A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA  10 SETTEMBRE 2015, Causa C-266/14:

GLI SPOSTAMENTI EFFETTUATI DAI LAVORATORI SENZA LUOGO DI LAVORO FISSO O ABITUALE VERSO LA SEDE DEL CLIENTE COSTITUISCONO “ORARIO DI LAVORO”.

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 10 settembre 2015 (causa C-266/14), ha affermato che, il tempo impiegato da un lavoratore per raggiungere, dal proprio domicilio, il primo cliente ed il tempo impiegato per spostarsi dall’ultimo cliente al proprio domicilio, costituisce a tutti gli effetti “orario di lavoro”.

La direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 ( recepita in Italia con il D.Lgs. 66/2003) concernente alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, definisce quest’ultimo come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali e che tale nozione va intesa in opposizione al periodo di riposo, in quanto ciascuna delle due nozioni esclude l’altra.

La controversia in oggetto è nata a seguito del ricorso di alcuni lavoratori spagnoli avverso il rifiuto della ditta datrice di lavoro di considerare il tempo che i loro dipendenti impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicato dal loro datore di lavoro, come “orario di lavoro”, bensì come periodo di riposo.

La società TycoIntegrated Security TycoIntegratedFire& Security Corporation Servicios (in prosieguo indicata semplicemente comeTyco) svolgono, nella maggior parte delle province spagnole, attività di installazione e manutenzione di sistemi di sicurezza antifurto. Nel 2011 la Tyco ha chiuso i suoi uffici regionali ed ha assegnato tutti i suoi dipendenti all’ufficio centrale di Madrid. I tecnici dipendenti della Tyco, in particolare, si occupano dell’installazione e della manutenzione degli impianti di sicurezza nelle abitazioni e nei locali industriali e commerciali siti nella zona territoriale di loro competenza, sebbene non abbiano un luogo di lavoro fisso. Tale zona può comprendere tutta una provincia o parte di essa o, talvolta, addirittura più province. I lavoratori dispongono ciascuno di un veicolo di servizio per spostarsi quotidianamente dal loro domicilio verso i diversi luoghi di lavoro e per ritornare al loro domicilio alla fine della giornata.

La distanza tra il domicilio dei lavoratori ed i luoghi dove essi devono effettuare un intervento può, quindi, variare considerevolmente e, a volte, può superare i 100 chilometri e durare sino a tre ore. Per l’espletamento delle loro mansioni, i lavoratori dispongono ciascuno di un telefono cellulare che consente loro di comunicare a distanza con l’ufficio centrale di Madrid. Alla vigilia della loro giornata di lavoro essi ricevono una tabella di viaggio che elenca i vari luoghi nei quali dovranno recarsi nel corso della giornata, nell’ambito della loro zona territoriale, e gli orari degli appuntamenti fissati con i clienti.

La Tyco considera il tempo di spostamento “domicilio-cliente” non come orario di lavoro ma come periodo di riposo in quanto ritiene che, anche se i lavoratori devono effettuare un tragitto per recarsi dai clienti da essa indicati, la loro attività e le loro funzioni hanno ad oggetto esclusivamente la realizzazione di prestazioni tecniche di installazione e manutenzione di sistemi di sicurezza presso tali clienti. Pertanto, durante il tempo di spostamento domicilio-cliente, i medesimi lavoratori non sarebbero nell’esercizio delle loro attività o delle loro funzioni. La società calcola la durata quotidiana del lavoro conteggiando il tempo trascorso tra l’ora di arrivo dei suoi dipendenti sul luogo in cui si trova il primo cliente e l’ora in cui i dipendenti partono dal luogo in cui si trova l’ultimo cliente; sono, pertanto, presi in considerazione unicamente i tempi degli interventi nei luoghi ed i tempi degli spostamenti intermedi tra ogni cliente.

Prima della chiusura degli uffici regionali, la Tyco, tuttavia, conteggiava l’orario di lavoro quotidiano dei dipendenti a partire dall’ora di arrivo in ufficio (precisamente dal momento in cui i dipendenti prendevano possesso del veicolo messo a loro disposizione, dell’elenco dei clienti da cui recarsi e della tabella di viaggio), sino all’ora del loro rientro, la sera, in ufficio (quando i dipendenti vi lasciavano il veicolo).

