A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA TUTELA PENALE DEI BENI CULTURALI

 Autore: Prof. Vito Lipari

 

La tutela penale del patrimonio culturale e dell’ambiente hanno un’affinità sul piano sistematico e su quello normativo[1]; infatti, in entrambi i casi, il sistema sanzionatorio è di pertinenza del diritto amministrativo e di quello penale, con il secondo confinato spesso in un ruolo servente rispetto al primo.[2] Ciò si traduce, solo per restare agli aspetti più macroscopici, nella presenza di fattispecie, prevalentemente contravvenzioni, che sanzionano la mera inosservanza di prescrizioni amministrative, nel costante ricorso alla tecnica del rinvio mediante elementi normativi o norme penali in bianco, nell’uso o nell’abuso dello schema dei reati di pericolo presunto.[3] La visione generale è quella di un diritto penale di settore che fatica ad inserirsi in un quadro dei principi generali, a partire da quello di necessaria offensività.[4] Le incertezze dell’individuazione del bene giuridico tutelato, del resto, notano l’ennesimo e forse più evidente filo rosso che congiunge il diritto penale dell’ambiente e quello del patrimonio culturale: il tutto proiettato sullo sfondo di un dato normativo ondivago,[5] in cui i riferimenti costituzionali sono scarsi e la legislazione ordinaria, già a livello meramente terminologico, risulta disorganica e disomogenea. Con particolare attenzione all’ambiente, sono ormai noti gli sforzi finalizzati a circoscriverlo come possibile oggetto di tutela penale. Se non si è mancato di constatare le insuperabili contraddizioni insite, come dice Bajno, nella «“favola” del bene giuridico “ambiente” che forse non si “trova” perché è superfluo trovarlo»[6], il tentativo di delineare con sufficiente precisione i contorni dello stesso ha rappresentato la costante di ogni indagine che avesse la pretesa di ricondurre a sistema una materia indubbiamente frammentaria: è sufficiente ricordare come se la nozione di ambiente fosse intesa in senso ampio, ben si presterebbe a ricomprendere non solo il paesaggio, ma anche i beni artistici e culturali.[7] Anche a voler tralasciare il sistema articolato normativo delineato dalla legislazione di settore, le stesse indicazioni costituzionali evidenziano una confusione terminologico-classificatoria che, per quel che concerne il profilo penalistico, si traduce in una base labile e incerta sulla quale edificare un adeguato sistema di tutela. Con la riforma del 2001compare nella Costituzione il riferimento all’ambiente: l’attuale art. 117, secondo comma, lettera s) annovera tra le materie di competenza esclusiva dello Stato anche “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, mentre il successivo comma terzo affida alla legislazione concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In base alle nuove disposizioni costituzionali la tutela dell’ambiente, sembrava in primo luogo affrancata da quella della salute e, in secondo luogo, distinta da quelle dell’ecosistema e dei beni culturali.[8] Se, quanto alle relazioni tra ambiente ed ecosistema, secondo Caravita sembrerebbe che le stesse si risolvano in un rapporto non tanto di alternatività quanto piuttosto di implicazione reciproca,[9] l’assenza di un’esplicita menzione del paesaggio accanto ai beni culturali si giustifica forse in ragione della connessione evidentemente molto stretta tra il paesaggio stesso e l’ambiente.