A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

Il diritto al patrimonio culturale in Europa

 Autore: Dott.ssa Antonella Galletti

 

1.- 2. La Convenzione di Faro del 2005 e il diritto a partecipare alla vita culturale– 3. Il diritto alla “partecipazione attiva” di tutti i cittadini alla tutela del patrimonio culturale in Italia

 

  1. Introduzione

Mentre si va alla ricerca di un demoseuropeo, emerge oggi una “nazione europea in cammino”[1], la quale si autopercepisce come sintesi di generazioni passate, presenti e future, nella volontà di vivere insieme in un quadro di principi e valori condiviso.

Appare evidente che questo patrimonio di principi e valori rappresenti parte integrante di quel “retaggio culturale comune” che l’art. 167 tfue[2] chiede di evidenziare; quel che resta da fare è ricondurre tali principi ad unità, incoraggiarne la loro conoscenza.

Come ha scritto Viviane Reding, per poter trasformare una costruzione economica e politica in una comunità di destini, “bisogna che gli europei non si vedano come azionisti più o meno soddisfatti di una società capace di distribuire degli utili […]. Ecco perché per noi europei la cultura non può essere limitata a quella nozione di entertainement che ha corso oltre Atlantico, ma diviene espressione vitale di un’appartenenza comune”[3].

“La cultura è sempre stata connessa a una nazione, anzi è stata un elemento costitutivo dell’identità di una nazione. Oggi abbiamo un approccio diverso, è vista in una dimensione universale, infatti si parla di ‘culture’ del mondo. Gli storici ad esempio abbandonano le storie nazionali per fare lavori globali. Si diffonde il concetto di una cultura che deve essere aperta alla fruibilità universale. E quindi si impone l’idea di cultura come diritto dell’uomo e che non appartiene solo a un cittadino”[4].

La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività, dei valori della cultura si pongono inevitabilmente al centro degli obiettivi di crescita civile, sociale ed economica delle Nazioni. È ormai innegabile che la cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità che, in tutte le sue diverse manifestazioni, deve essere protetto e potenziato.

Ma la cultura non è soltanto uno degli interessi pubblici essenziali, tutelato dalla Costituzione e dai Trattati internazionali; essa rappresenta anche l’oggetto di un insieme di diritti fondamentali del cittadino, della persona, delle formazioni sociali: il diritto di accesso al sistema della produzione culturale, il diritto alla più ampia fruizione di tutti i beni culturali, dei prodotti delle attività culturali[5].

Rendere accessibili le opere del patrimonio artistico culturale e permetterne la più vasta fruizione possibile è compito assunto in primis dagli Stati e dalle loro strutture interne. Ma ci si potrebbe chiedere se esista davvero un diritto dei popoli e degli individui alla cultura, giuridicamente sancito e giuridicamente tutelato. Le politiche culturali europee (nei limiti di competenza dell’Unione nella materia) nonché quelle nazionali, legittimate dai propri ordinamenti, non ne chiariscono il contenuto o, quanto meno, non ne circoscrivono l’ambito, lasciandone tuttavia indefinito lo sviluppo.

Tutela dei diritti culturali e tutela del patrimonio culturale comune (artistico, storico) di una comunità locale, nazionale, europea trovano i loro fondamenti nelle carte costituzionali nazionali e nella legislazione derivante, come nel diritto europeo e nel diritto internazionale. Detto altrimenti, lo sviluppo di politiche culturali o, meglio, di politiche per la cultura genera un diritto alla cultura che sintetizza e tutela situazioni giuridiche soggettive che coprono un vasto range, dal diritto alla tutela delle identità culturali e linguistiche, all’accesso, nonché alla tutela e alla divulgazione della ricerca scientifica e tecnologica: laddove queste garanzie vengano sviluppate (ed concretamente realizzate) si forma un esplicito diritto alla cultura come disciplina autonoma. L’evidente mancanza di unità di tale disciplina deriva dal fatto che essa si correla a molteplici oggetti ed è trasversale anche rispetto al diritto pubblico, al diritto privato, al diritto internazionale ed a quello europeo, trovando il suo riconoscimento su fonti del diritto internazionale, europeo, nazionale e regionale[6].

