano 2012 da Confindustria, oggi giunta a compimento, alla costante presenza dei vertici nazionali di Confindustria.

Va registrato l’interesse del Governo in carica su Gioia Tauro, le cui potenzialità restano intatte nonostante la complessità dell’attuale fase economica. Oggi non è tempo di divisioni ma di concretezza e fiducia per arrivare ad un pieno rilancio dello scalo, che deve passare dall’incremento dei volumi di traffico e, dunque, dall’aumento delle linee di shipping. Per fare questo occorre, però, rendere davvero attrattivo il territorio, completando gli interventi per l’intermodalità e raccordando Gioia Tauro con il corridoio paneuropeo Helsinki-La Valletta.

Su Gioia Tauro si gioca una partita decisiva ed è dovere di tutti affrontarla nel migliore dei modi per evitare che l’enorme patrimonio di cui il territorio dispone vada disperso a beneficio di altri porti, italiani e stranieri.

In tale contesto positivo il 6 novembre 2018, il Commissario Agostinelli, ha firmato gli accordi con l’azienda Callipo che ha aperto un capannone di oltre 5 mila mq per lo stoccaggio e la lavorazione dei propri prodotti (conserve di tonno) nell’area industriale; l’azienda ha dato determinate assicurazioni garantendo l’assunzione di 10/12 unità nella fase iniziale ed un investimento di 2 milioni di euro.

Agostinelli sottolinea che Gioia Tauro è all’attenzione del Governo, il promemoria sottoposto al Ministro per le Infrastrutture e Trasporti ed al Ministro per il Sud parla espressamente della situazione di difficoltà/scontro che c’è in questo momento tra i due gestori del porto, MSC e MCT-Contship Italia, le iniziative imprenditoriali che si stanno portando avanti, i licenziamenti.

Si registra un nuovo investimento per il rinnovo del piazzale e dell’area di retro banchina. L’investimento da parte di MCT ammonta ad oltre 14 milioni di euro, con il termine dei lavori previsto entro il 31 dicembre 2019; lo svolgimento di tali interventi non ha alcuna ripercussione sulle attività operative del terminal. Va, inoltre, sottolineata la realizzazione del gateway ferroviario inaugurato qualche mese fa.   

Da qualche tempo, però, sembra sussistere un conflitto tra i due soggetti che gestiscono il porto: MSC e Contship Italia che hanno visioni e strategie imprenditoriali diverse. La Contship Italia che altrove (porto di La Spezia) investe ben 200 milioni di euro a Gioia Tauro ritarda ad effettuare, per la sua parte, gli investimenti necessari ad ammodernare i mezzi in servizio sulle banchine. Gianluigi Aponte, Presidente di MSC, continua ad affermare, infatti, che la sua compagnia, può portare a Gioia Tauro almeno 2 milioni di containers all’anno (in TEU 4 milioni di movimenti) ma per farlo occorre superare la dèfaillance dei servizi offerti da MCT, occorre cioè avere almeno 16 gru funzionanti “sts” per poter operare da nave a terra. Delle attuali 22 gru a disposizione di MCT, secondo Aponte, 11 sono dismesse o non funzionanti, mentre per quanto riguarda i mezzi a terra servono almeno 85/90 carrelli operativi per lo spostamento dei containers nel terminal. L’assenza di almeno 16 gru non consente alla sua compagnia di far arrivare navi superiori ai 16 mila TEU.

A margine del Forum Ambrosetti di Cernobbio (8 ottobre 2018), Aponte ha spiegato che secondo lui la c.d. “Via della Seta” è più ideologica che pratica, forse servirà ma avrà un’importanza secondaria. Sul porto di Gioia Tauro ribadisce le accuse verso Contship di non fare gli investimenti necessari e dichiara di avere come proprio obiettivo l’acquisizione del 100% del porto calabrese se la situazione dovesse rimanere invariata anche se, dice, “i nostri soci non sono disposti a cedere le loro partecipazioni”. Da parte dell’armatore, pertanto, viene ribadito l’interesse sullo scalo: l’obiettivo è quello di raddoppiarne i volumi facendo gli investimenti necessari, quantificati in circa 120 milioni di euro, per risolvere i problemi del porto; somma che l’armatore sarebbe pronto a coprire per la metà, in qualità di azionista al 50%.