[10] Infatti, secondo Massaro, non c’è da stupirsi se la giurisprudenza costituzionale successiva al2001 abbia sostanzialmente ridimensionato la “tripartizione” indicata dal nuovo testo dell’art. 117 Cost.,[11] chiarendo anzitutto che l’ambiente, lungi dall’identificare una “materia” in senso stretto, costituisce piuttosto un “valore” costituzionalmente protetto, che, investendo e intrecciandosi inestricabilmente con altri interessi, non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie per le quali quel valore costituzionale assume rilievo,[12] con l’ulteriore precisazione per cui il concetto di “paesaggio”, sempre secondo l’autrice[13], indica innanzi tutto la morfologia del territorio, riguarda cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo[14]. A questo è indispensabile fare la distinzione tra ambiente da una parte e patrimonio culturale dall’altra. Il patrimonio culturale, poi, secondo la classificazione offerta dall’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ed evocata già dalla dicotomia sottesa all’art.9 Cost., deve ritenersi comprensivo dei beni culturali e i beni paesaggistici, come definiti dallo stesso d.lgs. n. 42 del 2004. Si tratta di una distinzione che assume una rilevanza dopo che il sentiero penalistico dell’ambiente sembrerebbe aver subìto una deviazione significativa rispetto a quello del patrimonio culturale. In passato, in effetti, alle analogie tra i due settori ravvisabili inerente alla tutela extra codicem, si aggiungeva un quadro similare sul piano codicistico. In entrambi i casi mancavano nel codice penale sezioni e, quindi, fattispecie ad hoc.[15] La tutela dell’ambiente, in particolare, restava affidata esclusivamente a reati che, per evidenti ragioni storiche, solo a fatica riuscivano a far fronte alle nuove e complesse esigenze di tutela.[16] La vicenda interpretativa che ha interessato la fattispecie del c.d. disastro colposo innominato ex artt. 434 e 439 c.p., estesa in maniera quanto meno discutibile anche ai casi di disastro ambientale[17], ma anche l’applicazione della contravvenzione di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.) alle ipotesi di inquinamento elettromagnetico[18], dimostravano in maniera sufficiente ed eloquente l’inadeguatezza di un quadro legislativo che, malgrado le continue sollecitazioni derivanti dal contesto sovranazionale, perseverava nel proprio immobilismo. Una svolta si ha con la legge n. 68 del 2015, che ha introdotto nel codice penale il Titolo VI bis, dedicato proprio ai delitti contro l’ambiente. Il cambio di rotta, rispetto al quadro normativo precedente, risulta evidente. Anzitutto il fulcro della tutela penale sembrerebbe concentrarsi sul bene giuridico ambiente, abbandonando, in maniera secondo alcuni criticabile, il “tradizionale” schema del reato di pericolo presunto a favore di quello del reato di danno.[19] In secondo luogo il legislatore tipicizza come fattispecie autonome tanto l’inquinamento ambientale[20]. Tralasciando ogni considerazione relativa all’impianto complessivo dell’intervento riformatore e agli elementi costituitivi delle singole fattispecie introdotte[21], paiono opportuni almeno due rilievi di carattere generale.[22] Il primo è rappresentato dal fatto che la legge n. 68 del 2015 ha confermato la distinzione e il rapporto particolarmente stretto intercorrente tra l’ambiente e il patrimonio culturale. Tanto l’art. 452 bis c.p. quanto l’art. 452 quater c.p. prevedono infatti aumenti di pena per l’ipotesi in cui l’inquinamento o il disastro siano prodotti in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico ovvero in danno di specie animali o vegetali.[23] Può anche rilevarsi come, nel destabilizzante guazzabuglio definitorio cui il legislatore del2015 ha affidato la descrizione delle due fattispecie di inquinamento e disastro ambientale, un ruolo di primo piano resti affidato al concetto di ‘ecosistema’. Da una parte conferma l’implicazione reciproca tra “ambiente” ed “ecosistema”, dall’altra parte impone il confronto con elementi di non agevole definizione, specie in considerazione delle specificazioni quantitative e qualitative introdotte dal legislatore: così, per esempio, il reato di inquinamento ambientale sussiste in caso