A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

AIUTI DI STATO: LA VICENDA ILVA E LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA DEL 21 DICEMBRE 2017 SUGLI AIUTI DI STATO E SULLE MISURE CUI L’ITALIA HA DATO ATTUAZIONE IN FAVORE DI ILVA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA[1]. IL CRITERIO DELL’OPERATORE PRIVATO IN UN’ECONOMIA DI MERCATO (MEOP).

Autore: Dott.ssa Federica Ottaviano

 

Sommario: §1. Introduzione – §2. La Decisione della Commissione europea del 21 dicembre 2017 sugli aiuti di Stato e sulle misure cui l’Italia ha dato attuazione in favore di Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria – §2.1. La garanzia statale sul prestito di €400 milioni (terza misura) – §2.2. Il prestito statale di €300 milioni (quinta misura) –§3. Il criterio del market economy operator test. Applicazioni concrete: Il recente caso italiano ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria – §4. Recenti aggiornamenti sul caso esaminato – §5. Conclusioni

 

  • 1. Introduzione

Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede, all’articolo 3, lettera b), che l’azione dell’Unione Europea sia rivolta, tra l’altro, alla “definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno”.

L’assenza di una definizione normativa di tali concetti sembrerebbe potersi spiegare in considerazione del fatto che, con la nozione di mercato comune, come anche di mercato interno, il legislatore europeo avrebbe inteso individuare un obiettivo più che un concetto giuridico vero e proprio[2].

Al riguardo, nella sentenza Schul la Corte di Giustizia afferma che “la nozione di mercato comune…mira ad eliminare ogni intralcio per gli scambi intracomunitari al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il più possibile simile ad un vero e proprio mercato interno”. In sostanza, la Corte ha inteso sottolineare che il termine “interno” rinvierebbe implicitamente al concetto di mercato nazionale, e che, pertanto, l’obiettivo perseguito dall’Unione consisterebbe nel rendere il mercato comune o unico il più possibile simile al mercato interno, storicamente identificabile nel mercato nazionale di un singolo Stato.

L’instaurazione, nell’ambito dell’Unione europea, di un mercato interno regolato dal principio della libera concorrenza[3] rappresenta uno degli obiettivi fondamentali del processo di integrazione europea[4]. Tale traguardo, prefissato all’interno dei Trattati, è stato perseguito attraverso l’imposizione agli Stati membri di una serie di obblighi e vincoli comportamentali.

Il processo di crescente integrazione europea e la creazione di un mercato interno improntato al rispetto dei principi della libera concorrenza ha reso, pertanto, necessaria l’elaborazione di regole dirette ad impedire agli Stati membri l’adozione di comportamenti potenzialmente idonei a determinare indebite distorsioni della concorrenza.

In tale contesto si inserisce il generale divieto di aiuti di Stato[5], che rende necessaria una verifica preliminare di compatibilità con la disciplina europea in materia, delle operazioni finanziarie o delle misure statali che contemplino l’impiego di risorse direttamente o indirettamente pubbliche.

In ragione di ciò, l’intervento pubblico nell’economia è stato progressivamente condizionato e circoscritto.

Sebbene l’intervento dello Stato a sostegno dell’economia ha costituito e costituisce uno strumento prezioso per promuovere la crescita, lo sviluppo e gli investimenti,è divenuto, tuttavia, necessario che tali le misure d’intervento nell’economia siano concepite in modo da limitare le distorsioni della concorrenza e mantenere il mercato interno aperto e concorrenziale.

 

  • 2. La Decisione della Commissione europea del 21 dicembre 2017 sugli aiuti di Stato e sulle misure cui l’Italia ha dato attuazione in favore di Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria

La disciplina sugli aiuti di Stato ha subìto, nel corso del tempo, un processo di costante e progressiva evoluzione ed ha recentemente raggiunto un notevole grado di complessità tale da rendere necessario un continuo aggiornamento delle procedure e delle regole di azione da parte di ciascuno Stato.

Analogamente, anche l’atteggiamento delle autorità statali rispetto alle problematiche di natura economico-finanziaria ha subìto un progressivo mutamento giustificato dall’esigenza di contemperare il perseguimento degli interessi di rilevanza pubblica con il rispetto della disciplina europea a tutela della concorrenza.

Tale necessario contemperamento e bilanciamento di interessi ha evidenziato il carattere ambivalente del ruolo assunto dallo Stato nell’economia.

Da un lato – sul versante nazionale – il soggetto pubblico deve mantenere la propria fondamentale funzione di tutela degli interessi generali quali la salute, l’occupazione e la salubrità dell’ambiente; dall’altro, ha dovuto – nel rispetto degli impegni assunti a livello europeo – adeguare e calibrare l’azione diretta alla salvaguardia di tali interessi con l’esigenza di non alterare il corretto funzionamento del mercato concorrenziale.

Al riguardo, le Istituzioni europee – ed in particolar modo la Commissione europea – hanno contribuito e contribuiscono, con l’attività di controllo, di vigilanza e di costante monitoraggio, ad assicurare il mantenimento degli equilibri concorrenziali, indirizzando l’azione degli Stati membri in modo da garantire che il perseguimento dell’interesse nazionale non interferisca con la libera interazione tra domanda ed offerta.