 

  1. La Convenzione di Faro del 2005 e il diritto a partecipare alla vita culturale

Volendo provare ad individuare una base (giuridica) concreta del diritto alla cultura, un ottimo punto di partenza è certamente rappresentato dalla Convenzione di Farodel 2005[7], per la quale rappresentano patrimonio culturale dell’Europa tutte le forme di patrimonio culturale che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, di comprensione, di identità, di coesione e di creatività; gli ideali, i principi e i valori, derivati dall’esperienza ottenuta grazie al progresso e nei conflitti passati, che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e lo Stato di diritto.

La Convenzione di Faro sposta l’attenzione dal patrimonio culturale in sé considerato alle persone, al loro rapporto con l’ambiente circostante e alla loro partecipazione attiva al processo di riconoscimento dei valori culturali, ponendo il patrimonio come risorsa al centro di una visione di sviluppo sostenibile e di promozione della diversità culturale per la costruzione di una società pacifica e democratica. Questo patrimonio si lega alla cittadinanza europea in modo non astratto, perché già anticipa l’eventualità di programmare situazioni soggettive individuali, intese sia come diritto di chiunque, da solo o collettivamente, di trarre beneficio dal patrimonio culturale (art. 1 della Convenzione), sia come responsabilità nel rispettare del pari il patrimonio culturale di altri come il proprio. Per la prima volta, tale diritto è espressamente riconosciuto parte del diritto a partecipare alla vita culturale e a godere delle arti, come sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[8]e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali[9].

La Convenzione vede come protagonista l’individuo, che è l’artefice del processo di creazione del patrimonio culturale, e riconosce la cultura come forma partecipativa in continuo divenire, in grado di produrre mobilità, informazione, crescita e produzione (art. 2 a). Gli individui diventano parte integrante nel processo d’individuazione, creazione, gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e decidono quali modalità di salvaguardia applicare ad esso.

Tra i meriti riconosciuti a tale Convenzione vi è quello di allargare le questioni riguardanti il patrimonio culturale a tutti gli attori della società, non solo ai professionisti, ma a tutte quelle persone che considerano importante e per qualsiasi ragione vogliono tutelare il proprio patrimonio. Un altro merito è quello di creare le condizioni per attivare un processo dinamico di interazione tra individui e Stati, che può mettere in moto dinamiche nuove, allargando le prospettive nella gestione del patrimonio culturale, nella direzione della novità.

Un concetto fondamentale introdotto dalla Convenzione è quello di “comunità patrimoniale” come un “insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale che esse desiderano sostenere e trasmettere alle generazioni future, nel quadro di un’azione pubblica”. Riconoscendo espressamente i diritti relativi al patrimonio culturale come parte integrante del diritto a partecipare alla vita culturale, la Convenzione si inserisce nella tendenza, sempre più marcata, del diritto internazionale ad ancorare la protezione del patrimonio culturale alla sfera dei diritti umani fondamentali, al di là delle mere questioni coinvolgenti il diritto di proprietà[10].

Tra le varie policies da attuare da parte degli Stati membri al fine di consentire l’esercizio del diritto al patrimonio, la Convenzione pone l’accento innanzitutto sulla necessità di delimitare l’interesse pubblico associato agli elementi del patrimonio culturale, consentendo così di individuare in modo preciso l’oggetto della protezione e giustificarne la regolamentazione giuridica e ogni altra attività pubblica a tutela di fronte all’esercizio di interessi privati. Gli Stati firmatari si impegnano altresì ad adottare le misure per consentire una partecipazione democratica al patrimonio, indirizzate specialmente ai giovani e alle persone svantaggiate, affinché si accresca la consapevolezza del valore del patrimonio e dei diversi benefici che possono derivarne su un piano ambientale, economico e sociale. Tra queste misure rilevanza è attribuita alla presa in considerazione del valore attribuito da ogni comunità al patrimonio culturale in cui essa si identifica, all’educazione e al ricorso alle tecnologie digitali.