Per contro, Contship, nella figura del suo Presidente Cecilia Battistello, contesta i numeri indicati da MSC, che accusa di aver stranamente abbassato i volumi su Gioia Tauro venendo meno agli impegni sottoscritti nel 2015 e cioè di portare nel terminal calabrese almeno 40 mila movimenti a settimana. Afferma, inoltre, che, attualmente, i mezzi del terminal consentono di poter lavorare tranquillamente questi volumi grazie alle 16 gru di banchina ed ai 95 carrelli operativi. Contship Italia in più occasioni ha affermato che per la sua parte sarebbe disponibile ad effettuare investimenti ma solo a due condizioni: l’aumento delle tariffe da parte di MSC, fissate nel 2016 a 42,50 euro, di poco superiori a quelle di Trieste o di Valencia e vicine a quelle del Pireo e l’impegno solenne da sottoscrivere con atti concreti dell’aumento dei volumi promessi.

Situazione, quindi, molto critica per il porto (dove si continuano a registrare licenziamenti di figure dirigenziali).

Il 21 febbraio 2018 il porto di Gioia Tauro è stato l’ultima tappa della visita in Calabria del Coordinatore del Corridoio Europeo Scandinavo-Mediterraneo, Pat Cox che, in quella occasione, ha incontrato il management dell’Autorità Portuale, i terminalisti e successivamente ha visitato il porto. Durante l’incontro si è parlato del sistema dei trasporti in Calabria e del porto di Gioia Tauro nel contesto europeo.

La visita rientrava tra gli eventi del programma TRANMED, promosso dall’associazione WISDO, che ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e che, nell’ultimo anno, ha instaurato un intenso dialogo con la Commissione europea per dare alla Calabria ed alla Sicilia un ruolo non periferico, ma strategico all’interno del corridoio Scandinavo – Mediterraneo.

“Il porto”, recita il comunicato relativo all’incontro, “rappresenta per la Calabria un punto decisivo che ha dimostrato come, una buona intenzione imprenditoriale, sostenuta da idonee capacità realizzative e da una collaborazione virtuosa tra partners pubblici e privati, possa permettere la realizzazione di iniziative imprenditoriali di grandi dimensioni, anche in un territorio complesso come quello calabrese. Oggi lo sviluppo del porto e di tutta l’area che lo circonda non può essere legato solamente al transhipment, che continua ad essere architrave del porto, ma richiede iniziative finalizzate alla creazione delle condizioni necessarie per attrarre sul territorio imprese logistiche ed industriali, italiane ed estere”. Il Coordinatore Cox, nel suo intervento conclusivo ha sintetizzato alcune considerazioni relative alla sua visita ufficiale compiuta in Calabria e Sicilia; ha sottolineato che “se si vuole organizzare una strategia coerente, occorre lavorare insieme per lo sviluppo del Sud Italia. Non è possibile oggi prevedere la programmazione europea nella fase successiva al 2020, ma è fondamentale parlare adesso dei piani futuri. Quindi mi complimento con la  Calabria per aver sviluppato le proposte inserite nel piano e per aver proiettato le strategie di sviluppo della Regione in una prospettiva futura. Condivido, inoltre, la necessità di puntare sulla ricerca e sulla formazione”.

Negli scenari geoeconomici che si vanno delineando a livello globale ed in particolar modo nelle nuove definizioni dei flussi di traffico nel bacino del Mediterraneo, Gioia Tauro per difendere la sua centralità geografica ed il suo ruolo logistico dovrebbe procedere risolutamente ad un cambio di passo dando spazio a quelle attività  portuali connesse allo Short Sea Shipping ( SSS, navigazione a corto raggio) quali RO/RO, RO/PAX (cioè, navi che puntando principalmente al mercato cargo, hanno la possibilità di accogliere anche passeggeri, offrendo vari standard di confort) e MULTIPURPOSE (navi con multifunzioni).

L’impiego di queste funzioni modali renderebbe possibile intercettare e gestire i flussi di traffico attivabili lungo i corridoi longitudinali e trasversali del bacino mediterraneo. L’attivazione di questo tipo di operazioni favorirebbe, infatti, il necessario riequilibrio nelle operazioni del porto; le attività di transhipment nei principali porti europei rappresentano circa un terzo del totale delle movimentazioni portuali.