di compromissione o deterioramento, “significativi” e “misurabili”, di un ecosistema o della biodiversità della flora e della fauna. Il secondo rilievo riguarda il fatto che pur con evidenti limiti relativi alla tecnica legislativa prescelta, il legislatore ha colmato una delle più evidenti lacune della parte speciale attraverso l’introduzione di fattispecie ad hoc poste a tutela dell’ambiente. Secondo Massaro, visto il percorso, per molti aspetti coincidente rispetto alla tutela del patrimonio culturale, torna attuale la questione relativa alla possibilità e/o all’opportunità di realizzare un’analoga opera di riforma anche in riferimento ai beni culturali e al paesaggio.[24] Un tentativo di risposta a questo interrogativo implica anzitutto un’indagine relativa al bene giuridico tutelato e una ricognizione dell’assetto normativo esistente. Esamineremo ora, come elemento della fattispecie, la culturalità. Nel codice penale il riferimento ai beni del patrimonio storico-artistico costituisce un elemento normativo della fattispecie per la cui individuazione è necessario fare riferimento alla disciplina del d. lgs. 42/2004.Gli elementi normativi sono quegli elementi comprensibili solo sul presupposto logico di una norma, giuridica o extragiuridica, diversa da quella nella quale sono contenuti e si distinguono dagli elementi descrittivi che, invece, fanno riferimento a dati della realtà empirica, sono percepibili con i sensi e non necessitano di particolari filtri interpretativi.[25] Gli elementi normativi si distinguono: giuridici ed extragiuridici, a seconda che la disposizione richiamata sia una norma, anche penale, diversa da quella incriminatrice, ovvero che il parametro di valutazione sia rimesso a norme sociali o di costume.[26] In base alla classificazione in dottrina si differenzia tra elementi di valutazione giuridica, che esprimono qualificazioni che si riferiscono a settori dell’ordinamento diversi da quello penale, ed elementi di valutazione culturale, che invece esprimono valutazioni proprie del mondo della cultura.[27] Gli elementi normativi, e quelli valutativi in particolare, pongono un problema di compatibilità con il principio di determinatezza di cui all’art. 25 Cost.[28] Perché gli elementi di valutazione culturale possano considerarsi rispettosi di tale principio, è opportuno che il giudice possa fare capo a contenuti di valore, obiettivamente rilevabili nella realtà socio-culturale, ed individuabili in base a direttive espresse nella norma penale stessa.[29] Possiamo affermare che l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, necessario ai fini del riconoscimento della culturalità, risulta essere un elemento valutativo che richiede la mediazione dell’interprete basata su valori e parametri legati all’attualità del momento storico-sociale.[30] Si ritiene che la compatibilità con il principio di legalità e tassatività sia assicurata dal fatto che le direttive sulla base delle quali il giudice deve individuare i contenuti di valore sono espresse nelle norme del testo unico.[31] Peraltro, la previsione di elementi normativi nel settore dei beni culturali costituisce una necessità, in quanto l’identificazione del valore ideale in essi intrinseco presuppone un’attività valutativa.[32] La qualificazione del concetto di interesse culturale come elemento valutativo è proprio sia dei sistemi di tutela del patrimonio reale che di tutela del patrimonio dichiarato. Risulta coerente con i primi, in quanto affida all’interprete l’individuazione del bene tutelato, consentendogli di valersi della necessaria flessibilità per adattare il concetto all’evoluzione sociale e culturale. È pure peculiare dei secondi, perché anche in questi è necessaria un’attività valutativa, che però è affidata all’autorità amministrativa competente invece che al giudice.