Sono passati 14 anni dall’entrata in vigore della Convenzioni di Faro eppure, quella data e quel documento, rappresentano ancora oggi una pietra miliare per chi si occupa di patrimonio culturale e del suo ruolo nella società contemporanea, patrimonio che il documento definisce come “insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”.La Convenzione, partendo dal concetto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrano fra i diritti dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale, compie un passo avanti rispetto agli illustri precedenti, chiamando le popolazioni a svolgere un ruolo attivo nel riconoscimento dei valori dell’eredità culturale e invitando gli Stati a promuovere un processo di valorizzazione partecipativo, fondato sulla sinergia fra pubbliche istituzioni, cittadini privati e associazioni.

Per realizzare quanto detto è indispensabile investire in politiche e strategie rivolte a facilitare non solo l’accesso ma anche la partecipazione alle attività legate al patrimonio e ai processi decisionali ad esso relativi: in altri termini, investire in processi di audience development, inteso come processo cruciale e dinamico che permette alle organizzazioni culturali di mettere il pubblico (inteso non solo come visitatori ma come individui e comunità di riferimento) al centro della propria azione[11]. Da una parte, infatti, l’audience development individua un impegno sui fronti dell’incremento dei numeri della partecipazione e della diversificazione delle fasce di popolazione che usufruiscono di beni e attività culturali. Dall’altra, premesso che le attività partecipative non sono che una delle due facce della medaglia, significa investire sul secondo aspetto legato alla partecipazione, ossia quello della partecipazione ai processi decisionali, attraverso i quali è possibile portare a compimento la visione della Convenzione di Faro. Anche in questo, l’audience development è la strategia su cui puntare, dal momento che il terzo elemento chiave su cui si basa è proprio quello del consolidamento del legame tra istituzioni culturali e cittadini, in cui rientra a pieno titolo la partecipazione ai processi decisionali che possono riguardare non solo le attività ma anche i processi gestionali, e che può essere ottenuta attraverso processi di co-creazione e capacity building interni ed esterni (intesa come incremento delle capacità del personale interno e delle comunità). In Europa il tema è già da tempo presente nel dibattito e in Italia, ad esempio, vi sono esperienze già in atto[12]: i patrimoni culturali sono ormai riconosciuti come beni comuni che hanno avviato esperienze e modelli teorici che ne promuovono la cura e la valorizzazione secondo sistemi sempre più partecipativi[13].

Nell’ambito del patrimonio culturale la partecipazione fa parte di un processo in corso di democratizzazione delle istituzioni culturali, attraverso il quale esse ammettono che le conoscenze, le esperienze e le abilità delle comunità e degli individui valgono tanto quanto quelle degli esperti. I benefici di un approccio partecipativo nella gestione del patrimonio culturale sono chiari: coinvolgere il pubblico, insieme ai professionisti, nella gestione delle risorse culturali può produrre un maggiore senso di proprietà collettiva nella comunità e agevolare la sostenibilità nel lungo periodo delle organizzazioni culturali interessate. Tale approccio richiede anche aggiustamenti nella struttura di governance e un mutamento nella cultura organizzativa delle istituzioni coinvolte, che devono essere pronte a cedere potere, dando alle parti interessate una effettiva opportunità per avere voce, e ad agire come facilitatori dei processi partecipativi. È necessario riunire diversi attori a livello locale, potenziarne le capacità, realizzare progetti trans-settoriali, assicurare che le attività di gestione e di governance siano condotte in modo aperto, partecipativo ed inclusivo. Il patrimonio è formato e definito dalle persone e acquista e sviluppa significati proprio attraverso l’interazione continua con gli individui[14].

 

  1. Il diritto alla “partecipazione attiva” di tutti i cittadini alla tutela del patrimonio culturale in Italia

In riferimento alla “partecipazione attiva” di tutti i cittadini alla tutela del patrimonio culturale vi è da valutare se essa è stata considerata in Italia come un diritto proprio di ogni individuo.