Il passaggio alle operazioni più complesse ed a più alto contenuto di valore logistico è una necessità soprattutto perché è difficile competere nelle operazioni di transhipment con i porti della sponda sud del Mediterraneo nei quali il costo del lavoro è appena un decimo del nostro e le politiche fiscali e tariffarie sono decisamente più vantaggiose. La competizione dovrebbe, quindi, spostarsi su segmenti di mercato con più elevato contenuto tecnologico e di innovazione maggiormente prossimi al mercato finale di destinazione. E’ questa una strategia vitale e senz’altro praticabile anche nel nostro Paese dove non mancano le intelligenze, fattore competitivo decisivo nella gestione dei cambiamenti in atto nel nuovo contesto dell’economia globale. Certo non si possono nascondere le difficoltà di mettere a sistema questo patrimonio, cosa molto più facile negli altri Paesi europei che, anche per questo, hanno ripreso a crescere ed a svilupparsi.

Nel porto di Gioia Tauro si potrebbe così realizzare una integrazione tra le attività del lungo e del corto raggio in sinergia con le operazioni nelle aree retro portuali, soprattutto dopo l’istituzione della ZES. Tale integrazione potrebbe favorire l’attrazione di quelle imprese che stanno ritrasferendo in Italia e, più in generale, in Europa le attività di produzione dopo una fase di delocalizzazione, il c.d. reshoring. Nella maggior parte dei casi si tratta di imprese che svolgono attività ad alto contenuto tecnologico e di innovazione che non temono la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo e che hanno necessità di servizi logistici di alta qualità certamente erogabili in un ambiente portuale evoluto e gestito in modo consapevole.

Gioia Tauro, per la sua posizione baricentrica nel Mediterraneo e la rilevanza delle sue infrastrutture portuali supera la dimensione territoriale locale per affermarsi come questione nazionale. Esso costituisce un punto di riferimento, in particolare, nella strategia dei rapporti commerciali dell’Italia con i Paesi della sponda sud del bacino del Mediterraneo. Una strategia di rilancio del porto è identificabile nella definizione di nuovi flussi di traffico dei corridoi logistici trasversali al bacino Mediterraneo che potrebbero superare le difficoltà dovute, da un lato, al congestionamento dei traffici nei corridoi della core network  (rete di trasporto) europea, e dall’altro, al molto modesto sviluppo di quello che sarebbe dovuto essere il primo corridoio della rete TEN-T dell’Unione europea[7], il corridoio noto come Berlino-Palermo.

Si tratta di veri e propri corridoi logistici completamente alternativi alla rete stradale, nei quali predomina la parte marittima e dalla cui attivazione può passare il rilancio del porto nella sua duplice veste di collettore dei traffici internazionali e di promotore dello sviluppo dell’economia della Calabria.

I corridoi, articolati su itinerari trasversali (quattro corridoi) e longitudinali (due corridoi), rappresentano una valida alternativa al traffico stradale, considerando anche i costi sociali elevatissimi dell’incidentalità stradale risparmiati con il trasferimento dei flussi commerciali su nave (Programma Europeo Autostrade del Mare, art. 12 bis della Decisione del 29 aprile 2004 n. 884 del Parlamento europeo e del Consiglio).

Per una funzionalità ottimale dei corridoi, a livello nazionale, europeo e nord africano nel quadro intermediterraneo dei flussi export-import, sarebbe opportuno promuovere “Agenzie di promozione e sviluppo di itinerari trasversali e longitudinali” attraverso accordi cooperativi tra Port Authority, terminalisti, operatori di trasporto e logistica, compagnie ferroviarie ed autostradali, operatori dell’industria e del commercio, sfruttando al meglio il quadro degli incentivi nazionali ed europei disponibili per l’utilizzo delle alternative al “tutto strada”.