La tematica relativa alla difficile risoluzione delle problematiche connesse all’ambigua posizione dello Stato rispetto alle questioni di natura economica è emersa anche nella vicenda che ha interessato lo stabilimento dell’Ilva di Taranto[6].

La Commissione europea, nell’ambito del procedimento d’indagine formale per presunti aiuti di Stato in favore di Ilva S.p.A[7], avviato il 20 gennaio 2016 – a seguito di una serie di denunce formali, presentate tra l’aprile 2014 ed il giugno 2016 – si è occupata, tra l’altro, di chiarire il corretto inquadramento dei rapporti tra azioni di perseguimento degli obiettivi di interesse generale e tutela della concorrenza.

A seguito di una serie di rilievi ambientali, effettuati nella zona di Taranto in cui opera il principale impianto produttivo dell'Ilva, è stata riscontrata la sussistenza di una grave situazione di inquinamento dell'aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, estesa dal sito dell'Ilva alle zone abitate adiacenti della città di Taranto ed idonea a ripercuotersi con gravi conseguenze sulla salute umana e sull'ambiente.

In seguito a tali accertamenti, i principali azionisti e gli ex dirigenti dell’Ilva sono stati incriminati per presunto disastro ambientale.

Tali circostanze hanno, inoltre, determinato l’apertura, nel 2013, a carico di Ilva, di una procedura di infrazione[8], avviata dalla Commissione contro l'Italia per violazione delle direttive 2008/1/CE[9] e 2010/75/UE[10], che fissano per gli Stati membri le norme in materia di concessione di permessi ambientali per gli impianti industriali[11].

Con la decisione di avvio del procedimento del 20 gennaio 2016, la Commissione europea ha comunicato alle Autorità italiane l’intenzione di avviare un’indagine formale sui presunti aiuti di Stato concessi, mediante una serie di misure di sostegno, a Ilva S.p.A., nel periodo intercorrente tra il 2014 ed il 2015, in cui l’impresa era affidata alla gestione dei commissari straordinari nominati dal Governo.

L’indagine formale avviata aveva riguardato – accanto alla misura di trasferimento ad Ilva dei beni sequestrati nel corso dei procedimenti penali a carico dei precedenti proprietari della stessa (prima misura), all’applicazione della legge sulla prededucibilità dei prestiti ad un prestito privato di €250 milioni (seconda misura)  e all'accordo transattivo con Fintecna, diretto a comporre la controversia sorta con Ilva per la copertura delle richieste di risarcimento per i danni ambientali verificatisi anteriormente alla privatizzazione dell’Ilva (quarta misura) – la garanzia fornita dallo Stato su un prestito di €400 milioni (terza misura) ed il prestito statale di €300 milioni concesso ad Ilva (quinta misura).

Nella decisione di avvio dell’indagine formale la Commissione aveva ritenuto, sulla base degli accertamenti preliminari, che tutte le misure fossero potenzialmente idonee a falsare (o minacciare di falsare) la concorrenza e ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri, in considerazione della presenza di concorrenti nel mercato dell'acciaio e dei livelli degli scambi all'interno dell'Unione di prodotti a base d'acciaio ai quali l'Ilva contribuisce.

Nel corso delle successive interlocuzioni con la Commissione europea, le Autorità italiane hanno sostenuto che i diversi interventi a favore dell'Ilva hanno avuto soprattutto lo scopo di dare seguito alle prescrizioni indicate dalla Commissione nel parere motivato reso nell’ambito della procedura di infrazione per mancato rispetto della disciplina europea in materia ambientale.

Al riguardo, tuttavia, la Commissione ha chiarito che: “in linea di principio porre termine alla violazione di un determinato insieme di norme non autorizza a violare un altro insieme di norme[12]”. Secondo la Commissione, infatti, l’adeguamento dell’attività dell’Ilva alle prescrizioni imposte dalle norme ambientali dell'Unione non può comportare la violazione della normativa europea in materia di aiuti di Stato, considerato anche che i concorrenti dell’Ilva nel mercato dell’acciaio sono tenuti a rispettare le norme ambientali dell'Unione senza beneficiare di analoghe misure di sostegno illegali.

Inoltre, la Commissione ha osservato che, ai fini della valutazione della sussistenza di un aiuto di Stato, “non sono considerati rilevanti né la causa né lo scopo dell'intervento dello Stato, ma solo gli effetti della misura sull'impresa. Poiché l'unico aspetto rilevante è l'effetto della misura sull'impresa, le eventuali finalità di tutela ambientale o di altro tipo della misura sono di per sé prive di pertinenza. Risulta privo di pertinenza anche stabilire se il vantaggio sia obbligatorio per l'impresa, in quanto questa non ha potuto evitarlo o rifiutarlo[13]”.

In considerazione di ciò, la Commissione ha confermato l’esclusiva rilevanza degli effetti delle misure e la sostanziale ininfluenza delle motivazioni sottostanti le decisioni d’intervento pubblico, nonché degli obiettivi con esse perseguiti[14].