La Corte nazionale spagnola, l’AudienciaNacional, adita nel procedimento principale, chiede, pertanto, alla Corte di Giustizia europea se il tempo che i lavoratori impiegano per spostarsi ad inizio ed a fine giornata debba essere considerato come orario di lavoro ai sensi della direttiva 2003/88/CE.

Con la sentenza pronunciata il 10 settembre 2015 la Corte di Lussemburgo dichiara che, nel caso in cui dei lavoratori, come quelli nella situazione in oggetto, non abbiano un luogo di lavoro fisso o abituale, il tempo di spostamento che essi impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicato dal loro datore di lavoro costituisce “orario di lavoro” ai sensi della direttiva 2003/88/CE.

Seguendo questo principio, giurisprudenza consolidata della Corte afferma che, le nozioni di “orario di lavoro” e di “periodo di riposo”, ai sensi della direttiva 2003/88/CE, costituiscono nozioni di diritto dell’Unione che occorre definire secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al sistema ed alle finalità di tale direttiva, intesa a stabilire prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti.

Alla luce di ciò, secondo la Corte, i lavoratori che si trovano nella situazione di cui al procedimento principale, stanno esercitando la loro attività o le loro funzioni durante l’intera durata degli spostamenti; tali spostamenti verso i clienti indicati dal datore di lavoro, costituiscono lo strumento necessario per l’esecuzione delle loro prestazioni tecniche nel luogo in cui si trovano tali clienti. Diversamente ragionando, la Tyco potrebbe rivendicare che solo il tempo effettivamente impiegato nell’esercizio dell’attività di installazione e manutenzione dei sistemi di sicurezza rientri nella nozione di orario di lavoro, il che avrebbe l’effetto di snaturare tale nozione e compromettere l’obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Il fatto che gli spostamenti compiuti dai lavoratori, all’inizio ed alla fine della giornata, verso i clienti o in provenienza da questi, fossero considerati da Tyco come orario di lavoro prima dell’eliminazione degli uffici regionali dimostra, peraltro, che il compito di guidare un veicolo da un ufficio regionale verso il primo cliente e dall’ultimo allo stesso ufficio regionale faceva precedentemente parte delle funzioni e delle attività di tali lavoratori. Ebbene, la natura di tali spostamenti non è mutata in seguito alla soppressione degli uffici regionali, è solo il punto di partenza di tali spostamenti che è stato modificato.

La Corte di Giustizia ritiene, pertanto, che i lavoratori siano a disposizione del loro datore di lavoro durante i tempi di spostamento anche in ragione del fatto che essi sono sottoposti alle direttive del datore di lavoro che può modificare l’ordine dei clienti oppure annullare o aggiungere un appuntamento.

In ogni caso, occorre rilevare che, durante il tempo di spostamento necessario, che il più delle volte è incomprimibile, detti lavoratori non hanno la possibilità di disporre liberamente del loro tempo e di dedicarsi ai loro interessi e, pertanto, sono a completa disposizione del loro datore di lavoro. La Corte , quindi, ritiene che l’art. 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE deve essere interpretato nel senso che, se un lavoratore che non ha più un luogo di lavoro fisso esercita le sue funzioni durante lo spostamento che effettua verso un cliente o in provenienza da questo, egli deve essere considerato a tutti gli effetti come al lavoro anche durante tale tragitto. Gli spostamenti, infatti, sono intrinseci alla qualità di un siffatto lavoratore; il luogo di lavoro di quest’ultimo non può essere ridotto ai luoghi del suo intervento fisico presso i clienti.

La circostanza che i lavoratori comincino e terminino i tragitti presso il loro domicilio è una conseguenza diretta della decisione della società di eliminare gli uffici regionali e non della volontà dei lavoratori stessi. Costringerli a farsi carico della scelta del loro datore di lavoro sarebbe contrario all’obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori perseguito dalla direttiva, nel quale rientra anche la necessità di garantire ai lavoratori un periodo minimo di riposo.

La sentenza della Corte di Giustizia europea appena esaminata farà giurisprudenza perché sottopone le aziende prive di punti vendita fisici, si pensi, ad esempio, a tutte le aziende internet, a considerare diversamente orari di lavoro e di conseguenza retribuzioni e compensi dei propri dipendenti.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro

 

Fonti: www.curia.europa.eulavoroediritti.comdiritto24.ilsole24ore.comcorriere.itilfattoquotidiano.it