La crisi del transhipment ha ormai una dimensione internazionale che si mostra in tutta evidenza nei porti che praticano solo questa attività. Essa è frutto di un cambiamento di scenari economici globali nei quali vanno assumendo una certa consistenza fenomeni di riposizionamento competitivo delle maggiori economie occidentali, Italia compresa, nonché l’affermarsi di un processo di maturazione delle economie del Sud-Est asiatico. E’, pertanto, necessario cogliere ed intercettare questi cambiamenti (l’allargamento del Canale di Panama, la nascita in Italia di un nuovo polo portuale in Liguria, il fatto che nel Mediterraneo i competitori crescono e si rafforzano, APM Terminals, società del Gruppo Maersk, sta terminando la costruzione del secondo terminal container a Tangeri in Tunisia, i cinesi di Cosco hanno fatto del Pireo il loro Hub nel Mediterraneo ed in Egitto Port Said, ecc) per non compromettere future possibilità di successo.

Il 5° Rapporto annuale sull’economia marittima italiana elaborato dalla SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) ha registrato una crescita anche in prospettiva del trasporto marittimo mondiale; cresce il ruolo del Mediterraneo, il Mare Nostrum più centrale grazie a Suez (dopo una fase di stabilità di traffico, nel 2017 ha mostrato incrementi importanti e quindi l’espansione del Canale inizia a produrre i suoi effetti), agli investimenti della Cina (4 miliardi di euro investiti in porti e terminal del Mediterraneo), alla presenza di Free Zone strutturate e ad importanti investimenti nei porti. In Italia cresce la componente internazionale del trasporto marittimo e rinasce la consapevolezza di poter svolgere un ruolo fondamentale nel nuovo scenario geo-economico. I porti del Mezzogiorno ricoprono un posto di primo piano nell’ambito della portualità nazionale svolgendo un ruolo significativo per la proiezione internazionale delle filiere meridionali, in particolare quelle legate alle cosiddette “4A”(Agroalimentare, Abbigliamento, Aerospazio e Automotive) e il Bio-farmaceutico. Queste industrie utilizzano per lo più container e altri mezzi navali per trasportare le loro merci nei mercati del Mediterraneo, dell’Estremo Oriente e degli Stati Uniti. Dal 2012 ad oggi la presenza di navi container nel Mediterraneo, di dimensioni superiori ai 13 mila TEU è aumentata del 37%.

Inizia una nuova fase della portualità, un nuovo paradigma 5.0 in cui ogni scalo deve saper attuare strategie non solo votate all’attrazione di traffico ma all’innovazione ed all’internazionalizzazione dell’intero territorio, al sostegno ed alla collaborazione con la ricerca e con la formazione, all’intermodalità ed alla connessione logistica-industria manifatturiera con il supporto delle ZES-Zone economiche speciali.

Nello specifico caso del porto di Gioia Tauro, in controtendenza rispetto ad altri porti italiani, è evidente, quindi, la necessità di accellerare i tempi ed operare in piena concordia delle parti interessate al fine di porre in essere strategie imprenditoriali condivise ed in linea con la nuova fase che non vanifichino gli sforzi ed i sacrifici fatti da tutti in oltre 25 anni di attività.

La fine del 2018 è stata contrassegnata dalla vicenda dei lavoratori licenziati. I licenziamenti risalgono al giugno 2017 quando erano stati mandati a casa 377 lavoratori considerati in esubero dato il calo dei traffici. Per far fronte a tale situazione, a seguito di reiterate proteste, era stato siglato un accordo/intesa tra il gruppo Contship ed i sindacati confederali FiltCgil e FiltCisl, che prevedeva il passaggio di 380 lavoratori del terminal (previo rifiuto volontario) all’Agenzia per la somministrazione, la riqualificazione e la ricollocazione dei lavoratori in conformità a quanto disposto dall’art. 17 della legge 84/94 (l’art. 17 disciplina l’istituto della fornitura del lavoro portuale temporaneo attraverso l’istituzione di un’apposita Agenzia prevedendo, appunto, che l’Autorità portuale abbia il compito di individuare una specifica sola impresa, secondo comma, o agenzia, quinto comma, deputata a detta funzione nel contesto di una determinata realtà portuale. Detta agenzia ha il compito di far fronte al fabbisogno di lavoratori specializzati delle imprese deputate allo svolgimento delle operazioni portuali ex art. 16. Sotto questo aspetto, la finalità dell’impresa/agenzia ex art. 17 è senza dubbio qualificabile di pubblico interesse. La scelta è quella di creare “ad hoc”, per le realtà portuali, un nuovo soggetto imprenditoriale in posizione di monopolio nel mercato specializzato del lavoro portuale). Senza tale accordo, i lavoratori in esubero in scadenza di Cassa integrazione, sarebbero rimasti senza una rete sociale in grado di mantenerli nel mondo del lavoro, tenuto conto che tali lavoratori costituivano un patrimonio di competenza e specializzazione che non poteva essere disperso; contrario all’accordo il sindacato di base Sul e la Uiltrasporti. L’intesa prevedeva, tra l’altro, che ad ogni eventuale lavoratore reintegrato seguisse il licenziamento di un lavoratore operante.