Sviluppando ulteriormente tale assunto, la Commissione ha chiarito che le misure di riparazione adottate dal soggetto pubblico al fine di rimediare ad un danno ambientale – nelle ipotesi in cui tali misure non siano adottate dal soggetto responsabile o questi non sia stato individuato – non sono escluse dall’ambito di applicazione dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE. Tale disposizione, ad avviso della Commissione, troverebbe applicazione sia nell’ipotesi in cui il responsabile dell'inquinamento non sia stato ancora individuato, che nel caso in cui costui, sebbene individuato, non abbia adottato le necessarie azioni correttive e ripristinatorie.

Pertanto, la Commissione ha ribadito che: “In entrambi gli scenari, gli interventi di bonifica posti in essere dallo Stato diventano aiuti di Stato se lo Stato allevia gli oneri che di norma spetta al beneficiario, come nel caso dell'Ilva, sostenere e non cerca di recuperare presso il responsabile dell'inquinamento, una volta individuato, le risorse utilizzate per la bonifica[15]”.

Nello specifico, la Commissione ha sottolineato che le Autorità italiane erano state autorizzate (con la decisione di avvio dell’indagine) a procedere agli interventi di bonifica urgenti, in via temporanea, cioè soltanto fino al momento in cui il responsabile dell'inquinamento non fosse stato individuato ed in ogni caso, solo a condizione che lo Stato italiano avesse provveduto a recuperare gli importi spesi presso il responsabile dell'inquinamento.

Tale apertura, ha precisato la Commissione, non poteva intendersi come una legittimazione al ricorso assoluto ed incondizionato alle risorse statali per il finanziamento degli interventi necessari a dare seguito alle prescrizioni ambientali di cui al parere motivato o al piano ambientale dell'Ilva[16].

A conclusione dell’indagine effettuata, la Commissione europea, ritenendo che le citate misure 3 e 5 configurassero aiuto di Stato, ha imposto il recupero delle somme indebitamente percepite dall’Ilva, determinate secondo i criteri esposti nella decisione.

Con la decisione conclusiva, pertanto, la Commissione ha confermato la necessità, di attribuire prevalenza alle esigenze di tutela della concorrenza.

 

  •   2.1. § La garanzia statale sul prestito di €400 milioni (terza misura)

Con specifico riferimento alla concessione della garanzia statale su un prestito di €400 milioni, le Autorità italiane hanno sostenuto che il prestito garantito era destinato in via esclusiva al finanziamento dei necessari interventi di bonifica previsti dal Piano ambientale, precisando che il premio di garanzia richiesto (del 3,12 %), avrebbe potuto essere ritenuto conforme ai valori medi di mercato[17].

Inoltre, con specifico riguardo al rischio assunto dal soggetto pubblico con l’operazione in argomento, le Autorità italiane hanno sostenuto che tale rischio dovesse “essere valutato a fronte degli obiettivi di redditività complessiva ” e che, pertanto – essendo la misura destinata a finanziare gli interventi necessari all'adempimento delle prescrizioni ambientali a carico dello Stato – il criterio dell'operatore privato in un'economia di mercato avrebbe dovuto essere applicato tenendo globalmente in considerazione tutte le circostanze esaminate dallo Stato ai fini della decisione di concessione della garanzia, incluso il rilievo secondo cui, a seguito degli interventi di risanamento ambientale effettuati mediante la misura, l'onere complessivamente gravante sulle risorse dello Stato sarebbe risultato più leggero.

Nel procedere all’accertamento di quanto addotto dalle Autorità italiane, la Commissione europea ha applicato il criterio dell’operatore privato in economia di marcato, verificando, in primo luogo, se la situazione economico-finanziaria dell’Ilva fosse, all’epoca della concessione della garanzia, tale che nessun operatore privato razionale avrebbe acconsentito a prestare analoga garanzia in suo favore (in tale ipotesi, la misura esaminata avrebbe configurato un aiuto di Stato di ammontare pari all’intero importo del prestito coperto dalla garanzia) ed accertando, in via successiva, se le condizioni finanziarie previste dalla garanzia remunerassero adeguatamente il rischio assunto dallo Stato.

A conclusione di tale approfondita indagine, la Commissione ha ritenuto che, data la condizione economico-finanziaria dell’Ilva[18] nel periodo in cui la garanzia è stata prestata, un ipotetico operatore di mercato razionale ed orientato dalla logica del profitto avrebbe potuto concedere all’Ilva una garanzia ad un tasso di remunerazione adeguato agli standards di mercato[19].

In conseguenza di ciò, la Commissione ha escluso che la misura oggetto d’indagine potesse contenere un elemento di aiuto di importo pari all’intero ammontare del prestito coperto dalla garanzia.

Una volta escluso che la garanzia pubblica prestata con la misura potesse configurare un aiuto di Stato pari all’intero importo del prestito coperto dalla garanzia, la Commissione ha procedutoa verificare l’adeguatezza, rispetto ai parametri di mercato, del premio annuo di garanzia posto a carico di Ilva.