Al pari di molti ordinamenti democratici, anche quello italiano assume la cultura come valore e inserisce tra i principi fondamentali la disposizione che impegna la Repubblica a promuoverne lo sviluppo. Con la formulazione di questo principio, contenuto nell’art. 9 della Costituzione[15], è stata fatta, quindi, la scelta di porre la cultura tra gli elementi caratterizzanti la Repubblica, con il preciso compito di assumere, tra i suoi compiti essenziali, quello della promozione, dello sviluppo e dell’elevazione culturale della collettività.

Dell’art. 9 Cost. la dottrina ha variamente interpretato la portata, talvolta facendo discendere dalla previsione costituzionale la qualificazione dell’ordinamento italiano come “Stato di cultura”[16], considerandolo come strumento teso a favorire il “pieno dello sviluppo della persona umana”[17], al fine di dare piena realizzazione allo Stato sociale.

La norma costituzionale in questione ha sia un valore programmatico che precettivo che impone di adattare la disciplina legislativa alle conseguenze particolarmente rilevanti per i beni culturali ed ambientali anche per far fronte al vertiginoso sviluppo edilizio, e alla tendenza alla mercificazione delle cose artistiche e storiche.Il diritto di godere delle opere d’arte muove da un’esperienza estetica ed emozionale, e non soltanto conoscitiva, esperienza che può coincidere anche con l’ammirazione di un paesaggio naturale.

“L’opera d’arte non esiste perché qualcuno se ne appropri per servirsene, ma per evocare un gioco dell’intelletto e dell’ immaginazione che non rincorre un ordine superiore, ma la pura libertà che dà piacere, senza interessi e senza scopo”[18].

Anche il diritto di fruire e di veder valorizzati i beni culturali va considerato come diritto inviolabile della persona e a tale scopo non è fuori luogo ipotizzare il pericolo dell’inquinamento estetico e culturale proprio della nostra civiltà post-moderna che rischia di subordinare i valori estetici e culturali a quelli nuovi imposti dalle leggi totalitarie del mercato[19].

Da quanto detto, è possibile, quindi, affermare che il diritto alla cultura è previsto dalla stessa Carte fondamentale; ciò che potrebbe creare qualche perplessità è se da tale generico “diritto alla cultura” discende un diritto più specifico di “partecipazione attiva” alla tutela del patrimonio culturale così come sancito dalla Convenzione di Faro del 2005 e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948.

Innanzitutto è necessario premettere che l’Italia è Stato parte della Convenzione di Faro ma siamo ancora in attesa della sua ratifica[20], tuttavia il nostro Paese dovrebbe riconoscere il diritto di partecipazione alla vita culturale così come sancito dalla Dichiarazione del 1948 che è stata da noi ratificata con Legge 4 agosto 1955, n. 848.

Per quanto riguarda il diritto alla cultura in Italia, il più grave errore che si potrebbe commettere parlando dell’art. 9 è di considerarlo come un testo isolato. La nostra Costituzione non è “una collezione di perle”[21], ciascuna delle quali (cioè ciascun articolo) ha un valore staccato dall’insieme, ma è una sapiente e consapevole architettura che delinea un alto orizzonte di diritti, che prefigura un “popolo sovrano” (art. 1) fatto di cittadini che di quei diritti dovrebbero essere consapevoli e dovrebbero impegnarsi a difenderli.

L’art. 9, in particolare, ha un ruolo essenziale per definire la centralità della cultura nell’ambito dei diritti del cittadino. Il diritto alla cultura ha nella nostra Costituzione uno statuto altissimo: cultura, ricerca e tutela contribuiscono al “progresso spirituale della società” (art. 4) e allo sviluppo della personalità individuale (art. 3), legandosi strettamente alla libertà di pensiero (art. 21) e di insegnamento ed esercizio delle arti (art. 33), all’autonomia delle università, alla centralità della scuola pubblica statale, al diritto allo studio (art. 34).

