A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA COOPERAZIONE TRA UNIONE EUROPEA E TURCHIA IN TEMA DI MIGRANTI: LA DICHIARAZIONE DEL 18 MARZO 2016

Autore: Dott.ssa Antonella Galletti

 

Abstract: il 18 marzo 2016, a seguito dell’incontro tra i membri del Consiglio europeo e la controparte turca, viene raggiunto un accordo sulla gestione del flusso irregolare di migranti diretti verso l’Europa. Un’intesa largamente contestata che punta ad esternalizzare l’ingente richiesta di protezione internazionale dei migranti provenienti dal Medio Oriente al fine di delocalizzare il problema” con una soluzione tanto radicale quanto pericolosa in termini di violazione del diritto europeo e internazionale.

 

Parole chiave: Accordo UE-Turchia, migranti, rifugiati, Unione europea, Turchia, immigrazione.

 

1. Introduzione

Nel problematico contesto delle politiche europee di immigrazione, a partire dal 2014, si è inserita la c.d. crisi migratoria che ha interessato gran parte dei Paesi europei[1]. La Commissione Junker, insediatasi il primo novembre del 2014, ha così posto tali politiche tra le priorità della sua azione e ha avviato la prassi di riunioni periodiche definendo con l’Agenda per l’immigrazione un vero e proprio programma di misure dell’Unione in questi settori[2], alla quale hanno fatto seguito numerosi documenti e proposte di nuovi atti normativi e di rapporti sull’attuazione delle misure adottate. Tuttavia, gli strumenti individuati per far fronte alla crisi, come le decisioni sulla ricollocazione e le raccomandazioni sul reinsediamento e sull’ammissione umanitaria, seppur innovativi, sono risultati eccessivamente complessi, scarsi in termini di numero di persone coinvolte e condizionati nella loro applicazione alla volontà dei singoli Stati[3]. L’inefficacia delle misure adottate dall’UE ha così indotto alcuni Stati membri a ristabilire i controlli alle frontiere interne, seguiti anche dagli Stati della rotta balcanica fuori dell’area Schengen, i quali hanno comunicato (e poi attuato) il blocco del transito nei loro territori ai migranti e ai richiedenti asilo[4]. Quando l’effetto domino si è esteso fino alla Macedonia, il flusso che per mesi si era dispiegato dalla Turchia verso il Nord Europa è stato fermato, lasciando migliaia di persone bloccate in Grecia. In un secondo tempo la Commissione, terminata la valutazione del sistema di controllo delle frontiere esterne da parte della Grecia, ha emanato una raccomandazione ai sensi dell’art. 29 del Codice frontiere Schengen che ha permesso agli Stati membri di ritardare i controlli temporanei alle frontiere interne fino ad un massimo di due anni[5]. Per l’Unione Europea, la Grecia e gli Stati membri, era diventato fondamentale interrompere il flusso di migranti e di richiedenti asilo provenienti dalla Turchia, per risolvere non tanto la crisi dei migranti e dei rifugiati, quanto per eliminare gli effetti negativi prodotti da tale crisi sull’UE, e soprattutto sui sistemi Schengen e Dublino[6]. Se, infatti, fosse stato prioritario risolvere la crisi dei migranti, sarebbe stata avviata una grande operazione autenticamente umanitaria, per dare prima di tutto accoglienza alle persone bisognose di protezione, facilitando l’accesso legale di queste senza essere costrette a ricorrere alla rete dei trafficanti. L’Unione e, in particolare, i Capi di Stato e di Governo non hanno invece mai neanche accennato all’adozione di una misura straordinaria di carattere umanitario, mentre, come vedremo, hanno deciso di realizzare una misura straordinaria di rimpatrio di migranti irregolari e di richiedenti asilo.

In questo contesto, a partire dal settembre 2015, si intensifica la cooperazione tra l’Unione europea e la Turchia attraverso la determinazione di obiettivi comuni e di impegni reciproci. Numerosi sono gli incontri durante i quali tali impegni si delineano, si specificano e si arricchiscono fino al vertice del 18 marzo 2016, quando le parti concordano un’articolata strategia volta al contenimento dei flussi verso l’Unione e al sostegno, soprattutto finanziario, della Turchia.