In primo luogo, la Commissione ha ritenuto di dover escludere – ai fini della verifica di adeguatezza della metodologia adoperata per il calcolo del premio di garanzia – l’utilizzabilità del parere reso, su richiesta delle Autorità italiane, dall’esperto indipendente. Ad avviso della Commissione, infatti, la stima, contenuta nel parere, della remunerazione appropriata che un operatore prudente in un'economia di mercato avrebbe richiesto in cambio della propria garanzia, si sarebbe integralmente fondata sull'errato presupposto che il prestito di 400 milioni di euro, concesso all'Ilva, sarebbe stato trasferito ad una nuova impresa ("NewCo"). Tale parere non avrebbe, pertanto, fornito una stima adeguata delle probabilità che la garanzia venisse escussa, in quanto,“in tale contesto, le autorità italiane avrebbero dovuto valutare l'affidabilità creditizia dell'Ilva (e non di un ipotetico acquirente) e calcolare la LGD[20] utilizzando tale dato ”.

In considerazione di ciò, la Commissione ha proceduto a ricercare parametri di riferimento che consentissero di ricostruire il valore del premio di garanzia che un operatore di mercato avrebbe richiesto per coprire il rischio di inadempimento di un prestito erogato a beneficio di un soggetto assimilabile all’Ilva e versante in analoghe condizioni di difficoltà. La Commissione ha, inoltre, provveduto all’individuazione di parametri idonei a fornire un'indicazione attendibile circa il costo – comprensivo di tasso d'interesse e di premio di garanzia espresso in percentuale – che altre imprese, assimilabili all’Ilva e versanti in analoghe condizioni, avrebbero dovuto sostenere per ottenere un simile prestito.

A seguito di tali analisi e raffronti parametrici, la Commissione ha concluso che l’Ilva, grazie alla misura 3, avrebbe beneficiato di un vantaggio economico, altrimenti non ottenibile a condizioni di mercato, in quanto, un operatore di mercato avrebbe richiesto – per coprire il rischio di inadempimento del prestito da parte di Ilva –una commissione di garanzia più elevata di quella richiesta dallo Stato.

Inoltre, la Commissione ha appurato che, alla data di concessione della misura 3, il costo del finanziamento per le imprese versanti in condizioni analoghe a quelle di Ilva, era notevolmente più elevato di quello di cui ha beneficiato l'Ilva grazie alla garanzia di Stato .

Ai fini della quantificazione del vantaggio, la Commissione ha, tuttavia, riconosciuto di essere riuscita a raccogliere solo indicazioni puramente tendenziali relative ai premi di garanzia ricorrenti sul mercato nel periodo considerato. Tali indicazioni, inoltre, sarebbero state definite con riferimento ad entità non perfettamente comparabili all'Ilva e sarebbero state basate sulle performance di strumenti finanziari non pienamente assimilabili alla garanzia sottoscritta in favore dell'Ilva.

In considerazione di tali rilievi, la Commissione ha escluso l’idoneità di tali dati a costituire un parametro di riferimento adeguato per stabilire, con il necessario livello di precisione, l'esatto tasso di mercato che un ipotetico operatore privato avrebbe richiesto per concedere la garanzia in questione .

Alla luce di tali difficoltà, la Commissione europea, ha fatto ricorso alle indicazioni rinvenibili nella comunicazione in materia di garanzie, che, per circostanze analoghe, dispone che il calcolo del potenziale vantaggio correlato alla concessione di una garanzia (presentante profili di aiuto di Stato), debba essere effettuato mediante la differenza tra il tasso d’interesse di mercato specifico che l'impresa avrebbe dovuto sostenere in assenza di garanzia e quello ottenuto grazie alla garanzia di Stato, previa deduzione dei premi versati.

In applicazione di tale metodologia, la Commissione ha concluso che la determinazione dell'importo del vantaggio conseguito dall’Ilva grazie alla garanzia concessa dallo Stato dovesse essere determinato effettuando la differenza tra il tasso d'interesse di mercato applicato al capitale oggetto del prestito garantito ed il costo finanziario complessivo del prestito garantito effettivamente sostenuto, definito come la somma del tasso d'interesse applicato dalle banche al capitale del prestito (3,3%) e del premio di garanzia applicato dallo Stato (3,12%), calcolati e applicati nel periodo in cui gli importi sono stati messi a disposizione dell'Ilva.

 

  • 2.2 Il prestito statale di €300 milioni (quinta misura)

Con riferimento alla misura 5, consistente nel prestito di €300 milioni, erogato dallo Stato, la Commissione ha evidenziato la possibilità di applicare – ai fini dell'accertamento dell'esistenza di un vantaggio economico – lo stesso ragionamento utilizzato per la misura 3[21]

A tale scopo, essa ha proceduto a verificare – analogamente a quanto fatto con riguardo alla misura 3 – se la situazione di difficoltà economico-finanziaria dell’Ilva fosse, all’epoca della concessione del prestito, tale che nessun operatore privato razionale avrebbe acconsentito a concedere un analogo finanziamento in suo favore (in tale ipotesi la misura esaminata avrebbe configurato un aiuto di Stato per l’intero importo del prestito coperto dalla garanzia).

Sulla base di tale indagine, la Commissione ha concluso che anche alla data di concessione della misura 5 (dicembre 2015) permanessero inalterati gli elementi presi in considerazione (quale l’elevato valore di liquidazione degli attivi dell'Ilva ed il riconoscimento della priorità di rimborso) con riferimento alla misura 3.

Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ha ritenuto che un creditore privato con esperienza nella gestione di crediti a rischio, avrebbe potuto essere motivato a concedere un prestito all'Ilva. Avrebbe, pertanto, potuto escludersi che la misura configurasse un aiuto di Stato di importo pari all’intero valore del prestito concesso con essa.