La scelta per quest’ultimo sistema, tuttavia, introduce un ulteriore profilo problematico, ossia quello della sindacabilità da parte del giudice del provvedimento emesso dall’autorità amministrativa.

In un primo tempo si è rinvenuto il fondamento normativo del potere del giudice penale di sindacare l’atto amministrativo nell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248[33], Allegato E, che riconosce al giudice ordinario il potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo illegittimo. L’orientamento che riteneva tale potere operante sia con riguardo a provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato che con riferimento a quelli ampliativi, è stato superato dalla sentenza «Giordano» con la quale le sezioni unite164 della Corte di cassazione hanno circoscritto la rilevanza del menzionato art. 5 in sede penale alla sola ipotesi in cui l’atto amministrativo leda diritti soggettivi, escludendo, quindi, la disapplicazione in malam partem. Invero, la disapplicazione in malam partem contrasterebbe sia con il principio di legalità, traducendosi – l’equiparazione tra assenza di autorizzazione e autorizzazione illegittima – in un’estensione analogica della norma incriminatrice, che con il principio di irretroattività, determinando la punizione di condotte che al momento della realizzazione erano rese lecite dall’esistenza del provvedimento abilitativo.[34] L’impostazione affermata con la sentenza «Giordano» risulta ormai superata da un orientamento giurisprudenziale consolidato[35], che esclude l’operatività dell’istituto della disapplicazione quando il giudice penale debba verificare se la fattispecie concreta oggetto del giudizio coincida con quella astratta descritta nella norma incriminatrice.[36] Su questa materia, tale problema si pone in modo particolare ai provvedimenti autorizzativi di interventi dannosi. Con l’autorizzazione, il giudice penale dovrebbe limitarsi al sindacato del provvedimento solo sotto il profilo della legittimità. Tra i giuristi c’è, però, chi ha sostenuto che, atteso che la Costituzione priva la p.a. di poteri dispositivi del patrimonio artistico della Nazione, non residuerebbe in capo all’autorità amministrativa un potere discrezionale in merito all’autorizzazione di interventi dannosi e pertanto la dannosità dell’intervento determinerebbe l’illegittimità del provvedimento, in quanto tale sempre sindacabile dal giudice penale.[37] Dall’interesse culturale inteso come elemento normativo valutativo o extragiuridico deriva un ulteriore problema dell’errore che cade su tali elementi. Secondo la nozione più diffusa, l’errore è ignoranza o falsa rappresentazione della realtà, naturalistica o normativa. L’errore sul precetto penale è disciplinato dall’art. 5 c.p.169, mentre quello sul fatto dall’art. 47 c.p.170. In particolare, viene in rilievo l’art. 47, co. 3, che concerne l’errore sulla legge extrapenale. Per individuare le ipotesi in cui l’errore su norma extrapenale si traduce in un errore sul fatto in dottrina[38] si ricorre alla distinzione tra norme extrapenali che integrano la norma incriminatrice, divenendo precetto e norme non integratrici che rimangono distinte dal precetto. Per quanto riguarda le norme non integratrici vengono considerate quelle che non recano alcun contributo alla descrizione della fattispecie astratta.[39] Invece, si ritengono non integratrici le norme richiamate dagli elementi normativi della fattispecie penale.[40] La giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, pur riconoscendo in via di principio tale distinzione, sostanzialmente nega l’esistenza di norme non integratrici, applicando di fatto sempre l’art.5.[41] Come si riscontra dalla dottrina, tale approccio si traduce in una interpretatio abrogans del terzo comma dell’art. 47.[42] Determinati problemi si pongono, poi, riguardo alla possibilità di applicare la disciplina di cui all’art. 47, co. 3, c.p. agli elementi normativi extragiuridici. Si tratta di interpretare restrittivamente o estensivamente il termine “legge”: secondo un’interpretazione restrittiva, il termine si riferisce alla sola norma giuridica, comprendendo quindi i soli elementi normativi determinati alla stregua di un criterio di qualificazione desunto da norme giuridiche; adottando un’accezione estensiva, invece, si considera legge anche la norma morale o tecnica, con la conseguenza che tutti gli elementi normativi rientrerebbero nell’ambito applicativo della disposizione.[43] Si ritiene che l’art. 47, co. 3, c.p. debba trovare applicazione anche all’errore sugli elementi normativi di natura etico-sociale, in quanto l’errore su una norma etico-sociale di comportamento incide sul piano psicologico secondo un meccanismo assimilabile a quello operante nell’ipotesi di errore su norma giuridica extrapenale. Pertanto, se l’errore su norma extrapenale determina un errore sul fatto, tale errore risulta funzionalmente identico a quello di fatto che cade sul fatto di cui all’art. 47, co. 1, c.p., in quanto l’agente si è rappresentato e ha voluto un fatto diverso da quello tipico; se invece l’errore cade sul significato penalistico dell’elemento normativo, si configura un errore sul precetto riconducibile all’art. 5 c.p. Il problema dell’errore sul concetto di “interesse culturale” è stato affrontato dalla giurisprudenza soprattutto in relazione al delitto di ricettazione di cose di antichità e d’arte rinvenute a seguito di ricerche abusive.[44]