 

2. Il contenuto dell’Accordo del 18 marzo 2016

Parte sostanziale di quanto concordato nel marzo 2016 è l’obbligo di rimpatrio dei migranti irregolari giunti attraverso la Turchia nelle isole greche a partire dal 20 marzo 2016, misura definita “straordinaria e temporanea in attesa che cessino le sofferenze umane e sia ripristinato l’ordine pubblico” (par. 1 della Dichiarazione del 18 marzo).

La singolarità della misura adottata deriva dal fatto che, per la prima volta, l’espressione “migranti irregolari” include anche i “richiedenti asilo”, compresi i cittadini siriani, che hanno invece un diritto di ingresso soltanto per quanto concerne la possibilità di presentazione della domanda di asilo. Il diritto di ingresso, infatti, riguarda tutti coloro che sono arrivati nelle isole greche, vale a dire anche i richiedenti asilo. Tra questi anche di quei richiedenti asilo (i siriani) che hanno un’elevata possibilità di assicurarsi protezione internazionale in qualsiasi Stato dell’Unione e che, proprio per questo, non potrebbero vedersi negare il diritto di ingresso né in Grecia né in altri Stati membri. Allo stesso tempo si dispone che ad ogni rimpatrio in Turchia di un cittadino siriano seguirà l’ammissione di un cittadino siriano nell’UE, il c.d. “sistema 1:1”. Detto altrimenti, il numero dei siriani riammessi dalla Grecia alla Turchia rappresenta il numero dei siriani ammessi direttamente dalla Turchia. Nondimeno, la Dichiarazione del 7 marzo 2016 precisa che suddetta ammissione dovrebbe operare “nell’ambito degli impegni esistenti”, ossia gli impegni presi in base al programma europeo di reinsediamento e di ricollocazione già fissati nel 2015. Ciò significa che gli Stati membri non hanno aumentato la propria disponibilità ad accogliere richiedenti asilo, soprattutto siriani, convalidando i numeri già stabiliti in precedenza[7]. Infine anche il programma per l’ammissione umanitaria dalla Turchia potrà efficacemente servire da misura per l’ammissione regolare di richiedenti protezione internazionale nell’Unione. Nonostante il reinsediamento, la ricollocazione e l’ammissione umanitaria siano tre strumenti differenti (sia per modalità sia per presupposti), la Commissione Europea è incline a sottolinearne le analogie, in modo da potersi avvalere dei posti previsti per l’uno anche per l’altro, in quanto sostiene si tratti di manifestazioni concrete di solidarietà con altri Stati membri o con Paesi terzi che devono affrontare un’elevata affluenza di migranti.

Le due misure, il rimpatrio verso la Turchia e l’ammissione verso l’Unione Europea, sono intimamente collegate e destinate a fare in modo che i cittadini siriani non si affidino ai trafficanti di persone per raggiungere la Grecia, considerando sia il probabile rimpatrio chela possibilità di raggiungere, invece, l’Unione in modo regolare.

Inoltre sul piano finanziario l’UE, una volta che la prima parte del finanziamento si sia esaurito e a condizione che tutti gli impegni siano stati mantenuti, si è impegnata ad aggiungere altri tre miliardi di euro oltre a quelli già concordati nel Piano d’azione iniziale.

Infine nella Dichiarazione si richiama esplicitamente la necessità di un’azione congiunta per rendere migliore l’accelerazione dell’adempimento della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti, la situazione umanitaria in Siria ed il rilancio del processo di adesione della Turchia all’Unione.