In via successiva la Commissione ha valutato se le condizioni finanziarie del prestito pubblico[22] remunerassero adeguatamente il rischio assunto dallo Stato.

Sulla base degli accertamenti effettuati, la Commissione ha dimostrato che il costo del finanziamento per imprese assimilabili all’Ilva e versanti in analoghe condizioni, alla data di concessione della misura, fosse notevolmente superiore a quello di cui ha beneficiato l'Ilva[23].

In ragione di quanto accertato, la Commissione ha ritenuto sussistente l’elemento del vantaggio economico altrimenti non conseguibile a condizioni di mercato e, con riguardo alla quantificazione del vantaggio ha affermato – seguendo il medesimo criterio di calcolo adoperato con riguardo alla misura 3 – che l'importo del vantaggio, conseguito grazie al prestito pubblico, debba essere calcolato come la differenza tra il tasso d'interesse di mercato applicato all’importo del capitale oggetto del prestito ed il tasso d'interesse effettivo applicato all'Ilva dallo Stato, avendo riguardo al periodo in cui gli importi sono stati messi a disposizione dell'Ilva.

A conclusione dell’indagine effettuata, la Commissione europea, ritenendo che le citate misure 3 e 5 configurassero aiuto di Stato, ha imposto il recupero delle somme indebitamente percepite dall’Ilva, determinate secondo i criteri esposti nella decisione.

Con la decisione conclusiva, pertanto, la Commissione ha confermato la necessità, ove ne ricorrano i presupposti, di attribuire prevalenza alle esigenze di tutela della concorrenza.

 

  • 3. Il criterio del market economy operator test. Applicazioni concrete: Il recente caso italiano ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria

La prassi decisionale della Commissione europea e le sentenze della Corte di Giustizia hanno contribuito all’identificazione dei casi in cui è possibile rilevare profili di aiuto di Stato, delineando le condizioni la cui presenza congiunta è idonea a configurare una fattispecie di aiuto di Stato: il trasferimento di risorse Statali “sotto qualsiasi forma”, il vantaggio economico altrimenti non conseguibile, la selettività della misura, l’impatto distorsivo sulla concorrenza nel mercato interno[24].

Al fine di accertare la sussistenza di un vantaggio nel senso in precedenza definito, la Commissione europea può ritenere opportuno il ricorso al c.d. test dell'operatore privato in un'economia di mercato (private market operator test), applicando il criterio del market economy operator principle (MEOP)[25]. Alla luce di tale criterio, pertanto, le operazioni economiche effettuate direttamente o indirettamente da autorità pubbliche, possono considerarsi compatibili con il mercato interno e con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, qualora si accerti che siano state effettuate alle normali condizioni di mercato, ovvero alle medesime condizioni che un operatore privato, operante in circostanze ordinarie di mercato, avrebbe accettato[26].

Il criterio di valutazione descritto ha trovato applicazione in una vasta tipologia di interventi in cui i soggetti pubblici hanno agito in veste di: investitori, creditori, garanti, acquirenti o venditori[27].

Da quanto esposto si evince che la disciplina in materia di aiuti di Stato si è venuta articolando progressivamente nel tempo, con la moltiplicazione delle fattispecie suscettibili di configurare un aiuto di Stato incompatibile a norma dell’art.107 TFUE, nonché con l’elaborazione di sempre più sofisticati test e parametri di valutazione, differenziati in ragione delle modalità e delle caratteristiche dell’operazione e del ruolo assunto dal soggetto pubblico: investitore in capitale di rischio, creditore o garante, venditore o acquirente[28].

Dalla ricostruzione storica effettuata[29], è emerso il progressivo mutamento dell’atteggiamento delle autorità statali rispetto alle problematiche di natura economico-finanziaria, giustificato dall’esigenza di contemperare il perseguimento degli interessi di rilevanza pubblica con il rispetto della disciplina europea a tutela della concorrenza.

 

  • 4. Recenti aggiornamenti sul caso esaminato

In data 6 dicembre 2018 i servizi della Commissione europea hanno accertato il completo adempimento, da parte delle Autorità italiane, degli obblighi di recupero delle somme erogate – e costituenti, come accertato con la richiamata Decisione(UE) 2018/1498 del 21 dicembre 2017 aiuto di Stato – nonché dei relativi interessi.

Sulla base di tale constatazione i servizi della Commissione europea hanno disposto la chiusura amministrativa del caso.

 

  • 5. Conclusioni

Alla luce di quanto emerso nella vicenda esaminata, è possibile concludere che il criterio dell’operatore privato in un’economia di mercato ha progressivamente assunto un ruolo determinante e dirimente nell’ambito dell’attività di accertamento della sussistenza di aiuti di Stato rimessa alla Commissione europea.

Esso consente di ricostruire, secondo i principi di razionalità economica, i comportamenti che l’operatore di mercato ideale, naturalmente orientato al profitto, adotterebbe in presenza di determinate circostanze; permette, inoltre, di effettuare un raffronto con le decisioni adottate in concreto dal soggetto pubblico, saggiandone la solidità, nonché l’opportunità e la convenienza economica e valutandone l’ammissibilità sotto il profilo della disciplina in materia di aiuti di Stato.