I provvedimenti di licenziamento sono stati impugnati dai lavoratori interessati e le controversie giudiziarie in questi mesi stanno giungendo a sentenza. I giudici del tribunale di Palmi, sezione lavoro, a partire da novembre 2018 hanno accolto i ricorsi annullando i licenziamenti per violazione dei criteri di scelta e condannando MCT al reintegro dei portuali, a provvedere a liquidare le indennità risarcitorie ed alla pesante rifusione delle spese legali.

La situazione che si è così determinata incide pesantemente sulla situazione economica dell’azienda che è già in difficoltà finanziaria e che ha annunciato nuovi licenziamenti per un volume di persone che allo stato non è ancora indicato perché non è noto il numero dei reintegri e l’esito dei giudizi di secondo grado pendenti davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Questa la situazione fino a qualche settimana fa perché lo scenario si è oggi completamente modificato con il cambio al vertice del porto.

Dopo 25 anni di coabitazione, negli ultimi anni particolarmente difficile, arriva il divorzio fra MSC e CONTSHIP, fino a qualche giorno fa socie alla pari in Csm Italia Gate, la società che controlla la MCT, a capo di tutte le attività di movimentazione container nel porto. La Til, una controllata di MSC, che del porto è anche armatore, acquisirà tutte le quote dell’ex partner ed il completo controllo sul transhipment. Dunque Gianluigi Aponte acquisisce la gestione del principale porto container del sud Italia e conferma un piano di investimenti complessivo di oltre 120 milioni di euro, un terzo dei quali già spesi per l’ammodernamento della dotazione tecnica e meccanica.

La cessione arriva al termine di una lunga stagione di braccio di ferro tra Contship e Msc  passata per una “guerriglia industriale” tutta giocata sui mancati investimenti previsti. Solo dietro la minaccia di una revoca della concessione da parte del Governo qualcosa ha iniziato a muoversi fino ad arrivare ad una bozza preliminare di intesa per la cessione del 50% delle quote.

A Gioia Tauro già nelle prossime settimane arriveranno le maxi-gru di nuova generazione necessarie per l’utilizzo dei mega portacontainer da 19mila Teu in linea con gli obiettivi industriali che punterebbero a movimentare nello scalo calabrese fino a 4 milioni di Teu entro due anni. L’accordo preliminare dovrà ora passare al vaglio dell’Authority di regolazione di sistema.

Quale sarà il futuro del porto è ancora presto per dirlo ma da più parti si parla di vera e propria svolta anche se rimane ancora incerto il futuro dei lavoratori reintegrati e di quelli “parcheggiati” presso l’Agenzia Lavoro.

E’ di pochi giorni fa (15 maggio 2019) la conferenza stampa convocata dall’ammiraglio Agostinelli, commissario straordinario dell’Autorità Portuale, per illustrare i vari punti del “business plain” che la Til (gruppo Msc) si è impegnata a realizzare; una nuova fase di completa ristrutturazione del terminal che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi mesi.

Si parte dal livellamento dei fondali i cui lavori partiranno subito. Colossi del mare, come la Mirijam e la Oliver della Msc, transitate in questi giorni, che raggiungono la capacità di 19 mila Teu, possono essere ospitate solo nel porto di Gioia Tauro, tra i terminal italiani, perché dotato di acque profonde oltre 18 metri. Il trend delle super navi è in aumento, tra pochi anni sarà comune lo standard di 21 mila teu per cui si comprende l’importanza di un investimento sotto questo aspetto.

Altra importante novità è rappresentata dal rinnovo del parco gru, con 6 mezzi in arrivo dalla Cina (le prime tre in agosto) e con nuovi carrelli per lo smistamento dei container su più file, in grado di gestire navi più larghe e capienti.