 

3. Il problema della qualificazione giuridica della Dichiarazione del 18 marzo 2016

Dopo aver analizzato il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016 è opportuno sottolineare che essa è priva della forma tipica degli accordi internazionali e non è stata conclusa secondo le procedure disciplinate a tal fine nei Trattati. Gli accordi internazionali dell’Unione europea in materia di immigrazione e asilo, infatti, devono essere conclusi seguendo la procedura prevista all’art. 218 del TFUE, coinvolgendo eventualmente anche il Parlamento europeo con una sua previa approvazione. L’Accordo con la Turchia, al contrario, si è svolto all’insegna dell’informalità ed è stata caratterizzato da un evidente protagonismo dei Capi di Stato e di Governo che si sono incontrati in via informale e hanno assunto impegni in proprio o per conto dell’UE, attraverso il ruolo attivo dei Presidenti delle Istituzioni europee e dell’Alto Rappresentante che hanno sempre eseguito l’azione diplomatica dei Capi di Stato e di Governo.  Per quanto riguarda la forma della Dichiarazione del 18 marzo, essa non è qualificata come “accordo”, non è firmata né pubblicata secondo quanto previsto dalle rispettive Parti ed ha un contenuto che discende da una molteplicità di documenti, tutti non definibili come “accordi” (due comunicati stampa, una Comunicazione della Commissione europea ed un Piano d’azione del novembre 2015), ma con l’utilizzo di sinonimi del termine “accordo” che richiamano vagamente l’idea dell’obbligo giuridico, come Piano d’azione o Dichiarazione, per poi tuttavia tornare all’uso della terminologia tipica di questi come “entrata in vigore” e “attuazione”[8].

L’assenza della procedura tipica e della forma dell’accordo non è la condizione determinante ai fini della qualificazione di esso come tale: il problema è stato ampiamente analizzato dal diritto internazionale e dell’Unione, laddove vige il principio della libertà delle forme e il favor verso la qualificazione sostanziale di accordo internazionale a patto che siano riscontrabili obblighi in capo alle parti (assunti anche in modo informale) e salvo il rispetto delle norme sulla competenza a stipulare dei soggetti parte[9]. Il principio giuridico rilevante è che la Dichiarazione del 18 marzo 2016, a prescindere dalla procedura adottata e dalla forma, può essere considerata un accordo internazionale nella misura in cui implica effettivi obblighi giuridici in capo alle parti; sul piano del diritto UE è inoltre rilevante se tale “accordo” incida su norme UE alterandone la portata. In tale ipotesi, infatti, non solo si afferma una competenza esclusiva dell’Unione ma è altresì indispensabile la previa approvazione del Parlamento[10].

A tal proposito, tra i vari contenuti della Dichiarazione se ne possono citare almeno due come rilevanti al fine della sua qualificazione giuridica.

Il primo riguarda il meccanismo di rimpatrio che considera la Turchia come Paese di primo asilo e terzo sicuro, andando in tal modo ad incidere sulla portata della Direttiva 2003/32/UE. In base a quest’ultima, infatti, gli Stati membri sono autorizzati a considerare tali concetti nei propri ordinamenti senza però prevedere un obbligo al riguardo; la Dichiarazione del 2016, al contrario, si basa sul presupposto del loro utilizzo come se fossero già parte dei sistemi di asilo nazionali. La Dichiarazione, difatti, non solo assume l’impiego dei concetti di Paese di primo asilo e di Paese terzo sicuro, ma ritiene anche (implicitamente) che la Turchia soddisfi le condizioni stabilite agli artt. 35 e 38 per essere qualificata come tale, senza che ciò rientri tra le prerogative dell’Unione (l’apprezzamento dell’esistenza delle condizioni è infatti lasciato alla discrezionalità degli Stati membri).

Il secondo è quello concernente gli impegni finanziari, aumentati dai settantanove milioni di euro previsti a settembre 2015 ai tre miliardi di euro stanziati in seguito al Piano d’azione, uno a carico del bilancio dell’Unione e due a carico degli Stati, con il successivo impegno di destinarne altri tre, una volta che tutte le attività e gli impegni finanziati con il primo stanziamento si siano conclusi. Degli stanziamenti finanziari disposti a favore della Turchia, soltanto la parte a carico del bilancio UE deve essere soggetta all’approvazione congiunta da parte di Parlamento e Consiglio, ma solamente ai casi nei quali sia indispensabile un emendamento all’atto di bilancio. Tutte le altre decisioni in materia di finanziamenti non comportano un intervento del Parlamento europeo.