La struttura estremamente versatile di tale criterio di valutazione ha, come risvolto positivo, l’adattabilità ed agevole applicabilità ad una molteplice varietà di situazioni concrete, presentando, tuttavia, quale inconveniente, un’estrema generalità ed astrattezza che ostacolano o complicano l’individuazione di parametri comparativi perfettamente confacenti alle specifiche situazioni concrete, aprendo spiragli più o meno ampi alla discrezionalità.   

Nell’effettuazione delle verifiche controfattuali, pertanto, occorrerebbe tenere conto anche del fatto che l’autorità pubblica, nel valutare il grado di rischio, l’opportunità economica e l’attuabilità di un’operazione finanziaria, adotta un’ottica di redditività focalizzata maggiormente sulle prospettive di lungo periodo, diversamente da un operatore privato, il quale subordina, solitamente, la realizzabilità dell’operazione alla possibilità di ottenere un cospicuo ritorno economico nell’arco di tempi ragionevolmente ristretti.

Inoltre, bisognerebbe tenere presente il maggior peso che assumono nelle decisioni delle pubbliche autorità le esigenze di interesse generale e la tutela di valori quali la salute, l’ambiente e l’occupazione. L’autorità pubblica, infatti, nel valutare la percorribilità di un intervento finanziario, non può non tenere conto delle esigenze della collettività, esaminando il possibile impatto dell’intervento sulla stessa e optando per una specifica tipologia di intervento in ragione del miglior perseguimento degli obiettivi di rilevanza generale.

Gli stessi Trattati, tra l’altro, non attribuiscono valore assoluto agli interessi legati alla concorrenza, ma ne ammettono il contemperamento con altri interessi aventi rilevanza generale per gli ordinamenti nazionali[30].

La legittimità o meno di una misura, sotto il profilo degli aiuti di Stato, dovrebbe, pertanto essere valutata anche alla luce degli esiti del bilanciamento fra gli interessi propri del mercato e gli obiettivi che possono essere legittimamente perseguiti dagli Stati membri nella definizione della missione di interesse generale delle proprie imprese.

Il rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti costituisce il presupposto di un diverso processo decisionale che conduce all’adozione di un determinato comportamento o all’effettuazione di uno specifico intervento la cui verifica di razionalità economica, talvolta, non può ridursi al raffronto comparativo tipico del criterio dell’operatore di mercato.

Tale impostazione non sembrerebbe, tuttavia, condivisa dalle Istituzioni europee.

A tale proposito, nella più volte richiamata Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato del 2016, la Commissione europea ha precisato che – ai fini della valutazione dell’intervento sotto il profilo degli aiuti di Stato – non è rilevante il fatto che l'intervento costituisca, o meno, un mezzo razionale impiegato dalle autorità pubbliche per perseguire obiettivi di politica pubblica (ad esempio, l'occupazione), sottolineando che l'elemento decisivo è rappresentato dal fatto che le stesse abbiano agito come avrebbe fatto un operatore in un'economia di mercato in una situazione simile[31]. In caso contrario, secondo la Commissione europea, si deve ritenere che l'impresa beneficiaria abbia conseguito un vantaggio economico che non avrebbe ottenuto in condizioni di mercato normali, che le conferisce una posizione più favorevole rispetto ai suoi concorrenti.

Ulteriore conferma in tal senso può trarsi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia[32], dalla quale risulta che una misura, concessa per mezzo di risorse statali, che ponga l’impresa beneficiaria in una situazione finanziaria più favorevole rispetto a quella dei propri concorrenti (e che, per tale motivo, falsi o rischi di falsare la concorrenza, incidendo al tempo stesso sugli scambi tra gli Stati membri), non può sfuggire, ipso facto, alla qualificazione di aiuto in considerazione degli obiettivi perseguiti dallo Stato stesso[33].

Ad avviso della Corte di Giustizia, infatti, il paragrafo 1, dell’articolo 107 del TFUE, non distinguerebbe gli interventi statali a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definirebbe in funzione dei loro effetti sulla concorrenza.

In ragione di quanto esposto è possibile concludere che la disciplina degli aiuti di Stato è chiamata a regolare un fenomeno in costante evoluzione e, di conseguenza, anche le metodologie di verifica ed accertamento pratico della sussistenza di aiuti di Stato risultano essere in continuo affinamento. Il test dell’operatore privato, ad esempio, non trovando espressa menzione all’interno del Trattato e non avendo una disciplina dettagliata – che ne definisca la struttura, gli aspetti funzionali e procedimentali – rappresenta una costruzione in potenziale mutamento e miglioramento.

Sebbene nella maggior parte dei casi l’esito del test conduce a deduzioni corrette, in talune circostanze questo sembrerebbe risultare incerto o discutibile in considerazione degli inconvenienti in precedenza citati.

 

Dott.ssa Federica Ottaviano, avvocato, attualmente funzionario presso il Ministero dell’economia e delle Finanze.

 

[1] Il presente contributo è tratto dalla tesi elaborata dalla sottoscritta nell’ambito del Master di Specializzazione in Studi Europei conseguito nell’anno 2018, presso l’Istituto di Studi Europei “Alcide De Gasperi”.