Configurerà un errore sul fatto quando l’agente, pur conoscendo la rilevanza normativa dell’interesse storico, artistico, archeologico non ritenga, per un’errata interpretazione delle norme giuridiche extrapenali attributive dell’interesse, che il bene abbia la specifica qualifica; viceversa, rileverà quale errore sul precetto qualora cada sul significato penalistico dell’interesse storico, artistico o archeologico.[45] La questione si pone diversamente quando il valore culturale della cosa integra una circostanza aggravante del reato. In tal caso si applicherà la disciplina risultante dalle disposizioni in tema di imputazione delle circostanze e dunque verrà addebitata all’agente anche nel caso in cui ne abbia ignorato per colpa l’esistenza.[46] Nelle fattispecie che presuppongono che l’interesse culturale sia dichiarato dall’autorità amministrativa e nelle quali il precetto risulta quindi integrato dal provvedimento amministrativo, si pone il problema dell’errore sulla norma penale in bianco. Secondo la teoria degli effetti psicologici ultimi, l’errore sulla norma extrapenale integratrice della norma penale in bianco costituisce errore sul precetto se riguarda l’esistenza o l’interpretazione della norma integratrice, in quanto in questo caso il soggetto vuole un fatto identico a quello vietato, ritenendolo lecito; rappresenta, invece, errore sul fatto se cade sugli elementi costitutivi del fatto descritto dalla norma integratrice, poiché in tal caso il soggetto vuole un fatto diverso da quello tipico.[47] Invece, nelle ipotesi in cui la norma penale si limita a sanzionare la violazione di obblighi posti dal diritto amministrativo, come nel caso dell’art. 180183 d. lgs. 42/2004,l’errore sulla norma extrapenale richiamata configura un errore sul precetto, come tale riconducibile nell’alveo dell’art. 5 c.p.[48] Diversamente, nel caso di fattispecie[49] che sanzionano condotte poste in essere in mancanza di autorizzazione o di altro provvedimento abilitativo prescritto dalla disciplina amministrativa, può aversi sia un errore sul precetto che un errore sul fatto. L’errore cadrà sul precetto quando l’agente ignori l’esistenza della legge extrapenale che impone l’autorizzazione, ovvero, pur rappresentandosi la necessità dell’autorizzazione, ritenga che la sua attività non rientri nell’ambito applicativo della legge; cadrà, invece, sul fatto quando il soggetto creda erroneamente di essere in possesso della prescritta autorizzazione o ne interpreti erroneamente i limiti. Ora, invece, esamineremo la tutela penale diretta e quella indiretta. La tutela penale dei beni culturali può assumere due forme[50]: quella della tutela penale diretta e quella della tutela penale indiretta. Il sistema di tutela penale indiretta si fonda su un regime privatistico dei beni, postula la piena disponibilità degli stessi e circoscrive la tutela penale alla tutela della proprietà contro le offese arrecate da terzi. In questo sistema il valore culturale ha carattere accessorio rispetto alla materialità del bene, il bene culturale non è considerato bene giuridico autonomo; il carattere culturale della cosa materiale lesa rappresenta un disvalore aggiuntivo nell’ambito di reati con oggettività giuridica differente e viene configurata nella struttura del reato come circostanza aggravante.[51] Il sistema di tutela penale diretta, invece, si fonda su un regime pubblicistico protettivo, limita la disponibilità e la circolazione dei beni culturali e tutela il bene, per il suo valore culturale, a prescindere dalla titolarità e anche nei confronti delle offese arrecate dal proprietario.[52] In tale sistema il bene culturale è oggetto autonomo di tutela.

Si ritiene che solo la tutela diretta valorizzi sufficientemente il carattere meta individuale della titolarità e la componente immateriale del bene culturale. Il sistema di tutela penale dei beni culturali è costituito dalle fattispecie previste dagli artt. da 169 a 180 del d. lgs. 42/2004 e da quelle previste nel codice penale[53]. Le disposizioni contenute nel codice penale attuano una tutela indiretta. Il bene culturale non rileva come bene giuridico autonomo, bensì quale motivo di aggravamento di fattispecie poste a tutela del patrimonio; la culturalità non rientra nel fatto tipico, ossia tra gli elementi oggettivi che concorrono a descrivere l’offesa al bene protetto; esprime unicamente un disvalore aggiuntivo in reati aventi oggettività giuridica diversa.[54] Dalla natura circostanziale[55] consegue la sottoposizione al giudizio di bilanciamento, ex art. 69 c.p., che può vedere eliso il disvalore insito nel carattere storico-artistico dell’oggetto materiale del reato ove il giudice ritenga prevalenti le circostanze attenuanti.[56]