Come ha scritto Montanari, l’art. 9 della Costituzione italiana è “una rivoluzione (promessa) per la storia dell’arte”: “assegnando al patrimonio storico e artistico della Nazione una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo, la Costituzione ha spaccato in due la storia dell’arte”[22].

Ma quale è questa “missione nuova”, questo nuovo compito per gli storici dell’arte (ma anche per chiunque gestisca il territorio, i paesaggi, l’ambiente)? È semplice: conoscere intimamente il patrimonio culturale e paesaggistico, al fine di farlo conoscere a tutti i cittadini, in modo che ciascuno lo consideri come cosa propria, come appartenenza necessaria alla comunità di cui ciascun cittadino fa parte (e che la Costituzione chiama Nazione). In tal modo, il patrimonio culturale e il paesaggio diventano legante della comunità, garanzia di cittadinanza e strumento di eguaglianza fra i cittadini, dunque di democrazia. Questo il progetto della Costituzione, un progetto che ci affascina e che ci interroga: in che misura, però, esso è stato finora attuato? E che cosa si sta facendo perché venga attuato nell’immediato futuro?

La tutela del patrimonio storico-artistico richiede una forte e costante azione conoscitiva, che dispiegandosi attraverso la ricerca degli specialisti nel quadro delle istituzioni (Soprintendenze, università, istituti di ricerca) deve mettersi al servizio della cittadinanza. Il diritto alla cultura, che comporta una sorta di presa di possesso da parte dei cittadini di un patrimonio di bellezza e di memorie accumulato nei secoli, si lega in tal modo strettamente alla sovranità popolare (art. 1 Cost.): nella voce dei Costituenti, la comunità dei cittadini, fonte delle leggi e titolare dei diritti, identifica nel patrimonio culturale e nella ricerca che lo riguarda un ingrediente essenziale di democrazia, di eguaglianza, di libertà. Un privilegio della cittadinanza, che attraverso esso, le consente di partecipare attivamente alla tutela del proprio patrimonio.

Quindi, si può affermare che dal “diritto alla cultura” (privilegio della cittadinanza costituzionalmente previsto) derivi il diritto a partecipare alla tutela del patrimonio culturale da parte di tutta la collettività.

Tuttavia c’è un ma.

“Nessun Paese al mondo ha una Costituzione che affermi il diritto alla cultura con tanta forza e coerenza come fa la nostra Carta fondamentale; eppure nessun Paese in Europa ha tagliato gli investimenti pubblici in questo settore quanto l’Italia…”[23].

La cultura è un bene comune; i valori della cultura (per esempio la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale) non sono un tema “di nicchia”, ma appartengono a una sapiente architettura di diritti che si lega strettamente agli orizzonti fondamentali della democrazia.

Di tali orizzonti la Costituzione italiana è il perfetto manifesto, anche se, come diceva Calamandrei, essa è davvero “la grande incompiuta”[24]: ma questa sua perenne, feconda incompiutezza, non è affatto una ragione per cambiarla, bensì per esigere che venga finalmente messa in pratica. 

Se concepiamo la cultura come il cuore e il lievito dei diritti costituzionali della persona e insieme il legante della comunità, capiremo che essa è funzionale alla libertà e alla democrazia. Che difendere il diritto alla cultura è difendere l’intero orizzonte dei nostri diritti: perché i diritti, se non li difendi, li perdi. Ma se non li conosci, non saprai difenderli. La funzione della cultura è anche questa: farci conoscere i nostri diritti, lo spessore storico, filosofico, etico, religioso dal quale essi provengono. Il futuro che ci permettono di costruire, e per converso il buio in cui precipiteremo se rinunceremo a difenderli.  Per condurre questa battaglia non c’è arma migliore della Costituzione. Dalla nostra giusta indignazione deve nascere un rinnovato esercizio del diritto di resistenza. E la resistenza al degrado della cultura, alla sua progressiva marginalizzazione si esprime anche mediante atti concreti, come la fondazione di nuove istituzioni di ricerca e di studio, la partecipazione di tutti i cittadini alla tutela e alla valorizzazione del proprio patrimonio culturale.