Buone notizie anche per l’interporto; notizia non ancora ufficiale è l’implementazione, all’interno del porto, di attività di manutenzione dei container.

Il Commissario straordinario ha annunciato, inoltre, che il prossimo 5 giugno il Comitato parlamentare darà il nulla osta a due concessioni in zona demaniale. La prima riguarda l’affidamento della gestione di un capannone di 5 mila mq a due società mentre la seconda riguarda un parco area di 62 mila mq per il transhipment di automezzi che verrà dato in concessione alla società Automotiv Gioia Tauro; tutto questo dovrebbe comportare lavoro per decine di persone.

Tali iniziative sollevano questioni di sicurezza e legalità. La Prefettura di Reggio Calabria, il Ministero delle Infrastrutture e l’Autorità portuale di Gioia Tauro hanno lavorato ad un nuovo Protocollo di legalità sottoscritto in questi giorni con lo scopo di estendere la stessa copertura delle compagnie anche alle società dell’interporto al fine di consentire agli imprenditori di lavorare in tranquillità rispetto ai possibili tentativi di estorsione delle mafie.

Si è parlato, inoltre, di intermodalità ovvero del tanto atteso salto di livello del porto che oggi opera quasi esclusivamente per il transhipment da nave a nave ma che ha sempre ambito ad aprirsi alla logistica, e che potrebbe diventare anche un gateway per l’inoltro dei contenitori nell’entroterra grazie al miglioramento della rete viaria e ferroviaria. Si sta per collaudare il nuovo gateway ferroviario che si ricongiunge alle reti nazionali di RFI e consentirà di far partire i treni direttamente dal porto. Nuovi scenari e nuove prospettive che si spera non verranno deluse.

A conclusione di tale excursus che ha l’obiettivo di mettere in luce l’importanza che riveste il porto di Gioia Tauro nel quadro dei traffici commerciali internazionali è d’obbligo sottolineare “l’assordante silenzio” dei media nazionali in tutti questi anni soprattutto riguardo alla vicenda dei lavoratori licenziati.

E’ proprio da questo “disinteresse” che è nata l’esigenza di dare risalto ad una vicenda che travalica i confini regionali per assumere una valenza nazionale, europea ed internazionale.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro - Dott.ssa Caterina Aloi, Capo redattore Foroeuropa.

 

[1] Contship è l’unione di due parole inglesi, container e shipping (che significano rispettivamente “contenitore” e “navigazione”). La società è nata per offrire un servizio di trasporto dedicato alle merci containerizzabili, cioè trasportabili all’interno di container; operazione oggi considerata normale ma profondamente innovativa 50 anni fa. Tra i primi a credere in questa idea c’era Angelo Ravano, che nel 1969 fondò Contship. La sua prima sfida fu studiare il modo giusto per trasportare i componenti del modello Fiat 124 dallo stabilimento di produzione di Torino, fino allo stabilimento di assemblaggio di Casablanca, in Marocco. Allora le navi Contship potevano trasportare fino a 80 container, oggi le navi porta container sono enormi e arrivano fino a 20 mila TEU (Twenty Equivalent Unit, unità di misura corrispondente ad un contenitore da 20 piedi). Per imbarcare i container sulle navi, il dottor Ravano pensò che sarebbe stato utile avere un molo tutto per Contship, così iniziarono le operazioni di imbarco e sbarco al porto di La Spezia, dove nacque il primo terminal container privato in Italia. Dal porto ligure le navi Contship iniziarono a collegare Paesi sempre più lontani: Francia, Spagna ,Portogallo, Nord Europa ed anche il Medio Oriente.

Oggi Contship si dedica esclusivamente all’attività terminalistica e di trasporto intermodale.

[2] Navi Ro-Ro: Roll-on/Roll-off, è il termine inglese per indicare una nave traghetto vera e propria, progettata e costruita per il trasporto con modalità di imbarco e sbarco di veicoli gommati e di carichi disposti su pianali o in contenitori caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni.