Alla luce di tali considerazioni, il contenuto della Dichiarazione del 18 marzo 2016 non può essere interpretato come la semplice riproduzione di obblighi già esistenti. Malgrado alcuni degli impegni assunti dalle parti abbiano questa natura (come quelli relativi al rafforzamento della cooperazione per l’accelerazione dei negoziati sugli accordi in materia di liberalizzazione dei visti e di adesione) altri sono completamente innovativi così da incidere su norme già in vigore dell’Unione: si può quindi affermare che essa sia un accordo internazionale[11].

Di diverso parere è il Servizio giuridico del Parlamento europeo, secondo il quale la Dichiarazione non è un accordo internazionale, qualificandola piuttosto come un dialogo politico tra l’Unione e la Turchia, già esistente, che traduce questo dialogo in forme specifiche di cooperazione nel settore dell’asilo e della migrazione, senza modificare peraltro alcuna norma giuridica dell’Unione[12]. Proprio per questa ragione il Parlamento non ha adito la Corte di giustizia in difesa delle proprie prerogative sebbene la questione della natura giuridica della Dichiarazione sia stata oggetto di un apposito dibattito[13]. La mancanza di interesse da parte del Parlamento europeo a contestare la natura giuridica della Dichiarazione e la violazione delle proprie prerogative ha reso improbabile un intervento della Corte di giustizia attraverso un ricorso diretto ai sensi dell’art. 263 del TFUE, e questo sia per il superamento dei termini disposti per esperire un ricorso, sia per mancanza di altri soggetti interessati e legittimati ad agire[14].

Ciò non esclude che la qualificazione giuridica della Dichiarazione come di un accordo internazionale possa venire in rilievo in futuro nel caso in cui le parti coinvolte non fossero intenzionate ad ottemperare ai propri obblighi[15].

Infine, si può notare come le forme e i modi della cooperazione tra UE e Turchia siano un’ulteriore riprova di una tendenza che si va consolidando nell’Unione ad agire con la massima flessibilità e con un intervento diretto da parte dei Capi dei Governi degli Stati membri a scapito delle regole e delle competenze delle istituzioni europee[16].

 

4. Il rimpatrio dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo e la qualificazione della Turchia come Paese di primo asilo e come Paese terzo sicuro

Il rimpatrio dei migranti irregolari, inclusi i richiedenti asilo, è la parte più discussa delle misure stabilite con la Dichiarazione del 18 marzo. Successivamente al Comunicato del 7 marzo 2016, nel quale la misura del rimpatrio era solamente accennata, la Commissione europea si è adoperata per chiarire come essa potesse utilizzarsi senza violare il diritto internazionale e dell’Unione e non essere così qualificata come un’espulsione collettiva, non violare il principio di non-refoulement e l’obbligo di offrire a ciascuno la protezione più appropriata secondo quanto stabilito dal diritto europeo e dalla Convenzione di Ginevra[17]. Nella Comunicazione della Commissione UE del 16 marzo è evidente la consapevolezza dell’Istituzione del rischio di violazione di tali pilastri dei diritti umani, a partire dalla premessa circa il carattere temporaneo e straordinario della misura in questione. Secondo la Commissione europea, la legittimità del rimpatrio è data dalla possibilità da parte di tutte le persone che sbarcano nelle isole della Grecia di presentare domanda di protezione internazionale, essendo il rimpatrio seguente ad una decisione di inammissibilità, di diniego o di infondatezza. Oltretutto, il meccanismo si basa sulla considerazione che la Turchia è un Paese dove già ottengono protezione internazionale due milioni e ottocentomila siriani e dove esiste un sistema che può offrire una protezione adeguata a chi scappa da una situazione di conflitto o da persecuzioni individuali e che può pertanto essere qualificato come un Paese sicuro ai sensi della Direttiva 2013/32/UE[18]. In particolare, le norme che vengono in rilievo riguardano la provenienza dei richiedenti asilo da un Paese di primo asilo (art. 35) o da un Paese terzo sicuro (art. 38). Nel primo caso, si tratta di coloro che hanno già ricevuto un riconoscimento della protezione internazionale, mentre nel secondo di coloro che non hanno ancora ricevuto tale protezione, ma il Paese terzo può ugualmente assicurarne un effettivo accesso.