[2] Cfr. Diritto del mercato unico europeo: cittadinanza, libertà di circolazione, concorrenza, aiuti di stato; Luigi Daniele; 2° ed.; Milano, Giuffrè, 2012,  pag. 10.

[3] In forza del principio di libera concorrenza le imprese sono indotte ad offrire costantemente la miglior gamma possibile di prodotti al prezzo più conveniente, con la conseguenza che nessuno degli operatori è in grado di influenzare il livello dei prezzi e l’andamento delle contrattazioni con le proprie decisioni; ogni operatore, pertanto, considera il prezzo come un dato non modificabile. In tale condizione, ulteriore conseguenza è la fuoriuscita dal mercato delle imprese non competitive, ovvero non in grado di offrire prodotti di qualità a prezzi quantomeno pari a quelli praticati dagli operatori concorrenti. In un libero mercato, l’incontro tra domanda e offerta si delinea a seguito di un gioco competitivo i cui beneficiari ultimi sono i consumatori.

[4] L’idea che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) abbia ridimensionato la rilevanza del principio della concorrenza (a seguito della riformulazione dell’art. 3 del TFUE) è smentita dal tenore dell’art. 127, par. 1, terzo periodo, dello stesso TFUE: secondo cui il SEBC “agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperto e in libera concorrenza”. Tale principio non vincola solo il Sistema Europeo delle Banche Centrali ma anche il complesso delle istituzioni europee, e soprattutto ciascuno degli Stati membri.

Inoltre, nell’unico considerando del Protocollo n. 27 del TFUE, sul mercato interno e sulla concorrenza, si chiarisce che: “il mercato interno ai sensi dell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata”.

[5] Per aiuto di Stato, a norma dell’articolo 107 del TFUE, s’intende ogni forma di agevolazione economicamente apprezzabile, concessa, in assenza di corrispettivo, dallo Stato o comunque mediante risorse pubbliche  ad un numero determinato di imprese o di soggetti che svolgano attività economiche (ad es. enti pubblici, o consorzi), idonea ad attribuire atali beneficiari una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti, che non sarebbe stata acquisita in assenza dell’intervento pubblico. Tali misure si considerano incompatibili con il mercato interno qualora esse incidano sugli scambi tra gli Stati membri, compromettendo o rischiando di alterare il corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali che regolano tale mercato.

[6] L’ILVA è uno dei più grandi produttori europei di acciaio, attiva nella produzione, trasformazione e vendita di prodotti di acciaio al carbonio, che gestisce stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale. L'Ilva, di proprietà della famiglia Riva dal 1996, si trovava in precedenza sotto il controllo dello Stato italiano tramite l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI). Nel 2016, l'Ilva occupava complessivamente circa 14.000 persone, di cui quasi 11.000 presso il suo principale stabilimento produttivo di Taranto, in Puglia.

[7] Secondo la ricostruzione effettuata dalla Commissione, sulla base delle stime della capacità produttiva fornite dall'Ilva e da Eurofer, lo stabilimento dell'Ilva di Taranto ha una capacità produttiva annua che rappresenta il 9,8% della capacità produttiva complessiva di acciaio al carbonio dell'Unione.

[8]  Procedura d'infrazione n. 2013/2177.

[9]  Direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento.

[10] Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali.

[11]  In conseguenza di tali gravi problematiche ambientali, la gestione dell'Ilva è stata attribuita, nel giugno 2013, ad un commissario straordinario, nominato dal Governo con il mandato di garantire la prosecuzione dell'attività industriale, utilizzando le risorse dell'impresa per coprire i costi dei danni arrecati alla salute umana e all'ambiente a causa della violazione delle disposizioni dell'autorizzazione ambientale. In tale contesto, il 14 marzo 2014, il Consiglio dei ministri, ha approvato un Piano ambientale  (con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, a norma dell'articolo 1, commi 5 e 7, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89), volto allal’adozione di tutte le misure necessarie all’avvio degli interventi di bonifica del sito e al ripristino dell’integrità ambientale, alla prevenzione dell'inquinamento e all'adeguamento dello stabilimento di Taranto alle condizioni imposte dalla normativa europea, nonché ai requisiti fissati dall'autorizzazione ambientale.

[12]  Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 129.

[13]  Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 133.

[14]  Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 137: “non è lecito inferire che le misure che costituiscono per se aiuti di Stato cesserebbero di essere aiuti per il semplice fatto che esse vengono utilizzate per attuare il piano ambientale dell'Ilva. La decisione di avvio non lo consente, né avrebbe potuto consentirlo”

[15] Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 134.

[16] Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 136, tra l’altro, la Commissione ha riscontrato che “il piano ambientale cui l'Italia fa riferimento comprende una serie di misure che non possono essere classificate come "interventi di bonifica urgenti", ma piuttosto interventi volti a migliorare l'efficienza dell'Ilva in linea con le norme ambientali applicabili alla produzione di acciaio previste dall'autorizzazione ambientale dell'Ilva”.

[17] Tale commissione di garanzia sarebbe stata definita dalle Autorità italiane tenendo conto delle indicazioni fornite da un esperto indipendente ed applicando la metodologia stabilita nella Comunicazione della Commissione sull'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie.