Per quanto riguarda l’imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti, l’art. 59, co. 2, c.p., in seguito delle modifiche apportate dalla legge7 febbraio 1990, n. 19, che ha reso la disciplina conforme al principio di colpevolezza, prevede che tali circostanze possano essere poste a carico dell’agente solo se «da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa».[57] A differenza del codice penale, la disciplina del d. lgs. 42/2004 prevede ipotesi di tutela penale diretta, ossia fattispecie che hanno come oggetto giuridico il bene culturale. In realtà con riferimento ad alcune disposizioni la dottrina solleva dubbi sul fatto che siano effettivamente dirette alla tutela dei beni culturali e non piuttosto, attesa la struttura di reati di pericolo astratto, alla protezione del sistema amministrativo di tutela.[58] Ad ogni modo, la disciplina vigente non risulta apprestare un sistema di tutela adeguato al rango costituzionale attribuito ai beni culturali che richiederebbe il riconoscimento di un rilievo penale autonomo.[59] Sembra invece porsi nella corretta direzione il disegno di legge C 4220200, approvato dalla Camera dei deputati il 22 giugno 2017, che prevede l’adozione di un sistema di tutela penale diretta attraverso l’introduzione di un apposito titolo nel codice penale dedicato ai “delitti contro il patrimonio culturale” nel quale confluirebbero sia nuove fattispecie che le ipotesi delittuose previste dal d. lgs. 42/2004. Prevede, inoltre, lo spostamento dalla legge di settore al codice penale delle ipotesi contravvenzionali, nonché l’innalzamento delle pene edittali vigenti e aggravanti quando oggetto di reati comuni siano beni culturali.[60] Parlando ora In materia di tutela dei beni culturali si presenta un ulteriore opzione sistematica tra: tutela del patrimonio dichiarato e tutela del patrimonio reale. I sistemi del primo tipo circoscrivono la tutela ai beni il cui valore culturale è oggetto di previa dichiarazione; assicurano la certezza giuridica e il rispetto del principio di legalità e tassatività di cui all’art. 25 Cost.[61] D’altra parte, escludono dalla tutela penale i beni di proprietà privata che non siano stati oggetto dell’apposita dichiarazione da parte della pubblica amministrazione.[62] La limitazione della tutela penale ai beni culturali dichiarati risulta coerente per le disposizioni che impongono obblighi ai proprietari dei beni dichiarati e ne sanzionano penalmente l’inosservanza.[63] Dall’opzione per il sistema di tutela del patrimonio dichiarato deriva l’utilizzo dello schema della norma penale in bianco, nella quale il precetto viene posto in parte dal provvedimento amministrativo dichiarativo della culturalità del bene.[64] I sistemi di tutela del patrimonio reale, invece, estendono la tutela a tutti i beni che presentino un intrinseco valore culturale, a prescindere dal previo riconoscimento da parte dell’amministrazione competente; sacrificano la certezza ma salvaguardano la consistenza del patrimonio storico-artistico reale. In questi sistemi assume ruolo fondamentale l’elaborazione giurisprudenziale, in quanto la tutela è subordinata all’accertamento del valore culturale da parte del giudice. Un sistema di tutela intermedio era stato proposto dalla commissione Franceschini ed è quello di tutela del patrimonio presunto in base al quale i beni culturali presunti sono soggetti automaticamente alla stessa tutela dei beni dichiarati fino a quando non intervenga la dichiarazione negativa del carattere culturale del bene.