[3] Il progetto Hannibal del 2006, prevedeva un nuovo servizio di trasporto su treno per i containers che transitavano verso la Slovenia e la Croazia. I collegamenti previsti, inizialmente uno a settimana, sarebbero stati attivi tra Gioia Tauro, Lubiana e Zagabria, effettuati, principalmente, a favore di Hapag Lloid, con trazione effettuata da Trenitalia, partner di Hannibal al 50%. Secondo la società Hannibal, il risparmio di tempo sarebbe stato di circa 4/5 giorni per i container marittimi provenienti dall’Estremo Oriente che, in alternativa, sarebbero sbarcati dai porti del Nord Europa. Lo shuttle intermodale doveva impiegare solo 48 ore dal porto calabrese alla capitale croata. Il progetto, secondo le intuizioni degli organizzatori, avrebbe permesso di ridurre notevolmente il traffico stradale tra Olanda, Germania, Austria, Croazia e Slovenia, ponendosi come iniziativa potenzialmente beneficiaria di fondi europei per il trasporto sostenibile (Marco Polo 2).

[4] Le ZES (Zona Economica Speciale) sono aree geografiche circoscritte nell’ambito delle quali l’Autorità governativa applica una legislazione economica differente rispetto a quella applicata nel resto del Paese ed offre incentivi a beneficio delle aziende attraverso strumenti di agevolazioni fiscali/finanziarie e semplificazioni amministrative. La ZES deve essere istituita all’interno dei confini statali, in una zona geografica chiaramente delimitata ed identificata, può essere composta anche da aree territoriali non direttamente adiacenti, purchè abbiano un nesso economico funzionale e deve comprendere un’area portuale, collegata alla rete trans europea dei trasporti (TEN-T), con le caratteristiche stabilite dal regolamento UE n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2013. La gestione dell’area è affidata ad un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell’Autorità Portuale, da un rappresentante della Regione e da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[5] Il 2 luglio 2014 sulla nave siriana” Ark Futura” sono arrivate al porto di Gioia Tauro 800 tonnellate di sostanze letali, poi trasferite su un’unità navale americana, la “Cape Ray”. I primi container sono stati portati fuori dalla stiva della nave con le gru, non sono stati neppure poggiati sul piazzale del porto, ma direttamente posati su un rimorchio e portati sulla nave americana dove erano presenti 35 Marine e 64 chimici dell’Army’s Edgewood Chemical Biological Center e nella quale si sono svolte le operazioni di idrolisi per disattivare i veleni e renderli innocui. Le operazioni si sono svolte nell’arco di una giornata durante la quale il porto ed il retro porto sono stati inibiti ad ogni operatore che non fosse direttamente coinvolto nell’operazione; chiuse le aziende e ferme le lavorazioni. A circondare l’approdo calabrese era stata posta una cintura di sicurezza senza precedenti. Posti di blocco su tutte le strade di accesso, navi e sommozzatori della Marina Militare nelle acque circostanti e spazio aereo vietato . Un bunker di aria e acqua.

[6] La Legge 181/89 finanzia iniziative imprenditoriali per rivitalizzare il sistema economico locale e creare  occupazione, attraverso progetti di ampliamento, ristrutturazione e delocalizzazione. Gli incentivi sono stati riavviati con la pubblicazione del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 9 giugno 2015. L’incentivo è rivolto alle imprese costituite in società di capitali comprese le società cooperative e le società consortili.

[7] Le Reti TEN-T (Trans European Network-Transport), definite dal Regolamento europeo 1315/2013,  sono costituite da un insieme di infrastrutture di trasporto integrate previste per, sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle merci e delle persone, rafforzare la crescita, l’occupazione e la competitività dell’Unione europea. Esse pongono la loro base giuridica sul Trattato di Amsterdam siglato il 2 ottobre 1997. Tuttavia il loro sviluppo in fase avanzata è dovuto al Trattato di Maastrict. La Rete TEN-T è composta da nove corridoi “core”. Quattro interessano l’Italia attraversandola da nord a sud e da est ad ovest: il Baltico-Adriatico, lo Scandinavo-Mediterraneo, il Reno-Alpi ed il Mediterraneo. Il regolamento 1315/2013 prevede per ogni corridoio “core” la nomina da parte della Commissione europea di un Coordinatore europeo con il compito principale di produrre un “corridor work plan” d’intesa con gli Stati membri competenti e con l’assistenza di forum consultivi rappresentativi dei soggetti portatori di interessi del corridoio.