[18] Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 168: “un'impresa in difficoltà è un'impresa che versa in gravi difficoltà economiche e finanziarie che, in assenza di un intervento da parte dello Stato, nel breve o nel medio periodo, la condurrebbero quasi certamente al collasso economico”.

[19] Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 177, “Tenuto conto della sostanziale differenza tra, da un lato, l'importo del prestito garantito in oggetto (400 milioni di euro) e, dall'altro, l'importo degli altri debiti con priorità di rimborso uguale o superiore (circa […] di euro) e il valore della massa fallimentare dell'Ilva (1,8 miliardi di euro, se si considera il prezzo proposto dal miglior offerente nella recente procedura di vendita), la Commissione conclude che un operatore in economia di mercato avrebbe potuto concedere all'Ilva un prestito o una garanzia a un tasso adeguato durante il periodo in cui l'impresa si trovava in difficoltà.

[20]  LossGiven Default (LGD): perdita in caso di insolvenza.

[21] Cfr. Decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato e sulle misure SA.38613 (2016/c) cui l'Italia ha dato esecuzione a favore dell'Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, del 21 dicembre 2017, par. 204 e 205, la Commissione ha ritenuto non influenti sulla metodologia di accertamento dell’esistenza di un indebito vantaggio, le differenze tra le misure 3 e 5 afferenti alla natura delle stesse – essendo l’una una garanzia dello Stato su un prestito sindacato (ovvero su un prestito concesso da un consorzio di banche) e l’altra un prestito pubblico – e alla differente data di concessione (rispettivamente il 30 aprile 2015 ed il 15 dicembre 2015).

[22] In particolare il tasso di interesse del 2,94 % applicato dallo Stato.

[23] La Commissione ha rilevato la sostanziale sproporzione tra il tasso d’interesse applicato al prestito concesso all'Ilva (pari ad un'aliquota annua del 2,94 %) ed il valore medio ricavabile dal mercato con riferimento ai tassi obbligazionari (pari al 17,6%).

[24] Si tratta di condizioni – in parte espressamente indicate nell’art. 107, par. 1, del TFUE – declinate e approfondite nel tempo dalla Commissione europea e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

[25] Cfr. Documento di lavoro dei Servizi della Commissione europea – Documento di orientamento concernente il finanziamento, la ristrutturazione e la privatizzazione di imprese pubbliche in conformità alle norme in materia di aiuti di Stato, swd (2012)14, del 10 febbraio 2012, par. 2, punto 2, terzo capoverso: “Una misura conferisce un vantaggio all'impresa beneficiaria allorché questa ne ricava un beneficio finanziario o commerciale che non avrebbe potuto ottenere sul mercato (di solito perché lo Stato ha concesso il vantaggio gratuitamente o contro una remunerazione insufficiente). Per valutare qualsiasi tipo di operazione economica effettuata dalle autorità pubbliche si applica il criterio del comportamento di mercato normale, che viene definito dalla Commissione applicando il principio dell’operatore che agisce in un’economia di mercato”.

[26] Dal mancato rispetto di tale condizione consegue l’attribuzione al beneficiario di un vantaggio economico che non avrebbe potuto ottenere rivolgendosi ad un qualsiasi altro operatore privato, nonché l’acquisizione da parte dello stesso di un’indebita posizione di vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti. In tale ipotesi, pertanto, l'intervento pubblico configura un aiuto di Stato.

[27] Conferma di tale ampio spettro applicativo si rinviene nella Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato del 2016, par. 4.2.

[28] Con riferimento a tale ultimo aspetto, la Commissione, nella Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2016/C 262/01), par. 4.2.3.1., punto 103, ha definito alcune delle usuali logiche comportamentali ed i corrispondenti criteri di accertamento rilevando che:

- l'investitore mira a generare profitti investendo in attività economiche;

- il creditore cerca di recuperare gli importi che gli sono dovuti (il capitale ed eventuali interessi), ovvero di ridurre la propria esposizione al rischio di insolvenza del debitore;

- il venditore, in vista della vendita, richiede la valutazione, da parte di un esperto indipendente, del valore di mercato del bene, stimato sulla base di indicatori e di criteri di valutazione generalmente riconosciuti.

[29] Cfr. Capitolo 4: La disciplina sugli aiuti di Stato. Evoluzione.

[30] Cfr. Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, M. D’Alberti, Bologna, 2008, p.118 e ss: “Tali finalità pubbliche, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono legittimare delle misure nazionali in grado di incidere sulle regole del mercato”.

[31] Cfr. Comunicazione della Commissione europea sulla nozione di aiuto di Stato di cui all'articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, (2016/C 262/01), par. 4.2.2., punto 76, in cui la Commissione europea chiarisce ulteriormente che: “Analogamente, la redditività o meno del beneficiario non è di per sé un indicatore determinante per stabilire se l'operazione economica in questione sia conforme alle condizioni di mercato”.

[32] Cfr. Corte di Giustizia UE, (Grande Sezione), sent. 5 giugno 2012, causa C-124/10 P, Commissione europea c. Électricité de France (EDF), punti 76 e 77.

[33] Cfr. Corte di Giustizia UE (Sesta Sezione), sentenza del 19 maggio 1999, Italia c. Commissione, causa C‑6/97, punto 15.