 

Dott.ssa Antonella Galletti, Dottore di ricerca e Cultore di Diritto dell’Unione europea e di Diritto internazionale presso l’Università “Kore” di Enna

 

[1]Fiorillo, Verso il patrimonio culturale di un’Europa unita, inAstrid, n. 4/2011.

[2] Art. 167 tfue: “1. L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. 2. L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: - miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, - conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea, - scambi culturali non commerciali, - creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. 3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa. 4. L’Unione tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture (omissis)”.

[3]Reding, Uno spazio culturale per la cittadinanza europea, Bologna, 2000.

[4]Cassese, in https://agcult.it/a/4840/2018-10-17/la-cultura-come-diritto-dell-uomo-convegno-sui-servizi-culturali-come-servizi-essenziali-di-cittadinanza

[5]ILLUSTRAZIONE DELLE LINEE PROGRAMMATICHE DELL’AZIONE DEL MINISTRO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, Commissioni congiunte, VII Camera e 7 Senato della Repubblica, 23 maggio 2013.

[6]Bilancia, Diritto alla cultura Un osservatorio sulla sostenibilità culturale, in http://www.osservatoriosostenibilitaculturale.it/data/novita/20160923134001_

bilancia-diritto-alla-cultura.pdf

[7] Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale1 per la società, CONSIGLIO D’EUROPA - (CETS NO. 199) Faro, 27 ottobre 2005

[8] Art. 27.1, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata a Parigi dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”.

[9]Art. 15, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, redatto dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, fu adottato a Parigi nel 1966 ed entrato in vigore il 3 gennaio 1976: “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo: a partecipare alla vita culturale; a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni; a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica di cui egli sia l’autore”.

[10]Thérond,Benefits and innovations of the Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, in Heritage and beyond, Council of Europe Publishing, 2008.

[11]Si veda, ad esempio: Fitzcarraldo, ECCOM, Culture Action Europe, Intercult, 2017, Study on Audience Development: how to place audiences at the centre of cultural organizations, in engageaudiences.eu.

[12] Per un approfondimento sul tema, si veda: Mencarelli, “Verso una governance partecipata” in Giornale delle Fondazioni, 2015.

[13]Non è casuale che, nel quadro del Piano di Lavoro per la cultura 2015-2018 presentato dal Consiglio dell’Unione Europea a fine 2014 durante il semestre di Presidenza italiana, uno dei gruppi di lavoro previsti stia lavorando su questo tema.

[14]Da Milano, Dall’oggetto al soggetto. Verso un ruolo nuovo dei cittadini nella gestione del patrimonio culturale, 27 febbraio 2017, in https://www.labsus.org/2018/02/dalloggetto-al-soggetto-verso-un-ruolo-dei-cittadini-nella-gestione-del-patrimonio-culturale/

[15] Art. 9 Cost.: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

[16]Spagna, Musso, Lo stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, 1961, p. 55.

[17]Canducci, La tutela giuridica d’interesse artistico e storico, Padova 1953, p. 102.

[18]Raddoccia, La tutela giuridica dei beni culturali, in www.novaspes.org/userfiles/file/pubblicazioni/Radoccia.doc

[19]Ibidem.

[20] L’Italia ha firmato la Convenzione di Faro il 27 febbraio 2013 ma non l’ha ancora ratificata.

[21]Settis, Intervento al Convegno Nazionale fai, Roma, 10 novembre 2006.

[22]Montanari, L'articolo 9: una rivoluzione (promessa) per la storia dell'arte, in Leone, Maddalena, Montanari, Settis, Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente, Torino, 2013, pp. 26 ss.

[23] http://pellizzari-udine.blogautore.repubblica.it/2015/12/04/settis-a-udine-il-diritto-alla-cultura-nella-costituzione-italiana/

[24]Calamandrei, Discorso sulla Costituzione, 26 gennaio 1955, Milano, Salone degli Affreschi della Società Umanitaria.