Tale sistema ha suscitato le critiche della dottrina che si è occupata del tema per varie ragioni. In primo luogo, tale sistema, applicato rigorosamente al diritto penale, potrebbe portare alla punibilità di reati impossibili per l’assenza del carattere di culturalità del bene quando ancora non sia intervenuta la dichiarazione negativa; inoltre, estenderebbe la tutela a beni privi di valore, rischiando di escludere beni di rilevante valore storico-artistico che però non abbiano le caratteristiche per essere inclusi tra quelli dichiarati o tra quelli presunti. Si può affermare che la tutela del patrimonio reale dovrebbe essere prevalente nelle fattispecie lesive o nelle ipotesi di esportazione illecita, da cui può derivare la perdita definitiva del controllo sul bene; invece con riferimento agli obblighi di conservazione e alle disposizioni sull’alienazione dovrebbero concorrere i sistemi del patrimonio dichiarato e reale, in base all’efficienza dell’opera di catalogazione.[65] A tal proposito l’obiettivo dovrebbe essere quello di far coincidere la tutela del patrimonio dichiarato con quella del patrimonio reale in modo da soddisfare sia l’esigenza di certezza giuridica che quella di protezione.[66] Occorre, però, considerare che tale obiettivo difficilmente potrà essere completamente raggiunto, sia per la vastità del patrimonio culturale che per il possibile mutamento nei diversi momenti storici della sensibilità culturale che porta al riconoscimento del carattere culturale dei beni.[67] Il sistema di tutela penale del patrimonio reale risulta quello maggiormente conforme all’art. 9 Cost. che individua come compito fondamentale della Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico.[68] Tale compito, però, può essere assolto solamente attraverso un sistema che garantisca protezione alla totalità dei beni culturali.

La disciplina legislativa vigente adotta un sistema duplice: prevede forme di tutela del patrimonio culturale reale nel codice penale[69] e nel d. lgs. 42/2004 con riferimento ai beni culturali di appartenenza pubblica e, in alcuni casi, anche a quelli di proprietà privata. Per i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, l’art. 12 del d.lgs. 42/2004 prevede la tutela provvisoria del patrimonio reale.

Infatti, tale norma dispone che questi beni, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, siano sottoposte alla disciplina del codice fino a quando non sia intervenuta la verifica da parte dei competenti organi del Ministero.[70] I beni culturali appartenenti a privati, tendenzialmente, sono sottoposti al particolare regime di protezione previsto dal codice dei beni culturali solo se oggetto di apposita dichiarazione.[71] Esempio di tutela del patrimonio reale è fornito dall’art. 169, co. 1, lett. b, che punisce il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, senza l’autorizzazione del soprintendente, «anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall’articolo 13». Anche l’art. 176 d. lgs. 42/2004 è considerato esempio di tutela reale, in quanto si ritiene sufficiente il carattere culturale del bene, a prescindere da provvedimenti amministrativi attributivi o dichiarativi dello stesso. Infine, delinea un’ipotesi di tutela del patrimonio reale anche l’art. 28 del codice dei beni culturali che attribuisce al soprintendente la facoltà di ordinare l’inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell’articolo 10, anche quando per esse non siano ancora intervenute la verifica di cui all’articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all’articolo 13.

 

[1] Siracusa L., La tutela penale dell’ambiente. Bene giuridico e tecniche di incriminazione, Giuffrè, Milano, 2007, p. 2.

[2] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive. In B.C. Ettore Battelli (a cura di), Patrimonio Culturale profili giuridicie tecniche di tutela, 2017, pp. 179-192.

[3] Idem.

[4] Catenacci M., La tutela penale dell’ambiente. Contributo all’analisi delle norme penali a struttura «sanzionatoria», Cedam, Padova, 1996, 61.

[5] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive,cit., p. 180. 

[6] Bajno R., La tutela dell’ambiente nel diritto penale, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 1990, 353.

[7] Giunta F., Il diritto penale dell’ambiente in Italia: tutela di beni e o tutela di funzioni?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1997, 1100 ss.

[8] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit., p. 180.

[9] Caravita B., Diritto dell’ambiente, III ed., Il Mulino, Bologna, 2005, 22 ss.

[10] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit., p. 181.

[11] Idem.