Ai fini dell’applicazione del meccanismo di rimpatrio disposto dalla Dichiarazione, vengono in rilievo entrambi i concetti (Paese di primo asilo e Paese terzo sicuro).

La maggior parte dei siriani presenti in Grecia, e provenienti dalla Turchia, beneficiavano già in quest’ultimo Paese di una protezione temporanea, potendo essere rappresentato per loro come Paese di primo asilo, e allo stesso modo, per i non europei e i non siriani, che avevano ricevuto la protezione temporanea; per tutti i richiedenti asilo che non avevano invece ottenuto tale protezione, il rimpatrio verso la Turchia è consentito solo se essa soddisfa i requisiti per essere qualificata come Paese terzo sicuro. Tale valutazione di “sicurezza” deve essere compiuta sia da un punto di vista formale, esaminando cioè il tipo di protezione e standard previsto da un sistema nazionale di protezione, sia sul piano sostanziale, ovvero verificando il tipo di protezione e standard concretamente concesso e assicurato.

In particolare secondo l’art. 38, uno Stato può considerare un Paese terzo come sicuro se non sussistono,per chi richiede protezione internazionale, minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale; se non sussiste il rischio di danno grave; se è rispettato il principio di non-refoulement conformemente alla convenzione di Ginevra; se è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; infine, se esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, di ottenere protezione in conformità della Convenzione di Ginevra. 

La valutazione della sicurezza della Turchia deve essere effettuata alla luce dei criteri sopra esposti.

Sul piano normativo, la Turchia è parte della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 ma con l’applicazione della “clausola geografica”, vale a dire solamente ai richiedenti protezione internazionale provenienti dall’Europa[19]. Nondimeno, anche ai richiedenti asilo non europei è riconosciuta una forma di protezione, diversa dalla prima e di carattere temporaneo[20]; inoltre per i siriani, che non possono godere della protezione in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, è assicurata una speciale protezione temporanea riconosciuta per legge. Infine, ai sensi della Dichiarazione, la Turchia si è obbligata da una parte a cambiare il regime di protezione per i cittadini siriani (modificando la regola secondo cui la protezione temporanea cessa nel momento in cui una persona lascia la Turchia, così da consentire a chi viene rimpatriato di poter nuovamente beneficiare di tale protezione), dall’altra parte ha accettato di rendere il trattamento dei beneficiari della protezione temporanea più simile a quello dei rifugiati.

Se la Turchia può (astrattamente) ben soddisfare i criteri disposti dall’art. 35 della Direttiva 2013/32 ed essere quindi qualificata come Paese di primo asilo, rimane il mancato rispetto del criterio della possibilità di “chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, di ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra” (art. 38, par. 1, lett. e). L’UNHCR[21] sostiene che questa condizione debba essere interpretata to mean that access to refugee status and to the rights of the 1951 Convention must be ensured in law, including ratification of the 1951 Convention and/or the 1967 Protocol, and in practice[22]. L’interpretazione letterale, secondo la quale la disposizione non richieda esplicitamente l’adesione alla Convenzione del 1951 ma dichiari che debba essere riconosciuto uno status di rifugiato e un trattamento ai sensi di tale Convenzione, non convince del tutto. L’espressione status di rifugiato è infatti ormai impiegata proprio per differenziare la protezione ai sensi delle Convenzione del 1951 dalle altre forme di protezione aggiuntive (sussidiaria, temporanea e umanitaria). Decisivo è inoltre il confronto con i criteri utilizzati all’art. 35 per la qualifica di Paese di primo asilo, dove vengono previsti come alternativi lo status di rifugiato e altra protezione sufficiente, che deve comunque soddisfare criteri corrispondenti a quello del vero e proprio status di rifugiato. Se, quindi, si fosse voluto prevedere altre forme di protezione internazionale, diverse da quella dello status di rifugiato ma simili nei contenuti, si sarebbe utilizzata la nozione di protezione sufficiente, proprio per contraddistinguerla dalla prima. Non trattandosi però di una simile situazione, si può a ragione sostenere che i requisiti essenziali per essere qualificati come Paese terzo sicuro sono più restrittivi di quelli necessari per essere qualificati come Paese di primo asilo: il primo concetto, infatti, richiede anche l’adesione alla Convenzione di Ginevra e non il mero riconoscimento di un trattamento conforme ad essa. Ovviamente la Turchia non soddisfa tale criterio[23].