[12] Servizio Studi Corte Costituzionale, La tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, a cura di R. Nevola, in Cortecostituzionale.it.

[13] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit., p. 181.

[14] Corte cost. n. 367 del 2007, in Cortecostituzionale.it.

[15] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit.

[16] Idem.

[17] Gargani A., Le plurime figure di disastro: modelli e involuzione, in Cassazione penale, 2016, fasc. 7-8, 2705 ss.

[18] Gizzi L., Inquinamento elettromagnetico e responsabilità penale: la Cassazione sul caso Radio vaticana, in Penalecontemporaneo.it.

[19] Catenacci M., I delitti contro l’ambiente fra aspettative e realtà, in Diritto penale e processo, 2015, n. 9, 1075.

[20] Art. 452 bis c.p., con il successivo art. 452 ter c.p. relativo ai casi di morte o lesione come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale.

[21] Padovani T., Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente in Guida al diritto, 2015, n. 35, 10.

[22] Massaro, A., Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit.

[23] Idem.

[24] Ibidem p. 183.

[25] Risicato L., Gli elementi normativi della fattispecie penale: profili generali e problemi applicativi, Milano, Giuffrè, 2004, p. 6.

[26] Ibidem p. 73.

[27] Pulitanò D., L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano 2019, p. 227.

[28] Risicato L., Gli elementi normativi della fattispecie penale: profili generali e problemi applicativi, cit., p. 63.

[29] Ibidem p. 229.

[30] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, Milano 2002, p. 218.

[31] Ibidem p. 220.

[32] Idem.

[33] Legge abolitrice del contezioso amministrativo.

[34] Poggi P., La tutela penale dei beni culturali, in Confrancesco G. (a cura di), I beni culturali tra interessi pubblici e privati, p. 182.

[35] Cass., Sez. Un., 21 dicembre 1993, n. 11635, i cui principi sono stati confermati da Cass., Sez. Un., 28 novembre 2001, n. 5115 e, più recentemente, da Cass. pen., sez. III, 21 febbraio 2017, n. 12389; Cass. pen., sez. III, 24 maggio 2017, n. 31282.

[36] Cocco G., L’atto amministrativo invalido elemento delle fattispecie penali, Roma 1996, p. 95.

[37] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, 1976, pp. 69-71.

[38] Romano M., Commentario sistematico del codice penale, terza edizione, Milano 2004, p. 497.

[39] Gatta G. L., Abolitiocriminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Milano 2008, pp. 14 e 15.

[40] Romano M., Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 497.

[41] Gatta G. L., Abolitiocriminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, cit., p. 13.

[42] Romano M., Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 498.

[43] Ruggiero G., Gli elementi normativi della fattispecie penale, Napoli, Iovene, 1965, p. 287.

[44] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 225.

[45] Idem.

[46] Ibidem, p. 228.

[47] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., p. 374.

[48] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 232.

[49] Art. 169 d. lgs. 42/2004185.

[50] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., p. 233.

[51] Idem.

[52] Ibidem, p. 52.

[53] Art. 635, co. 2, n. 1; art. 639, co. 2; 733; 624 e 625, n. 7.

[54] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 188.

[55] Art. 625, n.7, e art. 639, co. 2.

[56] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 188.

[57] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., p. 420.

[58] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 190.

[59] Idem.

[60] DDL S 2864.

[61] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., p. 64.

[62] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 109.

[63] Ibidem, p. 204.

[64] Idem.

[65] Ibidem, p. 206.

[66] Mantovani F., Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., p. 66.

[67] Demuro G. P., Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., p. 113.

[68] Resta F., Anticipazione e limiti della tutela penale in materia di «danneggiamento» di beni culturali, 2005, pp. 37-38.

[69] Furto aggravato ex art. 625, n. 7; danneggiamento ex art. 635, co. 2, n.1; deturpamento o imbrattamento ex art. 639, co.2;danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale ex art. 733.

[70] Tamiozzo R., La legislazione dei beni culturali e del paesaggio, 2009, p. 64 ss.

[71] Ai sensi dell’art. 10, co. 3, d. lgs. 42/2004.