Per quanto riguarda il piano applicativo la questione è certamente assai più problematica. Sebbene la Turchia abbia previsto normativamente la garanzia di un certo standard di trattamento e del rispetto delle garanzie fondamentali, molti sono i rapporti e le denunce da parte di ONG che sostengono l’assurdità di qualificare la Turchia come Paese terzo sicuro. Dello stesso parere è la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che si basa sia su una profonda analisi giuridica sia su un rapporto sul trattamento dei richiedenti asilo e dei beneficiari della protezione internazionale in Turchia[24].

È chiaro che nessuna previsione normativa può sollevare l’Unione e gli Stati membri dalla loro responsabilità circa l’assenza di una concreta protezione del diritto alla protezione internazionale dei richiedenti asilo rimpatriati in Turchia.

 

5. Conclusioni

Di fronte all’attivismo turco, l’Europa “delega”, dimenticando una storia orgogliosa di impegno nei confronti del diritto internazionale e dei diritti umani.

Il 14 febbraio 2017, a undici mesi dall’applicazione, Amnesty International ha pubblicato un Rapporto in cui valuta l’impatto sui diritti umani dell’accordo tra Unione europea e la Turchia. A quasi un anno dalla sua firma, con un comunicato stampa la ONG ammonisce l’Unione europea sul fallimentare accordo con la Turchia che ha ridotto migliaia di migranti e rifugiati in condizioni squallide e pericolose[25].

L’accordo destinato a rimandare i richiedenti asilo in Turchia sull’assunto che questo Paese è sicuro ha lasciato migliaia di persone in condizioni squallide e insicure sulle isole della Grecia e, come denunciato da Amnesty International, ha determinato il rinvio illegale di richiedenti asilo in Turchia in flagrante violazione dei loro diritti umani.

“L’accordo tra Unione europea e Turchia è stato un disastro per le migliaia di persone abbandonate a se stesse in un limbo pericoloso, disperato e apparentemente senza fine sulle isole greche. È del tutto ipocrita che i leader europei descrivano l’accordo come un successo, mentre chiudono gli occhi di fronte al costo, insopportabilmente alto, pagato da chi ne sta subendo le conseguenze”[26].

Uno dei più grandi errori di chi ha progettato l’accordo UE-Turchia è stato quello di pensare che tale accordo sarebbe servito a sradicare il contrabbando di persone. In realtà, è stato limitato il traffico sulla rotta mediterranea orientale, ma il confine via terra fra Grecia e Turchia sul fiume Evros, un passaggio molto rischioso, è stato riaperto. Ci sono rapporti quotidiani di persone che cercano di attraversare via fiume, di persone trovate morte, di persone lasciate abbandonate in mezzo al nulla, e perfino serie accuse di respingimenti, un atto che il diritto internazionale considera illegale.  Allo stesso tempo, la rotta balcanica è ancora sotto gli occhi chiusi dell’Europa.

L’accordo UE-Turchia è stato considerato un successo per via dei suoi risultati statistici, ma il peggioramento delle condizioni di vita sulle isole greche si può descrivere come una vera e propria catastrofe umanitaria che sta avvenendo sulle coste d’Europa. L’insistenza europea nel voler rafforzare i propri confini ha portato ad un approccio securitario sulla questione migranti, che vede coloro che cercano rifugio come una minaccia. Eppure la maggior parte dei rifugiati che si trovano adesso in Grecia sono fuggiti da perenni conflitti e da regimi oppressivi. Quando giungono in Grecia, però, vengono spogliati della loro dignità, e affrontano l’incapacità dell’Europa di adottare politiche umanitarie sulle migrazioni[27].

Quello che sta accadendo dal 2015 in Grecia è una crisi della solidarietà, che potrebbe portare ancora più sofferenze a coloro che non hanno altra scelta che fuggire.

La cooperazione UE-Turchia è ancora più critica e problematica dall’ 8 ottobre scorso, da quando è iniziata l’operazione militare della Turchia in Siria: l’Europa si impegna a rafforzare le posizioni nazionali in merito alla politica di esportazione di armi verso Ankara, ma non raggiunge una posizione unitaria (nessun embargo dell'UE e ogni Stato potrà decidere tempi e modi per procedere).

Erdogan ha inoltre minacciato di lasciar passare milioni di rifugiati verso l’Europa se continueranno le critiche contro l’offensiva.

L’Unione Europea ribadisce che una soluzione sostenibile al conflitto siriano non può essere raggiunta militarmente ed invita la Turchia a cessare l’azione militare unilaterale.

Il 17 ottobre scorso il Consiglio dell’Unione ha condannato all’unanimità l’operazione militare che la Turchia sta portando avanti contro i curdi siriani nel nordest della Siria. Il comunicato del Consiglio[28] è stato approvato all’unanimità; esso, tuttavia, avrà conseguenze soprattutto simboliche: l’UE, infatti, non interromperà i fondi che versa alla Turchia ogni anno per le politiche di vicinato e di allargamento dell’Unione (circa 400 milioni di euro sia nel 2019 sia nel 2020) né promuoverà il divieto di vendere armi al governo turco.

 

Dott.ssa Antonella Galletti, Dottore di ricerca e cultore di Diritto dell’Unione europea e di Diritto internazionale nell’Università “Kore” di Enna

 

[1] Sull’evoluzione delle politiche europee di immigrazione e di asilo si veda, Caggiano (a cura di), Scritti sul diritto europeo dell'immigrazione, Torino, 2016; Cellamare, La disciplina dell'immigrazione nell'Unione europea, Torino, 2006.

[2] Agenda europea sulla migrazione, COM(2015)240 del 13 maggio 2015; Di Pascale, La futura agenda europea per l’immigrazione: alla ricerca di soluzioni per la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo, in Eurojus, 9 aprile 2015, www.eurojus.it

[3] Decisione 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia; decisione 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia; raccomandazione della Commissione C(2015)9490 del 15 dicembre 2015, su un piano volontario di ammissione umanitaria dalla Turchia. Nascimbene, Refugees, the European Union and the “Dublin system”. The Reasons for a Crisis, in European Papers, 2016, p. 101 ss.,inwww.europeanpapers.eu

[4]Commissione europea, Member States’ notifications of the temporary reintroduction of border control at internal borders pursuant to Article 25 et seq. of the Schengen Borders Code, in www.ec.europa.eu/dgs/home-affairs/

[5]Decisione di esecuzione (UE) 2016/894 del Consiglio del 12 maggio 2016, recante una raccomandazione per un controllo temporaneo alla frontiera interna in circostanze eccezionali in cui è a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen.

[6]Ritorno a Schengen. Una tabella di marcia, COM(2016)12 del 4 marzo 2016. 

[7]Dei 160.000 posti disponibili nelle decisioni sulla ricollocazione risultano impegnati 106.000 a favore della Grecia e dell’Italia, restando quindi una capienza di 54.000 unità da riservare all’ammissione umanitaria dalla Turchia. Analogamente per la raccomandazione sul reinsediamento, che prevede una capienza di 20.000 posti ma con soli 2.000 realmente utilizzati. Sullo stato d’attuazione del programma di reinsediamento si veda l’allegato 3 della Quarta relazione su ricollocazione e reinsediamento, COM(2016)416 del 15 giugno 2016.

[8]Il Piano d’azione, ad esempio, è stato in un primo momento concordato adreferenda il 15 ottobre, ridiscusso il 12 novembre, e poi “attivato” il 29 novembre 2015 in occasione di uno dei numerosi vertici Ue-Turchia disponibile su www.consilium.europa.eu

[9]Si v. i commenti relativi alla Dichiarazione Ue-Turchia: Cannizzaro, Disintegration through Law?, in European Papers 2016, p. 3 ss;  den heijer, spijkerboer, Is the EU-Turkey refugee and migration deal a treaty?, in EU Law Analysis, 7 aprile 2016.

[10]Artt. 3, par. 2, e 216, par. 1, Tfue.

[11]Per un ulteriore approfondimento, si v.: Corten, Accord politique ou juridique: Quelle est la nature du ‘machin’ concluentre l’UE et la Turquie en matière d’asile?, in EU Immigration and Asylum Law Policy del 10 giugno 2016, eumigrationlawblog.eu; Gatti, La dichiarazione UE–Turchia sulla migrazione: un trattato concluso in violazione delle prerogative del Parlamento?, in Eurojus, www.eurojus.it; Den Heijer, Spijkerboer, Is the EU-Turkey refugee and migration deal a treaty?”, in EU Law Analysis del 7 aprile 2016, eulawanalysis.blogspot.com; Chetail, Will the EU-Turkey migrant deal work in practice?, in The Graduate Institute Geneva del 7 marzo 2016, www.graduateinstitute.it

[12] Il Parere è stato esposto il 9 maggio 2016 dalla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni – LIBE – del Parlamento europeo: Aspetti giuridici della dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, LIBE/8/06399, Presentazione a cura del servizio giuridico,www.europarl.eu

[13] Dibattito tenuto nella plenaria del Parlamento europeo il 13 aprile 2016, www.europarl.europa.eu

[14]Nonostante risultino pendenti davanti al Tribunale tre ricorsi di annullamento dell’Accordo presentati da tre richiedenti asilo presenti in Grecia (Corte di giustizia, cause T-192/16, T-257/16 e T-193/16), se il Tribunale applicherà l’orientamento consolidato, è molto probabile che questi ricorsi saranno dichiarati irricevibili per mancanza di legittimazione ad agire dei soggetti ricorrenti.

[15]Favilli, La cooperazione UE-Turchia per contenere il flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, in Diritti umani e Diritto internazionale, Bologna, 2016, vol. 10, , n. 2, pp. 405 - 426.

[16]Cannizzaro, op. cit., p. 6.

[17] Commissione europea, Prossime fasi operative della cooperazione UE-Turchia in materia di migrazione, COM(2016)16616 marzo 2016.

[18] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione).

[19] Tale limitazione deriva dalla dichiarazione effettuata all’atto della ratifica della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, relativamente all’art. 1(b). Tale dichiarazione è stata ribadita all’atto della ratifica del Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, www.treaties.un.org

[20]Turkey’s temporary protection regime for refugees from Syria, Asylum Information Database, www.asylumineurope.org

[21]L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR o United Nations High Commissioner for Refugees - UNHCR) è l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati; fornisce loro protezione internazionale ed assistenza materiale, e persegue soluzioni durevoli per la loro drammatica condizione.

È stata fondata il 14 dicembre 1950 dall’Assemblea generale, iniziando ad operare dal 1º gennaio del 1951.

[22]Le disposizioni rilevanti sono quelle contenute nel Regolamento sulla protezione temporanea n. 2014/6883, modificato dal Regolamento n. 2016/8722, www.mhd.org.tr

[23]Favilli, op. cit.

[24] Consiglio d’Europa, Assemblea parlamentare, The situation of refugees and migrants under the EU-Turkey Agreement of 18 March 2016, risoluzione n. 2109(2016) del 20 aprile 2016, adottata sulla base del rapporto doc. 14028 del 19 aprile 2016.

[25]https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/amnesty-international-ue-turchi/

[26] Van Gulik, vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa, in https://www.amnesty.it/accordo-la-turchia-rifugiati-alto-costo-umano-replicarlo-altrove/

[27] https://openmigration.org/analisi/accordo-ue-turchia-due-anni-dopo-la-sofferenza-di-chi-e-bloccato-in-grecia/

[28]https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2019/10/17/european-council-conclusions-on-turkey-illegal-drilling-activities-and-mh17/